MANHUNT.

Il cigolio della porta annuncia l'entrata di Sabertooth. Ha con sé una valigia marrone e una bustina con dentro piccoli sacchetti bianchi.
La stanza è mal illuminata e documenti, multe, carte di credito rubate e carte di identità false sono sparpagliate sul pavimento e sui tavolini. Quella era una vecchia taverna, quando ha chiuso gli Oleandri hanno deciso di comprarla e trasformarla nel loro covo. La cucina è usata anche come camera da letto: materassi gialli di sudore e chissà cos'altro sono i letti dei nove criminali più letali di Compton. A uno dei tavolini, Duckworth e Biggie giocano a carte e fumano.
«Vinto io, di nuovo. Sgancia i soldi», annuncia Duckworth mentre sorridendo mostra i denti giallastri.
Biggie, uomo robusto con i rasta che gli arrivano alle spalle, sbuffa e porge all'altro una banconota da cinquanta euro. Poi si gira e nota Sabertooth.
«Ah, buonasera, capo. Notizie?»
Quello scuote la testa e mette ciò che ha in mano per terra prima di prendere posto.
«Quell'imbecille di Raven non si fa più trovare. Mi chiedo quanto ci metterà a trovare quel tizio... Come hai detto che si chiama?»
«Kurt. Se vuoi posso andare anch'io.
Sai che Raven non ha mai svolto bene i suoi compiti», risponde Duckworth.
Sabertooth annuisce. «Non hai tutti i torti.»
«Ti sei mai chiesto quanto possa servire a questa gang? Mi sa che di quel Kurt è un po' troppo amico...»
«Ho capito, ora zitto. Decido io se buttarlo fuori o no. Se entro domani non si fa sentire, puoi andare a cercarlo. È stata una giornataccia, io vado a letto.»
Improvvisamente nella stanza cala il silenzio. È di regola che quando Sabertooth dorme non bisogna fare rumore.
«Allora vado a letto anch'io», bisbigliano un paio di persone.

Cory guarda il telefono, preoccupato.
«Hey, tutto bene, fratello?», chiede Kurt mentre tira fuori dal microonde due ciotole di ramen istantaneo, una per lui e una per Samantha.
Lui spegne lo schermo in un lampo. «Sì sì, sono cose del mio lavoro, niente di che. Come sta la ragazzina?»
Sammie alza lo sguardo verso di lui. Ha gli occhi arrossati e stringe in entrambe le mani un fazzoletto. «Come pensi che stia? Mia madre è morta.»
«Giusto, giusto... Mi dispiace. Te la senti di andare a fare una passeggiata con me domani mattina?»
Lei rivolge uno sguardo indeciso a Kurt.
Lui, come leggendole nel pensiero, risponde: «Tranquilla, ti puoi fidare di lui. Parla poco ma ha un gran cuore.»
«Allora va bene, perché no.»
Cory le sorride ed esce.
«Andiamo a letto, Sammie. Alla tua età non dovresti stare in piedi così tardi», dice Kurt mentre tenta di prenderla il braccio.
Lei si libera dalla presa. «Grazie, ma non sono una bambina.»

Viktor è diretto all'università nel quale Candace si sarebbe dovuta incontrare con Anthony Blaze, un giornalista. Ha le mani strette sul volante e si guarda intorno nervoso: è sicuro che Oliver ha escogitato un altro piano per sabotare l'intervista.
Infatti a un certo punto sente due spari. Tutti e due colpiscono le ruote anteriori dell'auto, sgonfiandole.
Si è già preparato: ha tenuto un fucile nel sedile del passeggero. Nel panico, esce dall'auto impugnando l'arma e cerca di identificare da dove vengono gli spari. Intanto un altro sparo raggiunge il finestrino, frantumandolo. Appena intravede un uomo appostato in un albero si mette a sparare a raffica. Quello salta giù e corre via. Che codardo.
Intanto l'altro, nascosto su un tetto dall'altra parte della strada, per poco non gli centra la schiena.
Un signore che sta passando per strada urla e lascia cadere i sacchetti della spesa. Viktor capisce che è arrivato per lui il momento di correre.

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