CAPITOLO V - Arianna
Arianna pensó a quando Berf la baciava.
Lui non lo faceva come tutti gli altri, come i principi delle fate. Nè come gli umani.
Lui era diverso. Era rude e pressante e quasi timido al tempo stesso. Era sfuggente come il vento, ogni volta che lei lo sfiorava lui si ritraeva. Quasi temesse di renderla immonda. Quasi temesse di ferirla.
Non poteva farlo. Berf era perfetto.
Arianna era saltata da un uomo all'altro, da un principe della fate all'altro per così tanti anni... Nessuno era come Berf. Lui era diverso. Doveva trovarlo. Doveva raccontargli la verità.
Sospirò, lasciando vagare lo sguardo violetto oltre il vetro immacolato della finestra.
Avrebbe dovuto dirgli la verità quando poteva. Era stata sciocca. Come tutte le fate. Ora era confinata in quella stanza dalle pareti di foglie d'edera e ricami d'oro. Al sicuro, come amava ripetere sua madre. Ma Arianna sapeva che era una bugia.
La regina delle fate non l'aveva lasciata lì in solitudine per la sua sicurezza, ma per la loro, per quella degli altri. Per la sicurezza delle fate. Doveva scappare.
Doveva trovare Berf.
«Principessa, ho raccolta le bacche rosse dal Grande Pioppo. Ve ne ho portate un vassoio».
La sua Nutrice era l'unica ad avere le chiavi della stanza dorata. Entrò sorreggendo un enorme vaso trasparente, ricolmo di piccoli chicchi rossi perfetti. Le bacche del Grande Pioppo erano considerate i frutti della vita. Le fate se ne servivano per ogni medicina.
«Non mi servono, Nutrice».
La vecchia sorrise con comprensione. L'età avanzata era impressa in ogni ruga del suo volto, in ogni filo delle sue grandi ali marroni sbiadite.
«Principessa, siete così triste. Le bacche vi aiuterebbero a ritrovare un po' di gioia» le sue mani rugose si posarono sulle spalle di Arianna come un soffio di vento.
Erano confortanti.
«Non mi serve ritrovare la gioia, Nutrice. Mi serve ritrovare Berf».
La Nutrice scosse tristemente il capo, mentre le bende che tenevano i suoi capelli grigi ondulavano. Quello era il destino delle fate meno fortunate, che non sapevano volare in alto, che violavano regole mai scritte. Diventare sguattere di altre fate, perdere ogni titolo, non avere più un nome. Arianna non aveva mai saputo quale fosse il nome della sua Nutrice.
«Non pronunciare quel nome, Principessa» sussurrò la vecchia, regalandogli una carezza delicata «Se tua madre lo sentisse... conosci l'ira della Regina».
Arianna sapeva di essere una di quelle fortunate. Non solo perché un giorno avrebbe indossato la corona di cristallo. Era fortunata perché nonostante le avventatezze, nonostante le marachelle, nonostante i dispetti, la sua Nutrice le voleva bene. Succedeva raramente.
Suo padre - ali nere, vestito rosso, una pipa di mogano - glielo diceva sempre quando era bambina. La sua voce - Arianna ricordava che odorava di tabacco impastato - rideva e gridava "È facile volerti bene, a te".
A volte la fata pensava che si sbagliasse... che in realtà fosse troppo facile. Sarebbe stato meglio che tutti la odiassero, proprio come odiavano sua madre.
«Io devo trovarlo, Nutrice».
La vecchia sembrava combattere contro se stessa, mentre le ali marroni si agitavano lievemente nell'aria. Stava cedendo.
«Devo trovarlo» ripeté Arianna, guardandola con la più forte intensità di cui fosse capace.
Doveva scappare. Sarebbe volata fino all'Isola, raccontato tutta la verità - oh, cielo! Lo avrebbe fatto davvero! - e poi, se Berf l'avesse ancora voluta, sarebbe rimasta con lui per sempre.
Non avrebbe dovuto lasciarlo quella notte... davvero credeva che sua madre non l'avrebbe fatta spiare? Davvero credeva che le avrebbe permesso di sposare un licantropo?
«Ti prego, Nutrice... devo raccontargli la verità».
«Quale verità, Principessa? Cosa gli dirai?» la vecchia Nutrice corrucciò le sopracciglia pesanti «Pensi davvero che se lo farai, il tuo lupo rimarrà al tuo fianco? Ti ucciderà. Lo so. L'ho visto».
«Berf è diverso» ringhiò Arianna.
«Diverso? Intendi dire che non si arrabbierà?» la Nutrice afferrò la spazzola poco lontano e cominciò a passarla sui capelli violetti della principessa. Lei non si oppose «Le fate hanno insegnato ai mezzi demoni ad odiare gli umani. Pensi che non si arrabbierà quando scoprirà che è stata tutta una menzogna? Vai, raccontagli che la guerra fu manovrata da re Arald l'Invicibile. Raccontagli di come le fate ingannarono ogni specie. Raccontagli di quando i tuoi antenati uccisero i Giganti, di quando scacciarono i suoi avi in mezzo al mare. Raccontagli degli uomini che teniamo tra noi come schiavi. Raccontagli che la Regina sta progettando di ucciderli definitivamente. Raccontagli che li abbiamo educati a fidarsi di noi per distruggerli più facilmente».
Arianna sentiva le lacrime pizzicare al margine degli occhi.
«Berf capirà. Andrò sull'Isola. Lo troverò. Capirà. Aiutami, Nutrice!».
Lei non ci credeva davvero che Berf avrebbe capito. E non ci credeva neanche la sua Nutrice. Ma sapeva che senza il licantropo non avrebbe potuto vivere. Non esistevano bacche che potessero restituirgli quella gioia.
La vecchia posò la spazzola e le prese il volto con due dita. La osservò attentamente.
«Non servirebbe a nulla ormai, Principessa» disse infine.
«Ma...».
«La Regina ha inviato un sicario» sussurrò la Nutrice, la voce così bassa da essere quasi impercettibile «Non permetterà a Berf di scoprire nulla... lo ucciderà prima».
Arianna si accasciò sul piccolo divano, una mano stretta al cuore. L'orrore la investiva. Le labbra si muovevano senza suono.
«Non è possibile» sentenziò alla fine, cerea «Berf ucciderà il sicario».
«Marisa non ha mai fallito» rispose la Nutrice.
Arianna sentì il panico impadronirsi del suo sangue.
"È facile volerti bene, a te".
Tanto facile da condannare chiunque a morte.
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