Samara challenge
Silenzio, solo silenzio. Alex non sapeva dove fosse finito ed era circondato da un muro di nebbia così fitto da impedirgli di vedere oltre un paio di metri davanti a sé. Fu proprio a quella distanza che scorse una ragazza; si muoveva piano e aveva il viso coperto da capelli neri che le ricadevano su un lungo abito bianco. Lui la osservò, immobile.
«Ti penti di ciò che hai fatto?»
«Cosa...?»
La figura indicò un punto lontano alla sua sinistra. Il ragazzo rivolse lo sguardo in quella direzione, dove la nebbia si era dissolta fino a lasciare spazio a un parco che lui conosceva bene. Ciò che vide lo fece rabbrividire: una ragazza distesa sul prato, circondata da tre individui che la picchiavano con violenza. Il suo unico crimine era stato quello di aver preso parte alla Samara Challenge, una moda che in molti avevano cominciato a odiare, tanto da accanirsi contro chiunque ne prendesse parte. Lo sapeva bene, perché era proprio lui a picchiare quella ragazza, assieme ai suoi amici Simon e Jonathan.
«Per favore, smettetela, mi state facendo male!»
I tre la rimisero in piedi, le strapparono la parrucca e le tirarono i capelli.
«Così impari a fare queste cretinate» la schernì Simon.
La spintonarono e ricominciarono a colpirla con calci e pugni.
«Non di nuovo...» Una lacrima di rimorso gli rigò il viso, era costretto per l'ennesima volta a rivivere quei momenti, a farsi logorare dai sensi di colpa. Non ne poteva più.
Quando la scena venne di nuovo celata da un muro di nebbia, Alex, tremante, tornò a guardare colei che aveva di fronte.
«Ti penti... di ciò che hai fatto?»
«Io...»
***
Si svegliò di soprassalto, sudato e ansimante.
Di nuovo quel sogno. Si sedette al bordo del letto e si portò una mano al viso. «Lasciami in pace, maledizione...»
Una vibrazione sulla superficie di un mobiletto lo fece sobbalzare, si voltò e si accorse che il display del suo cellulare si era acceso e rischiarava la penombra della piccola stanza. Era un SMS di Jonathan.
Raggiungici al solito posto.
Indossò i primi indumenti che trovò nel guardaroba, fece una rapida colazione e uscì di casa. Appena arrivò al parco si sedette all'ombra di un pino, vicino a due ragazzi che stavano sfogliando una rivista musicale con aria annoiata.
«Bella giornata, non trovate?» esordì lui, mentre una ventata d'aria fresca gli accarezzava il viso.
«Già» convenne Jonathan. «Godiamocela finché possiamo.»
Alex capì subito a cosa alludeva.
«Suvvia, finché quella svitata rimarrà in coma non correremo alcun rischio.» Simon si lasciò andare in una grassa risata e Alex strinse i pugni.
«Non provi rimorso a sparlare di qualcuno che sta lottando per la vita a causa tua?» gli domandò seccato.
«A causa nostra» lo corresse Jonathan.
Simon sbuffò divertito. «Non me ne frega un cavolo di quella cretina. La prossima volta ci penserà due volte prima di andarsene in giro vestita come un'idiota.»
Rimasero al parco per metà mattinata, poi Simon diede un'occhiata all'orologio. «È ora che vada» borbottò. «Ho promesso a mia madre che le avrei comprato le aspirine.»
Si allontanò e, appena fu sicuro di essere fuori dalla visuale dei compagni, rallentò il passo e cominciò a fischiettare per scaricare il nervosismo. Attraversò una strada trafficata e imboccò un vicolo. Detestava i luoghi stretti, ma quella era un'ottima scorciatoia. Diede un calcio a un sasso e il forte eco che questo provocò gli fece notare qualcosa di strano: c'era troppo silenzio. Il caos della città era svanito e lui non se ne era neppure accorto.
Mi sento osservato. Si guardò intorno e sussultò appena si rese conto di non essere solo.
«Ecco un'altra cretina!» Scalciò con furia un sacchetto dei rifiuti che aveva tra i piedi, senza distogliere lo sguardo dalla figura che gli si era parata davanti. «Non vi stancate mai?»
Era una ragazza travestita da Samara, che lo fissava mentre stringeva un lungo coltello tra le mani.
«L'ultima che si è conciata così è finita in coma, lo sai? Be', ce l'ho mandata io, e se non ti levi dai piedi farai la sua stessa fine.» Si avvicinò a grandi passi e le strappò la parrucca, rivelando il suo volto. Fece un passo indietro, sorpreso. «Ma che...?»
Era la stessa ragazza che lui e i compagni avevano malmenato qualche giorno prima. Era molto pallida, e i suoi occhi... Un brivido gli corse lungo la schiena.
«Cos'è, hai staccato la flebo per tornare a fare questo stupido gioco? Sembri un cadavere!»
Ogni cellula del suo corpo gli intimava di allontanarsi, ma lui non diede retta al timore che lo pervadeva e continuò a insultarla, incurante del fatto che il viso di lei si stesse bagnando di lacrime.
«Ti penti di ciò che hai fatto?»
Era la prima volta che Simon la sentiva parlare. Non solo il suo aspetto, ma anche la voce pareva quella di un morto.
«Puoi ripetere?»
«Ti penti... di ciò che hai fatto?»
Lui scoppiò a ridere sotto il suo sguardo impassibile.
«Me lo hai chiesto davvero?» Scosse il capo, divertito. «No, non mi pento affatto di aver dato a una cretina ciò che si meritava. Anzi, lo rifarei mille volte!»
Mentre pronunciava quelle parole, la ragazza gli si avvicinò con le lacrime agli occhi e il volto trasfigurato dalla rabbia. Alzò il coltello fin sopra la testa.
Simon sentì il cuore martellargli nel petto, la fronte imperlata di sudore. «Che cavolo pensi di fare? Ehi, non ci provare. Ferma, ferma!»
E cadde il silenzio.
Fu un'altra notte agitata per Alex. Appena si svegliò controllò subito il cellulare, ma non c'era alcun messaggio da parte di Simon, invece Jonathan gliene aveva mandato uno orribile:
La ragazza è morta ieri mattina. Siamo salvi!
Fissò a lungo quelle parole, incredulo, poi gettò il cellulare sulle coperte e si mise a sedere.
«Mi dispiace, mi dispiace così tanto...» singhiozzò, gli occhi fissi nel vuoto.
I funerali della ragazza si tennero alle prime ore di quel pomeriggio e lui era là, ad assistere in lontananza alla sepoltura della persona che aveva ucciso. Non ebbe il coraggio di avvicinarsi.
Tornò a casa prima che la cerimonia fosse finita e andò in camera sua, ma il suono del campanello lo costrinse a tornare sui suoi passi. Aprì la porta e vide Jonathan, accompagnato da due agenti di polizia. L'amico aveva le mani tremanti e lo sguardo smarrito.
E così ci hanno scoperti. Ne fu sollevato. «Salve, agenti, accomodatevi.» Indicò il salotto.
«Siamo qui per il signor Simon Perez» esordì uno di loro, il suo sguardo passava da lui a Jonathan. «Questo ragazzo ci ha riferito che era anche suo amico.»
«Era?» Alex corrugò la fronte, confuso.
«Il suo corpo è stato ritrovato questa mattina dietro il vicolo di un minimarket. Aveva segni di numerose coltellate al petto» riprese l'agente. «Quando l'ha visto l'ultima volta?»
Alex ebbe un capogiro violento, non riusciva a comprendere come potesse essere successa una cosa del genere. Tornò alla realtà solo quando uno degli agenti si schiarì la voce.
«Mi perdoni, stava dicendo?»
«Quando ha visto Simon Perez per l'ultima volta?» rispose l'altro, paziente.
«E-era con noi al parco, ieri mattina» riferì. «Ci ha detto che avrebbe fatto un salto in farmacia a prendere delle aspirine per la madre. Non lo vedo o sento da allora...»
Uno degli agenti prese nota su un blocco per gli appunti, mentre l'altro si rimise in piedi.
«Grazie per la collaborazione, ci serviva una conferma dei fatti» disse.
Detto ciò, andarono via, lasciandolo da solo con Jonathan.
Alex si voltò verso il compagno, ancora incredulo. «Com'è...?»
«Non lo so» lo interruppe l'altro. «Senti, vediamoci stasera al solito bar, alle venti in punto. Ho bisogno di bere qualcosa.»
Si allontanò da casa con passi nervosi, lasciando Alex a porsi mille domande.
Quando arrivò al bar, trovò l'amico seduto al bancone e gli si mise accanto.
«Questo posto sarà più silenzioso di prima, da adesso in poi» disse Jonathan.
Alludeva a Simon e alla sua scomparsa, ma Alex non replicò. Nessuno proferì parola per un bel po', entrambi si limitarono invece a ordinare da bere e a rigirarsi i bicchieri tra le mani.
«Ho intenzione di costituirmi» disse Alex all'improvviso. «Non riesco a convivere con questo peso sulla coscienza.»
Jonathan sbarrò gli occhi. «Sei impazzito? Quella stupida ha avuto ciò che si meritava.»
Alex gli rivolse uno sguardo duro. «Nessuno merita di morire e io non sono come te e Simon.»
Jonathan si alzò di scatto facendo stridere la sedia sul pavimento lucido.
«Non la pensavi così quando la prendevi a calci, mi pare» lo accusò. «Sai che ti dico? Fa' come ti pare, ma non azzardarti a fare il mio nome!»
Lanciò i soldi sul bancone e uscì dal locale.
Jonathan camminò a passi rapidi maledicendo la stupidità di Alex. Aveva appena raggiunto un rettilineo isolato che lo avrebbe condotto a casa sua, nella periferia. Una brezza leggera muoveva le fronde degli alberi che aveva attorno.
Rallentò il passo quando non molto lontano vide, di fronte a una panchina per la fermata degli autobus, una persona travestita da Samara che lo osservava.
Che rottura. La ignorò e proseguì, ma dopo qualche metro si voltò e si accorse che era sparita.
Tornò sui suoi passi, indifferente, e quasi gli venne un colpo quando se la ritrovò di fronte. Aveva un lungo coltello in mano.
«Ma che cavolo...?» Il suo cuore perse un battito quando lei si tolse la parrucca e rivelò il viso cereo. «No... tu sei morta, sei morta!»
Provò a indietreggiare, ma mise un piede in fallo e cadde, nonostante ciò continuò a trascinarsi mentre la ragazza gli si avvicinava a passo lento, con volto inespressivo.
«Qualcuno mi aiuti!» urlò. «Aiutatemi, vi prego!»
Non c'era nessuno nei paraggi.
«Ti penti di ciò che hai fatto?»
«Cosa?» Quando comprese il significato di quella domanda, gli si accese un barlume di speranza. «Sì, sì! Mi pento, mi dispiace!» esclamò. «Non farmi del male.»
Dopo un attimo di esitazione, il viso della ragazza si rigò di lacrime.
«Aspetta, sei sorda? Ti ho appena detto che mi dispiace!»
Ma il coltello si alzò e poi calò rapido su di lui.
Quando si svegliò, la mattina successiva, Alex scoprì che Jonathan non gli aveva inviato alcun messaggio e una paura irrazionale gli mozzò il respiro: avevano avuto litigi peggiori, nonostante tutto non avevano mai smesso di tenersi in contatto.
«Suppongo che ora tocchi a me» disse con un amaro sorriso stampato in volto.
Portò dei fiori freschi alla tomba della ragazza, chiuse gli occhi e rimase in silenzio. Appena li riaprì la vide di fronte a sé, con gli stessi vestiti che indossava il giorno in cui l'avevano picchiata.
«Ti penti di ciò che hai fatto?»
«Non volevo che finisse così...»
La ragazza si avvicinò e gli mostrò il proprio volto cadaverico, ma lui rimase impassibile.
«Ti penti... di ciò che hai fatto?»
«Sì, maledizione, sì!» esclamò disperato. «Non c'è un solo istante in cui io non pensi a cosa ti ho fatto, non c'è una sola notte in cui non riviva l'accaduto. Mi pento, ma questo non cambia il fatto che io ti abbia uccisa! Niente può cambiarlo, e sono pronto a subire le conseguenze del mio peccato.» Allargò le braccia e chiuse gli occhi, in attesa del suo destino. Non aveva paura. Non più.
Ma anziché la lama del coltello che le aveva visto stringere tra le mani, sentì su di sé il suo corpo freddo che lo cingeva in un abbraccio.
«Io... ti perdono.» La ragazza gli rivolse uno sguardo colmo di gratitudine.
Alex sentì il corpo svanire tra le proprie braccia, poi cadde in ginocchio e si lasciò andare in un pianto sfrenato.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top