CAPITOLO VII - Pras

Quando Pras era nato, le sue sorelle erano talmente arrabbiate da fare invidia all'ira dei lupi. Era l'ottavo figlio, con occhi rossi come il sangue. La pelle pallida e con poca peluria... I vampiri non erano un terreno fertile neanche per il sudore, neanche per i peli.

Quando Pras era nato, l'ira delle sue sorelle non era paragonabile a quella del giorno in cui nacquero i loro due fratelli, i gemelli Qras e Tras. I loro occhi erano di un rosso leggermente più scuro e sua madre aveva temuto che morissero nel giro di poche ore.

Non c'erano stati altri maschi dopo. Le sorelle di Pras pregavano ogni notte perché nascessero solo femmine. Era ovvio. Tutti sapevano che i vampiri maschi avevano bisogno di più sangue per nutrirsi, che la loro sete era più acuta delle femmine.

Le sorelle di Pras sapevano controllare i loro istinti fin dall'infanzia. I gemelli erano stati rinchiusi in casa fino ai dieci anni.

Ma Pras no.

Lui era diverso dagli altri, aveva meno sete, aveva più lucidità. Gliene sarebbe servita ogni grammo per realizzare i suoi sogni, ma Pras ancora non lo sapeva.

'Tu sogni troppo, finirai con lo svegliarti' gli urlava contro Aras, la maggiore. Pras continuava a sorridere con i denti aguzzi e giocare con le fialette rosse di sua madre.

Un giorno Pras si svegliò e scoprì che Berf era sparito. Ricordava il loro primo incontro, quando il licantropo non credeva che i vampiri potessero nascondere fiale di sangue. Pras gliele aveva mostrate, senza farsi accorgere dalle sorelle. Berf era stupito. Avevano sette anni.

Molti soli erano sorti da allora. Pras aveva bevuto litri di sangue, Berf ululato sotto milioni di lune. Nulla era cambiato.

Quando Pras seppe che anche Vanya era sparita, capì che quei due erano andati a cercare la fata. Arianna. Avrebbe voluto che lo portassero con loro. Quel giorno Pras temette che qualcosa fosse cambiato.

Passarono i minuti. Passarono le ore. In quel poco tempo Vricia cercò il nipote in ogni tugurio. La vecchia si spinse persino tra le mura dei vampiri, accompagnata da Menz. Non trovò quello che cercava. Era delusa.

Pras bevve un po' più sangue quel giorno. Doveva affogare nel bicchiere l'amarezza. Alla fine le sue labbra erano rosse come due ciliegie mature. Le pulì in fretta, prima che Aras o una delle altre sorelle potessero vederlo. Si sarebbero arrabbiate.

Quando Pras si svegliò il giorno dopo e non trovò Berf, rimase scosso. Era convinto che non ci avrebbero messo più di un giorno per arrivare dalla fata. Pras era più lucido degli altri. Il villaggio cominciò a pensare che Berf fosse morto. Pras pensò che fosse successo qualcosa di molto più oscuro.

Il terzo giorno confidò i suoi sospetti a Menz, il fratello di Berf. Ma il giovane licantropo non capì e ripeté le convinzioni dei vecchi. Dicevano che Berf fosse morto, che gli umani lo avessero scuoiato. Pras non gli credeva: aveva visto il lupo che era in lui. Nessun umano poteva ucciderlo.

Il quarto giorno non accade nulla di eccezionale e Pras cominciava ad abituarsi a quella nuova vita solitaria. Andò in biblioteca, sistemò i libri come faceva Berf, poi ordinò per intensità le fiale di sangue. Non disse a nessun altro dei suoi sospetti. Lo avrebbero deriso. Ma lui sapeva che Berf non era morto. Sapeva che era successo qualcosa.

Il quinto giorno, finalmente, Pras ne ebbe la conferma.

Arrivarono dieci fate. Non erano mai così tante. Quello era un evento, come la fiera del paese. Si calarono nella fossa sbatacchiando le ali. Pras pensò che racchiudevano i colori di tutti gli arcobaleni che non aveva mai visto. Quelli come lui non potevano vedere l'arcobaleno. Ma Pras avrebbe voluto.

'Tu sogni troppo, finirai con lo svegliarti'.

Le fate portarono scatole colme di cibo e bevande. Il loro profumo inneggiava mondi lontani.
«Sta per scatenarsi una guerra lassù» disse una di loro «Gli umani distruggeranno tutte le piantagioni. Sarà meglio conserviate queste scorte».

A Pras non piacque come lei dava ordini mascherandoli da consigli. Ma non disse nulla davanti a loro. Aveva paura.

Il villaggio ringraziò le fate - il loro cibo era sempre migliore di quello che cresceva sotto terra. Le dieci creature promisero che sarebbero tornate dopo tre giorni. Dissero che avrebbero portato con loro una sorpresa.

A Pras non piacque come loro dissero 'sorpresa'. Sapeva di qualcosa di sporco.

Quando tornò a casa quella sera, la sua famiglia banchettò con il cibo delle fate e con brocche di sangue. Erano maiali grassi pronti per il macello.

«Io non credo che Berf sia morto» disse Pras quando sua madre servì il dolce.

Iras, la terza delle sue sorelle e la più vanitosa, storse le labbra:
«Ancora con questa storia? Infilatelo in quella testolina pelata: Berf non tornerà».

«Questo non vuol dire che sia morto» si ostinò Pras, senza alzare gli occhi rossi dal piatto per timore.

«Chi va nel mondo degli umani, muore» sentenziò Eras, la sorella che leggeva più di tutte le altre.

«E come fai a saperlo? Ci sei stata?».

«Nessuno è mai tornato» rispose sua madre «Mangia, Pras».

«Se nessuno torna, non vuole dire che sia stato ucciso dagli umani» si ostinò Pras, che aveva più lucidità degli altri «Perchè le fate ci hanno dato questo cibo?».

«Perché ci sarà una guerra! Lo hanno detto» dissero all'unisono i gemelli.

Ma Pras continuava a non crederci. Aveva meno sete di sangue. Aveva più lucidità.

«Se fosse vero... Perché non lo hanno tenuto per sé? Non vi sembra sospetto?».

«Le fate sono buone» sentenziò suo padre, senza neanche guardarlo.

«Ma se non lo fossero? Vivono a contatto con gli umani! Forse dovremmo andarcene. Non farci trovare qui quando torneranno... Nessun umano potrebbe uccidere Berf» a Pras tremavano le mani. Strani pensieri gli offuscavano il giudizio.

«Tu sogni troppo, finirai con lo svegliarti» sussurrò sua sorella Aras.

Pras piegò le spalle, sconfitto, tornando nel silenzio che lo tormentava. Eppure una parte di lui continuava a voler vedere l'arcobaleno. Voleva vederlo insieme a Berf.

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