1. Alina
«Alina! Alina!»
Sento la voce della balia chiamarmi, segno che sono ancora troppo vicina. Eludere le guardie è facile, basta aspettare che il vino faccia effetto. Con la balia, però, è più difficile: appena scopre che sono scappata, lascia tutto quello che sta facendo e comincia a cercarmi. Non mobilita mai tutto il castello per paura della reazione di mio padre; una volta capito che sono uscita dalle mura e sono andata al villaggio, porta con sé solo qualche guardia.
Mi alzo il cappuccio della mantella per proteggermi dai raggi del sole e nascondermi da occhi indiscreti. Opto per la strada nel bosco, molto più buia ma altrettanto sicura rispetto a quella che passa per i campi.
Scendo la collina nascosta dagli alti alberi. So di essere arrivata al villaggio quando il rumore delle cicale viene sovrastato dalla musica che riempie l'aria. Dentro di me la gioia prende il sopravvento. Sento comparire un grosso sorriso sul volto e gli occhi illuminarsi alla vista delle prime case gialle dai tetti di paglia.
Non sento più la voce della balia, ma mi sistemo lo stesso il cappuccio anche se, ormai, al villaggio mi conoscono tutti.
«Ciao Lina, è da un po' che non ti vediamo in giro. Come stai?»
Bread, il fornaio, si ferma sull'uscio della panetteria con un vassoio di pane fresco in mano. Naturalmente nessuno sa che sono la principessa.
«Salve signor Bread. Oggi è una giornata magnifica» rispondo con un giro su me stessa.
«Puoi ben dirlo cara» La signora Jean, la moglie del panettiere, esce a salutarmi con il grembiule sporco di farina e un mattarello in mano. «Questa mattina si è sposata la figlia del sindaco, la dolce Isabella. Se vai in piazza dovresti ancora trovare i festeggiamenti e, a giudicare dalla musica, sembra che ne abbiano ancora per molto.»
Ringrazio gentilmente e i due mi regalano un panino al burro. Amo gli abitanti del villaggio, sempre amorevoli e calorosi nei miei confronti. Seguo la musica fino ad arrivare alla piazza principale addobbata a festa. Ovunque sono appese ghirlande e coriandoli cadono copiosi dal cielo. Mi tolgo il mantello e lo appoggio su un muretto a secco mentre volteggio allegramente tra la gente che balla, quando scorgo con la coda dell'occhio Isabella nel suo bellissimo vestito bianco. Vado da lei e le stringo le mani.
«Sei la sposa più bella che abbia mai visto.» La guardo dritta negli occhi color prato, che sprigionano tutta la felicità di quel momento.
Un uomo alle sue spalle si avvicina e la prende per la vita.
«Grazie Lina,» la voce di Isabella è cristallina come l'acqua del fiume che costeggia il villaggio «è per noi motivo di gioia averti qui oggi. Lui è Rufus, mio marito.»
Faccio un inchino al ragazzo, poco più grande di noi, e lui ricambia con cortesia. Poi li lascio al loro divertimento. D'altronde è il loro giorno di felicità, non il mio. Mi faccio trascinare dalla musica e mi metto a ballare in mezzo a tutti.
«Sei molto bella, sei una fata?» Una piccola vocina mi richiama dal basso.
Interrompo la mia danza e mi ritrovo, tra le pieghe della gonna, una bambina di appena cinque o forse sei anni.
«Ciao piccolina. Come ti chiami?» Le chiedo sorridendo.
«Lina.» Sul volto deve essermi comparsa un'espressione di stupore, perché subito vedo la bambina mettersi un dito in bocca spaventata.
«Mela? Mela eccoti qua.» Una giovane donna dai capelli castano chiari e la carnagione olivastra si accucciata vicino alla bambina e la prende in braccio «Quante volte ti ho detto di non allontanarti?»
«Ma mamma, è una fata.»
La donna sembra accorgersi di me solo quando Lina mi indica.
«Le chiedo scusa signorina, mia figlia Melina è appassionata di fiabe. Deve averla scambiata per una fata del suo libro.»
Sorrido avvolta dalla felicità.
«Si figuri, sua figlia è davvero adorabile.» Ma qualcosa dietro la madre e la figlia cattura la mia attenzione. «E ora credo di dover proprio andare. È stato un vero piacere conoscervi, entrambe.»
Due guardie, vestite con tanto di armatura argentata, irrompono nella piazza facendo calare il silenzio.
«Siamo alla ricerca di una persona.» Annuncia uno dei due mentre l'altro comincia a girare tra gli abitanti «Se sarete collaborativi non ci vorrà molto.»
Devo andarmene da qui. La gente si accalca e io ne approfitto per infilarmi tra le varie persone e fuggire via. Lancio qualche occhiata alle mie spalle, ma per fortuna le guardie sembrano non avermi notata. Mi infilo in una stradina laterale, ma altre due guardie sbucano di fronte a me. Istintivamente porto le mani al cappuccio e provo ad alzarmelo, ma mi ricordo di aver lasciato il mantello su un muretto.
«Cazzo.»
Per fortuna la balia non può sentirmi imprecare. Alla mia sinistra si apre un vicolo, unica via di salvezza. Cammino guardandomi dietro sperando che le guardie non mi abbiano seguita. Il fetore di alcol misto a liquidi corporei è pungente, così mi porto una mano sul naso per coprirlo, ma guardandomi alle spalle non mi rendo conto di andare a sbattere contro qualcuno. Alzo la testa per chiedere scusa, ma l'uomo che mi trovo davanti non sembra avere per nulla buone intenzioni. Non è molto più alto di me, ma è grosso il doppio. Porta dei pantaloni rossi stretti e una maglia troppo corta che gli fa uscire la pancia; la testa è fasciata da una bandana e in bocca gli sono rimasti pochi denti neri.
«Guardate un po' qui chi abbiamo.» Ride e dietro di lui compaiono altri due uomini, brutticeffi come lui.
«Vogliate perdonarmi signori, ma sono di fretta e dovrei tornare a casa.» Provo a farmi spazio tra i tre ma l'uomo al centro mi prende per un braccio e mi spinge indietro ridendo.
«Avete sentito ragazzi?» La sua voce è graffiata «La ragazzina qui ha fretta. Tranquilla tesoro, non ci metteremo molto.»
La sua stretta sul mio braccio si fa più dura. Sento le sue dita arrivarmi fin alle ossa. Il cuore comincia a battermi sempre più forte e sento un nodo nascermi in gola. Non riesco a urlare. Provo a divincolarmi ma l'uomo mi prende per entrambe le braccia. Uno degli altri due mi mette una mano sulla gonna e comincia ad alzarla.
«Lasciatemi.» Il fiato mi esce a fior di labbra. «Lasciatemi andare ho detto!» Riesco a urlare, ma in un vicolo del genere nessuno potrà sentirmi.
«Avete sentito la signorina?» Una voce grave alla mia destra fa fermare tutti e tre i malviventi, che si voltano nella sua direzione. «Lasciatela andare.»
Dall'ombra esce un uomo alto. Non riesco a inquadrarlo bene perché è in penombra, ma poggia una mano sul fianco, su quella che sembrerebbe essere una spada. I tre uomini ridono e quello che mi tiene stretta dalle braccia fa un cenno con il capo agli altri due.
«Ma signore ce n'è abbastanza per tutti.» La sua voce mi dà il voltastomaco; ha il fiato che puzza di alcol e le mani calde e bagnate. I suoi due sgherri si avvicinano lentamente all'uomo che è appena comparso. In un attimo di lucidità provo a divincolarmi, ma la stretta dell'uomo è troppo forte e finisco per farmi soltanto male.
I due si lanciano sull'uomo. Il primo viene schivato e finisce a terra, faccia nello sterco. Il secondo viene preso per un braccio, fatto ruotare un paio di volte e poi fatto finire anche lui faccia a terra. Sento quello dietro di me imprecare.
Il primo uomo che è caduto a terra si rialza e prova ad attaccare il mio salvatore alle spalle. Ma quello lo afferra, lo solleva in aria e lo sbatte a terra. Non si muove più.
«E va bene allora.» La presa sulle mie braccia si allenta fino a scomparire del tutto. L'uomo mi lascia per tirare un pugno a colui che ha steso i suoi due amici. Potrei scappare, andarmene via di qua, ma la paura mi tiene inchiodata al terreno, impedendomi di muovermi.
Con un solo pugno, l'uomo è a terra.
«State bene signorina?» Il mio salvatore si dirige verso di me, allungando una mano. Annuisco ancora spaventata.
Quando esce alla luce, posso finalmente ammirarlo. I suoi capelli castani sono striati di grigio e la mascella squadrata è imperlata di sudore. Indossa un gilet di cuoio sopra una camicia bianca e al fianco porta una spada dall'impugnatura finemente decorata. Gli offro la mia mano e lui la bacia senza distogliere mai i suoi occhi neri dai miei.
«Vi ringrazio per quello che avete fatto per me.» Guardo i tre svenuti a terra.
«Magari la prossima volta evitate vicoli come questo.»
Il suo sorriso perfetto mi mozza il fiato. Ricambio con un leggero riso e, senza aggiungere altro, mi volto lasciandolo lì. Quando arrivo alla fine del vicolo mi giro per guardarlo, ma lui è già sparito.
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