11. Alina
Questa notte la città sembra più tranquilla del solito. Osservo tutte le case standomene seduta su un tetto. Sembra una vasta foresta scura. Intanto tengo le mani occupate spezzando un rametto che ho trovato incastrato tra le tegole. Appena accanto alla mia destra c'è un nido con degli uccellini ancora svegli e che pigolano rumorosamente. Mi viene da sorridere quando un pettirosso vi si mette sopra silenziandoli.
Una volta calato completamente il silenzio, una leggera e allegra musica arriva fino le mie orecchie.
Mi metto in piedi cercando il luogo dal quale la melodia proviene. Poco più a est, quasi al limitare della città, una locanda sembra essere l'unica fonte di luce.
Salto sul tetto di fronte al mio e cammino sui cornicioni delle case. Mi appendo a una finestra e mi lascio cadere sul terrazzo sottostante. Scalo un palazzo passando dai balconi e finisco su uno dei parapetti di fronte la locanda.
La porta si apre rendendo più forte la musica che proviene dall'interno, così mi nascondo nell'ombra, ma esce solamente un uomo barcollante, estremamente ubriaco, che grida quelle che dovrebbero essere le parole di una canzone.
Sollevo un sopracciglio curiosa di capire come le persone possono arrivare a ridursi così.
Decido di entrare.
«La casa del porco» Leggo a voce alta.
Non mi sembra il massimo, ma in realtà non sono mai entrata in una locanda.
Mi sistemo sulla testa il cappuccio in modo che nessuno possa riconoscermi. Ho passato troppo tempo al villaggio perché qualcuno non mi riconosca come Lina.
Varcando la porta sembra di essere trasportati in un altro mondo.
Le candele illuminano a giorno l'intera struttura e la musica allegra riempie l'aria. Risate provengono da ogni angolo. Sembra quasi di essere in un giorno di festa. Molte delle persone sono sedute ai tavoli, ma altrettante sono rimaste in piedi. L'aria qui dentro è calda, tanto che c'è un cattivo odore.
Un grosso uomo, molto più alto di me, mi urta la spalla come se non esistessi, e sto quasi per rispondere e tirare fuori la spada, quando mi rendo conto che devo starmene buona e non farmi riconoscere. Decido, quindi, di abbassarmi di più il cappuccio e di sedermi in un angolo buio.
Dal mio posto riesco a scorgere bene qualsiasi cosa accade nella casa del porco. I cinque musicisti suonano cercando di attirare l'attenzione di quante più persone possibili, ma voltati nella loro direzione sono solamente due uomini, così ubriachi da non sapere neanche cosa stanno guardando. In un tavolo un po' più spostato verso l'uscita sul retro tre loschi figuri incappucciati si guardano intorno; mentre, al tavolo centrale, si canta e si ride come se non ci fosse un domani.
In mezzo a tutti questi tavoli passa, con due vassoi in mano, una ragazza dai biondi capelli legati insieme da un nastro azzurro, esattamente come quello che Cassian indossa sempre. Così alzo una mano, aspettando che porti da bere anche a me.
La poverina viene sballottata da una parte all'altra della sala, con uomini viscidi e ubriachi che la toccano in continuazione. Non ci mette molto ad accorgersi di me e viene nella mia direzione con un sorriso smagliante e in mano un bicchiere di legno.
Ha gli occhi dello stesso colore del vestito e del nastro.
Sembra un angelo. È bellissima.
Le mani cominciano a tremare, così le nascondo sotto al tavolo
«Evangeline!» Sento distintamente e un po' sento il cuore accelerare sperando non sia lei.
Invece la ragazza si volta verso la voce e le risponde.
«Arrivo. Perdonami, ti serve altro?»
Le faccio cenno di no con la testa e mi porto la pinta di birra alla bocca. Ne assaggio un sorso, ma è troppo forte per me, tanto che mi va di traverso e tossisco.
Guardo Evangeline muoversi tra i tavoli con grazia. Come può quello non essere un pegno d'amore?
Ogni tanto sento il suo sguardo su di me, quando, dopo un po' che è libera viene nuovamente da me.
«Perdonami,» Sembra quasi in imbarazzo. «ho visto il tuo mantello e la spada, i lunghi capelli neri e il fatto che ti copri il volto e non posso fare a meno di pensare che tu sia la Paladina Scarlatta. È così, vero?» Poggia le mani sul tavolo e si protende verso di me.
La sua voce è piena di interesse e io non resisto più. Ho bisogno di prendere dell'aria fresca. Butto giù un altro sorso di birra che mi fa tossire e decido di uscire. Mi alzo lasciandola al tavolo, da sola e confusa.
Afferro la maniglia quando la porta si apre con uno scatto verso di me. Di fronte mi ritrovo Cassian vestito come la prima volta che ci siamo incontrati. Abbasso immediatamente la testa e lo aggiro senza scusarmi. Lui dovrebbe essere davanti la mia porta a proteggermi, mentre io dovrei essere nel mio letto a dormire.
Aspetto che la porta si chiuda, mi appoggio con la schiena sul legno e respiro profondamente.
Evangeline non ha idea di chi io sia in realtà, ma l'impatto che la Paladina Scarlatta ha avuto sulla città sembra essere più che positivo.
Rallento il respiro e mi metto a ridere.
Sono l'eroina di una che non dovrei sopportare. Fa molto più ridere di così, probabilmente.
«Se Cassian è qui e la città è tranquilla, credo sia arrivato il momento di tornare.»
Allenatore un po' il cappuccio sulla testa, abbastanza alto per vedere e abbastanza in basso per non essere riconosciuta.
La musica della taverna diventa sempre più distante man mano che vado avanti, ma un altro rumore cattura la mia attenzione. Proviene da un vicolo buio alla mia destra e assomiglia a dei passi pesanti e a qualcuno che sta cercando di urlare, ma ha la bocca tappata.
Estraggo la spada e muovo qualche passo in direzione del rumore quando un gatto spelacchiato e scarno spunta fuori dalle tenebre soffiando contro e spaventandomi.
Mi porto una mano sul petto per sentire se il cuore mi batte ancora, e faccio un leggero sospiro. Ma dell'oscurità vedo due paia di occhi brillare. Vengono avanti, a passi lenti, due figure, hanno la pelle grigia, dei denti appuntiti impegnati in un ringhio; la loro testa è calva, ricoperta di qualche macchia marrone chiaro. Hanno le orecchie appunta e solo dal mantello li riconosco come due dei tre loschi figuri che erano seduti nella taverna.
Qualcosa viene lanciata dalle profondità del vicolo, o meglio qualcuno. Una giovane donna cade ai miei piedi. Ha le articolazioni rotte, gli occhi aperti in un visibile stato di terrore. La gola è squarciata a metà, così come il suo ventre dal quale esce una piccola manina.
Sento la birra ritornare su per la gola.
Vorrei vomitare e invece stringo ancora di più la spada in pugno.
Da in mezzo alle due figure ne compare una terza identica alle altre. Dalla sua bocca cola sangue e il suo mantello ne è impregnato.
Indietreggiare di qualche passo e mi convinco che devo combatterli.
«Voi siete i Rosethorne?»
L'uomo al centro si inginocchia e comincia a tracciare con il dito delle linee sul terreno. Quando si alza mi indica la rosa rossa che ha disegnato. La prendo come una risposta affermativa.
Stringo ancora di più l'elsa e punto l'arma nella loro direzione. La creatura più alla destra di tutti mi soffia contro e si avventa verso di me. Gli procuro un taglio dallo stomaco fino la gola. Cade in ginocchio con un rantolo di lamento. Ci vuole poco che stramazzi a terra privo di vita.
Mi soffia contro anche il secondo e a questo punto ho acquisito più coraggio.
«Venite avanti.»
Li istigo.
L'uomo attacca. Protende in avanti le mani le cui unghie diventano lunghe come artigli.
Ruoto su me stessa e le schivo. Allungo la spada e gli taglio di netto la mano all'altezza dell'avambraccio. Sangue nero comincia a sgorgare sul terreno. Per un attimo mi sembra di vedere una punta di terrore sul suo volto, ma scompare in fretta. Mi ringhia contro e si getta nuovamente all'attacco, questa volta con una sola mano. Gli taglio anche l'altra. Gli ruoto intorno e gli procuro dei tagli alle gambe, due dietro al ginocchio e due alle caviglie.
Un grido di lamento esce dalla sua gola prima che il pesante corpo cada sul terreno. Arranca cercando disperatamente di arrivare al compagno che è rimasto in piedi e che invece mi scruta con sguardo minaccioso. Cammino lentamente verso la creatura che striscia e gli pianto la spada nel cranio. Muove le braccia colpite da spasmi prima di crollare a terra morto.
L'ultima creatura digrigna i denti non smettendo mai di fissarmi con i piccoli occhi neri. Allunga gli artigli e si prepara a caricare. Corre verso di me a bocca aperta, ma io sono più veloce. Mi sposto dalla sua traiettoria e do un forte colpo con la spada dritta sul suo collo.
Mi sembra passare un'eternità.
Quando mi volto a guardarlo, il corpo giace prono con la testa staccata accanto a lui.
Mi accuccio vicino la testa, gli occhi si muovono ancora e mi fissano sbarrati. Allungo due dita verso il sangue nero che cola copioso dal collo e lo annuso ma è inodore. Guardo ancora una volta gli occhi dell'uomo e decido di assaggiare il suo sangue. Non è come quello umano, è appiccicoso e ha un gusto più acre, come se fosse andato a male.
«Chi è la?»
Sento la voce di Cassian farsi sempre più vicina alle mie spalle. Sento le gambe irrigidirsi. Non posso voltarmi o mi riconoscerà.
«Ferma là, non ti muovere.»
Mi alzo lentamente disobbedendo ai suoi ordini e scappo più veloce che posso. Sulla mia testa il cielo nero si illumina a giorno per dei lampi.
In poco tempo la pioggia sarà vicina.
Scalo l'edera ed entro nella mia stanza che ho la gola secca e sento il cuore pulsarmi in ogni parte del corpo. Ci mancava poco che Cassian mi riconoscesse per ben due volte.
Vado alla porta, la apro e lui non è lì al suo posto.
Troverà i tre cadaveri, e in poco tempo lo verrà a sapere tutta la città.
Mi levo il mantello e lo nascondo, insieme alla spada, sotto la seconda tavola di legno alla destra del caminetto. Dopodiché mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi, giusto un attimo, quando sento la balia urlare entrando di corsa nella stanza.
«Principessa, svegliatevi.»
Apro gli occhi e la luce del sole inonda la mia stanza mentre l'odore di pioggia mi riempie le narici.
«È successa una vera tragedia dovete...» La balia mi squadra da testa a piedi. «Ma come vi siete conciata?» La sua faccia è schifata dai pantaloni di cuoio e la camicia bianca che indosso. «Dovete cambiarvi immediatamente e presentarvi al concilio.»
Prende un vestito nero dall'armadio e mi aiuta a cambiarmi.
Cassian ancora non è dietro la porta. Forse è rimasto fuori tutta la notte.
La balia saltella velocemente nei corridoi, le sue gambe troppo corte per sembrare una camminata normale. Mi guardo intorno imbarazzata mentre tutti i presenti alla corte la guardano con bacca aperta e occhi sgranati. Cerco di rallentare il passo e prendere le distanze da lei, ma ogni volta si gira a guardarmi e mi esorta a velocizzare il mio passo.
«Coraggio! Non abbiamo mica tutta la giornata.»
Salta sulle gambe tozze gridando ai quattro venti.
Abbasso la testa e continuo a camminarle dietro, cercando di velocizzare il passo per evitare sguardi indiscreti.
Nessuno si alza quando entro nella sala del concilio.
«Non possiamo permettere che una cosa del genere capiti ancora.»
La voce di lord Cars risuona acuta tra le mura.
Le porte si chiudono alle mie spalle facendo calare il buio nella stanza. L'unica fonte di luce è il sole che ancora sta sorgendo e che entra dalle vetrate alle spalle di mio padre il quale, seduto sul suo scanno, ha la testa appoggiata sulla mano e lo sguardo perso sulla mappa intagliata sul tavolo.
«Re Ramondo,» ser Ancelor si avvicina a mio padre «dobbiamo trovare un modo per contrastarli. Non possiamo più rimanere con le mani in mano. Sono entrati nei vostri territori di Eone, sono arrivati fino a Enante. Quanto tempo passerà prima che ci attacchino con tutte le loro forze?»
Mi siedo al mio posto cercando di rimanere il più in silenzio possibile. Dallo sguardo è ben evidente come lord Cars non mi vorrebbe lì in quel momento.
«Potresti ripeterci le dinamiche dell'accaduto?»
Cassian rivolge un inchino alla richiesta del suo comandante.
«Era poco prima dell'alba ero... camminavo per le strade di Enante e...»
«E perché mai non eravate a protezione delle camere della principessa?» lord Cars si agita sulla sedia di legno.
«Sono stata io a dargli il permesso. Avete qualcosa da obiettare?» Lo guardo dritto negli occhi evitando di sbattere le palpebre o distogliere lo sguardo.
Lord Cars mi rivolge un inchino indirizzando i suoi occhi sul pavimento, così posso indicare a Cassian di continuare.
«Camminavo per le strade di Enante quando ho visto una figura inginocchiata nel bel mezzo della strada.»
«Era uno dei Rosethorne?»
«No, sire. Era una ragazza, credo. Indossava un lungo mantello rosso che le arrivava fino ai piedi e lunghi capelli neri che le ricadevano morbidi sulla schiena. Purtroppo è scappata prima che potessi scoprire chi fosse.» Sento frasi non dette pesare sulle mie spalle «Ma quando mi sono avvicinato, mai avrei potuto immaginare uno scenario del genere. Erano in quattro: una giovane donna, sicuro vittima degli altri tre, uno giaceva con lo stomaco aperto, a un altro mancavano le braccia e il terzo...» Cassian indica un lenzuolo bianco macchiato di rosso dal quale esce l'orecchio della creatura che ho ucciso. «Vogliate perdonarmi, vostre maestà, per avervi svegliate così presto.»
Mio padre lo silenzia con un gesto della mano.
«Hai invece fatto benissimo. Una questione del genere è della massima importanza. Avete ragione ser Ancelor, non possiamo lasciare che i Rosethorne entrino a Eone una volta di più.»
«È di vitale importanza attaccare adesso.» Ser Dax indica la testa avvolta dal lenzuolo «Qualcuno ha ucciso tre dei loro, saranno turbati e impauriti. Dobbiamo approfittare di questo momento.»
«Preparate l'esercito.» Ordina il re. «Partirete domani alle prime luci dell'alba.»
Ser Dax si alza in piedi e si congeda con un profondo inchino verso mio padre e verso di me. Mentre se ne va appoggia una mano sulla spalla di Cassian.
«Tu rimarrai con la principessa. Se dovessimo fallire, sarai la nostra unica speranza.»
Vedo negli occhi di Cassian risolutezza. Vuole proteggermi, me lo sento.
«Padre,» prendo coraggio ma non lo guardo negli occhi, ho bisogno di nascondere la macchia che si sta propagando «permettetemi di andare con loro.»
Lord Cars soffoca una risata ma lo ignoro.
«Andare con loro dove?» Borbotta il re.
«Con l'esercito. Vedete io...»
«Non se ne parla minimamente. Sei l'erede di Enante, la mia unica figlia. Non posso permetterti di andare a combattere nel bel mezzo di una battaglia. Sarebbe troppo pericoloso e non sei stata addestrata per questo.»
Si alza lasciandomi lì.
«Ma vedete, padre,» mi alzo seguendolo «io ho...»
«Un no è un no. Non voglio che le mie decisioni vengano contestate, neanche da mia figlia. Sono stato chiaro.»
Indietreggio di mezzo passo e chino la testa.
«Sì, padre.»
Uno ad uno i presenti lasciano la sala lasciandomi da sola, Cassian ancora impettito in piedi che aspetta una mia mossa.
«Andiamo.» Dico semplicemente e mi segue senza emettere alcun suono.
Ci dirigiamo in silenzio verso la sala del pianoforte. Lui non dice niente, io non dico niente. Ma sento costantemente la sua presenza alitarmi sul collo. C'è così tanto non detto tra di noi. Sento che vorrebbe parlarmi, chiedermi dei miei occhi e del sangue.
Credo sospetti sia stata io a uccidere quei tre.
Premo con foga i tasti del pianoforte creando una dissonanza per l'itera sala. Sono la principessa, la Paladina Scarlatta, e comunque mi è ancora vietato proteggere il mio popolo.
Un cardellino si appoggia sulla siepe di rose e intona una canzone. Non gli importa delle gocce di pioggia che gli bagnano le piume. Lui semplicemente canta così com'è destinato a fare.
Anche io devo essere un cardellino, devo compiere il mio destino e non lo farò certamente standomene seduta su questo sellino.
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