XXV. La strega
La porta dello studio si spalancò. Alzai la testa sorpresa. Ero persa nello studio di alcuni conteggi. Un uomo completamente vestito di nero se ne stava fermo sulla soglia.
-Dame Alinoir Neuberg?- domandò. Una voce ruvida. La stessa di mio padre quando si preannunciavano guai.
Sentii brivido lungo la schiena. -Sono in difficoltà, voi conoscete me, ma io non conosco voi- mi sforzai di sorridere. La tragedia si allungava su di me.
-Sono Franz Hudder- si presentò con un leggero cenno del capo -sono qui a causa di alcune accuse che vi sono state mosse-
-Accuse?- finsi una tranquillità che non avevo.
-Stregoneria-
Il sangue si gelò nelle vene. Non era possibile. Non un'altra accusa di stregoneria, non un altro incubo.
-Verrete sottoposta a un processo-
-Io non ho fatto nulla-
-C'è chi vi accusa... per la peste-
La peste? Gli avrei riso in faccia se non avessi avuto tanta paura da faticare a respirare. La peste. Che follia! Avevo fatto qualsiasi cosa per salvarli e ora venivo accusata.
-Sono innocente- gemetti.
-Non immaginate nemmeno quante me lo dicano- sollevò gli angoli delle labbra in un sorriso che non aveva nulla di gioioso. Sembrava dispiaciuto, come se avesse sentito mille volte una simile difesa.
-Cosa mi succederà?- chiesi, atona. Mi sentivo stanca, orrendamente stanca. Volevo solo lasciarmi cadere per terra. Sentire il mio corpo sciogliersi. Volevo essere nulla.
-Ci sarà un processo... verrete giudicata giustamente-
Mi morsi la lingua prima di dare una risposta caustica. Certo, certo, erano sempre processi giusti e finivano immancabilmente con il morto. -Voglio sapere chi mi accusa- dissi, gelida.
-Ogni cosa a tempo debito- fece un passo avanti, il mantello che frusciava sulle sue spalle -ora dovrete seguirmi-
-Dove?- tremai.
-In cella-
-No!- un boato, Wulf entrò nella stanza, spintonò l'uomo. -Non dovete toccarla- ruggì. Era bello che mi difendesse, ma molto pericoloso. Rischiava anche lui.
-Calmatevi, giovanotto, altrimenti dovrò far arrestare anche voi- l'uomo si appoggiò al muro.
-Non mi fate paura-
Oh, il mio Wulf, eccessivo nell'amore e nell'odio. -Non intervenire- lo pregai -ho bisogno di te fuori dalla cella-
Wulf mi fissò, poi allungò una mano come a sfiorarmi, ma si fermò a metà. -Va bene- mormorò.
Gli sorrisi come meglio riuscii. -Andrà tutto per il meglio- sapevo di sbagliare, ma non potevo ammetterlo.
La cella era piccola, scomoda, gelida. Sulle pareti cresceva la muffa. Mi sembrava di essere una statua di ghiaccio. Questa volta non c'era salvezza. Pensai a molte cose mentre ero lì. Nulla di allegro. Era la mia fine. L'altra volta era stato solo la pallida immagine di un processo, ora era vero. E io avevo paura. Il mio pensiero volò ad Abel. Dov'era?
Inspirai a fondo e mi sforzai di ragionare. C'erano delle regole riguardo ai processi inquisitori. Non potevano giustiziarmi senza un processo.
La porta della cella si aprì con un cupo cigolio. Tremai, arretrai, strinsi le labbra per non urlare. E vidi l'inquisitore entrare.
-Spero che abbiate riposato bene, Dame-
-Ho dormito in luoghi più comodi- mormorai. La mia voce uscì tremante. Avrei voluto essere sprezzante.
-L'innocente dorme bene ovunque-
Non parlai. Mi sentivo quasi mancare. -Sono innocente-
-Dovete seguirmi, Dame-
-Perché?- avevo la gola secca. Da quanto non bevevo?
-Verrete sottoposta a degli interrogatori-
Indagini. Perché quel termine non mi piaceva? -Che genere d'indagine?- domandai in un soffio. Cercai di mettere ordine nella mia memoria. -Il processo inquisitorio vuole che accusato e accusatore si confrontino-
-Vedo che siete molto preparata... mi dispiace, ma la persona che vi accusa teme talmente i vostri sortilegi per presentarsi ad accusarvi-
-Quindi il processo non è valido!- esclamai, con un guizzo di vibrante speranza.
Lui aggrottò la fronte. -Io sono tenuto a indagare comunque-
-No- replicai, il cuore che mi batteva all'impazzata -non sarebbe valido-
-Questo lo decido io, ogni regola ha la sua eccezione-
No, non era valido. Dovevo rivolgermi al Papa. Sì, la speranza si arrampicò dentro di me. Wulf. Dovevo dirlo a Wulf. Sarebbe andato ovunque per salvarmi.
-E per arrivare a una conclusione dovrò usare la tortura-
Tortura. Il termine esplose nella mia mente. No, non poteva succedere a me. Era qualcosa di lontano e irreale. Eppure sapevo che era vero.
-No, non potete-
-Io ho pieno potere... e se siete davvero innocente Dio vi proteggerà- e uscì senza aggiungere altro.
Il panico annebbiò i miei pensieri. Dovevo trovare un modo per comunicare con Wulf. Tremavo, la testa che mi girava, la gola secca. Avevo mangiato solo del pane secco. Si dimenticavano chi ero? Sentii gli occhi bruciarmi. Cosa potevo fare? Non c'erano vie di fuga. Sospirai e mi lasciai scivolare nel letto scomodo. Speravo solo che non ci fossero le pulci. Feci una smorfia. Ci mancavano solo le... trasalii. In fondo alla cella c'era una figura eterea, con lunghi capelli fulvi e l'abito fatto d'acqua. Piccole pozzanghere si formavano ai suoi piedi. La fissai, incredula. Melusina era venuta a farmi visita. La cosa mi sorprese, ma non mi rassicurò. Temevo il peggio. E se era lì per annunciarvi la mia morte? Il sospetto mi gelò il sangue nelle vene e mi produsse un orrendo mal di testa.
-Diva Melusina- gemetti, sentendomi mancare. Ero febbricitante. Forse ero malata, forse addirittura agonizzante. -Aiutate una vostra figlia, vi prego-
La donna voltò la testa, lentamente, i capelli che le accarezzavano la guancia bianca come il latte. La vidi per la prima volta in tutto il suo intenso splendore.
-Vi prego- supplicai, lacrime che correvano lungo le mie guance.
E Melusina mi sorrise. Il suo sorriso mi scaldò. Provai un senso di pace e calore. Mi addormentai così.
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