XXVIII. Ritornato
Lo facemmo di notte. Io e una Sophie tanto pallida quanto reticente. L'avevo pregata, minacciata, vezzeggiata... e alla fine aveva ceduto. Era certa che non avrebbe funzionato. Si aggrappava a questo. Io speravo il contrario. Proprio per questo le avevo raccolte personalmente. Prezzemolo, salvia, rosmarino, timo. Le quattro erbe che venivano usate in più campi. In particolare per l'amore e per la morte. Per riportare in vita chi si ama.
-Qua- mi fermai in mezzo a un cerchio di pietre. Le fate si radunavano in luoghi simili, così mi aveva insegnato la nonna.
-Qua?- domandò Sophie, lo sguardo basso.
-Sì, qua è perfetto... passami il sacco- le ordinai, il tono duro. Mi dispiaceva rivolgermi con quelle parole a lei. Sophie era mia amica, non avrei mai voluto parlarle così. Presi il sacco. Tremavo. L'ansia mi stringeva la gola. Estrassi le erbe e le lanciai in mezzo al cerchio, recitando quelle parole vecchie come il mondo, forse più ancora di esso.
La sentii. La magia che sfregava contro la mia pelle, una sensazione che avevo provato quando facevo i riti con la nonna. Socchiusi gli occhi. Potevo farcela, potevo riportarlo indietro. Lampi di luce comparvero in mezzo al cerchio. Ricordai le parole di mia nonna. Il regno delle fate confinava con l'oltretomba. Inspirai l'aria, la testa che mi girava, le narici che bruciavano. Qualcuno singhiozzò. Forse Sophie.
Nulla. Non era successo nulla. La terra non si era aperta facendolo uscire. E io ero sola. Senza il mio Basilius. Chiusi gli occhi, ricacciando indietro le lacrime. Forse non tutto era perso, in fondo non avevo mai fatto un simile incantesimo.
-Andiamo- sussurrò Sophie, appendendosi al mio braccio e tirandomi via.
-Forse bisogna dargli solo un po' di tempo- magari sarebbe spuntata fuori dalla boscaglia. Oppure no. Magari era davvero tutto finito.
-Vieni, andiamo, guarda le nubi, si stanno addensando, dobbiamo tornare al castello, altrimenti ci troveremo sotto un'acquazzone-
Questa volta non opposi resistenza. Era inutile. Non aveva senso combattere... per cosa poi? Inspirai quell'aria che precedeva il temporale. Mi lasciai condurre da Sophie.
Wulf non era ancora tornato. A quanto pare aveva dovuto restare fuori per finire di risolvere il conflitto. Mi rifugiai nella mia stanza. Ero stanchissima e delusa. Non riuscivo neppure a piangere.
-Basilius- sussurrai piano –dove sei?- era tornato in quel regno di fate da dove dicevano provenisse? Era reale?
M'infilai nel letto. Fuori il temporale scuoteva il mondo, capovolgendolo, ferendolo, facendo a pezzi. Mi nascosi sotto le coperte e chiusi gli occhi. Cercai d'immaginare Basilius al mio fianco, come da bambini, durante il temporale. Mi sforzai di ricordare il calore del suo corpo contro il mio. Il conforto che mi dava.
E poi sentii il rumore. Li riconobbi subito. Zoccoli che battevano furiosamente contro il duro terreno. M'irrigidii. Un cavallo al galoppo nella notte? Non poteva esserci. Non con quel temporale. Non così vicino alle mura. Mi tirai su, le lenzuola che scivolarono lungo il mio corpo. Poteva davvero essere lui? Tornato per riavermi indietro, attirato dal mio amore per lui. Scivolai giù dal letto, richiamata da qualcosa che non potevo dire a parole. Mi avvicinai alla finestra e lo potei vedere, su un cavallo nero, ritto come un cavaliere. Un principe delle fate uscito da un sogno colorato da incubo.
-Al- la voce rimbombò nella notte, più forte dei tuoni. Era la sua, non avrei potuto confonderla.
-Basilius- urlai io di rimando.
-Sono tornato... io... credevo che fosse la fine... mi trovavo sotto molti cadaveri... io ce l'ho fatta, sono tornato da te- e i capelli erano appiccicati al viso a causa della pioggia.
Sì, era tornato da me. Io lo dovevo raggiungere. Corsi fuori. Imboccai un corridoio segreto, sollevando la camicia da notte per procedere più rapidamente. Aprii la grande porta cigolante che dava all'esterno. La pioggia mi colpì, gelida, sul viso. La ignorai e corsi da lui. Dal mio amore. Da Basilius. Lui balzò giù da cavallo, come faceva un tempo, di ritorno da viaggi, per corrermi incontro. L'urgenza di vedermi era sempre stata grande. Enorme. Mi sentii di nuovo piccola, bambina, fragile. Sì, il senso di fragilità era quasi soffocante. Ero una di quelle bambole di pezza che usavo in un tempo così passato da sembrarmi irreale. A volte le gettavo giù dalla torre affinché Basilius le prendesse, le salvasse, come se lui fosse stato un valoroso cavaliere di Camelot o di Carlo Magno, e loro le piccole e indifese principesse. L'ingenuità dell'infanzia! Ero certa che le principesse dovessero essere salvate, che i principi sarebbe sempre accorsi per loro. Sbagliavo tremendamente.
-Basilius- lo chiamai in un sussurro roco che si perse nella pioggia torrenziale. Le gocce cadevano con tale violenza da farmi male, ma non m'importava. Corsi e lui mi accolse tra le sue braccia, che si strinsero, forti, intorno alla mia vita. Lasciai che mi facesse volteggiare a mezz'aria, una, due, tre, infinite volte, fino a quando la testa non mi girò tanto che quando mi posò a terra le ginocchia mi tremavano. Mi aggrappai a lui, come se fosse la mia ancora. Notai che la sua pelle era più scura, come se fosse stato bruciato dal sole. E sembrava quasi splendere, come se un liquido brillante fosse entrato dentro di lui. Prezzemolo, salvia, rosmarino, timo.
-Mi sei mancata- le sue labbra si posarono sul mio viso. Erano bollenti, come se fossero state bruciate dal fuoco. Mi percorsero le guance, il naso, la fronte. Baciò le mie lacrime che si mischiavano alla pioggia.
-Anche tu... io ... - dovevo dirgli che mi avevano riferito che era morto? No, meglio di no. Il pensiero mi si annebbiava sotto i suoi baci. Mi resi conto, con sorpresa, che il mio corpo era completamente abbandonato contro il suo, percorso da un languidissimo calore. Non protestai quando mi sollevò e mi aiutò a montare a cavallo. Lui salì dietro di me, un braccio stretto intorno alla mia vita, le sue labbra che premevano contro il mio orecchio, sussurrandomi parole in una lingua che non conoscevo, ma che mi era familiare.
Basilius partì al galoppo, io tra le sue braccia. Vecchie leggende si facevano strada in me, nei miei ricordi. Erano le leggende che mi raccontava nonna da bambina. Bisognava stare attenti alle fate, perché le fate sono subdole, ingannevoli. E gli elfi incantatori riempivano le ballate.
Il cavallo, mi resi conto con stanco stupore, correva veloce. Troppo veloce. Il mondo sfuggiva intorno a noi. Alberi, montagne, stelle. Non era normale. E la voce di Basilius era bassa, ingannevole, avvolgente. Desideravo sciogliermi in quella voce.
-Sono qua per te, sono qua per te-
Ricordai una vecchia storia che mi raccontava mia nonna. La storia di una ragazza che invoca l'amato morto e che viene da questo rapita e trascinata nelle bara. Basilius però era vivo. Le sue labbra erano calde come quelle di un vivo. Abbassai le palpebre, assaporando la dolcezza del suo abbraccio. Erano solo sciocche ballate. Sì, vecchie storie perché le fanciulle non fuggissero con innamorati scomparsi da tempo e poi ritornati alla loro porta. Per evitare il disonore. Non era questo il caso. Basilius era vivo, reale e mio. Soprattutto mio. E con questo pensiero scivolai nel sonno.
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