XXIII. Partire

Mi tirai indietro i capelli. Non riuscivano a stare in ordine. Arricciai il naso, la mia immagine distorta allo specchio. Io stessa mi sentivo distorta, piena di crepe.

Un cigolio. Mi voltai di scatto, una strana sensazione che mi premeva lo stomaco. Un uomo era in piedi di fronte a me, il cappuccio sollevato, una spada corta stretta in pugno. Lo fissai con un senso d'irrealtà. C'era qualcosa in quella scena che non riuscivo a capire. E poi lui si gettò in avanti. Gridai, presa dal panico. Fui salvata dal tappeto che fece perdere l'equilibrio al mio aggressore e mi diede tempo di spostarmi. Chi era quell'uomo vestito di nero? Cosa voleva da me? Compresi che non potevo cercare la risposta in quel momento.

Afferrai una statuetta che si trovava sul comò e lo colpii con tutta la forza che avevo. L'uomo barcollò, sorpreso. Io colpii di nuovo e urlai, il caldo sangue del mio aggressore che mi finiva sul viso, sui capelli, sulle mani. Avevo la vista sfocata, il cuore in gola, le gambe tremanti. Non so quante volte lo colpii, non so quanto gridai, non so come riuscii a reggermi in piedi. A un certo punto però qualcuno mi tolse di mano la statuetta e mi strinse a sé, facendo affondare il mio viso nel suo petto. Mi divincolai, confusa, ma lui mi sussurrò.

-È finita, è finita-

Solo più tardi mi resi conto che era Wulf.


-Qualcuno ti vuole morta- dichiarò Basilius, l'espressione tesa, sprofondato in una poltrona di velluto rosso.

Inspirai a fondo, ignorando i puntini neri che volavano nel mio campo visivo e che rendevano il mondo confuso. Ero seduta sul mio letto. Una delle mie dame mi aveva aiutata a lavarmi e a cambiare abito, ma mi sentivo ancora orribilmente scossa.

-Chi potrebbe volere la sua morte?- intervenne Wulf, con l'intento di contraddire Basilius, appoggiato al muro, le braccia incrociate –Probabilmente è un soldato dell'esercito qua fuori, vuole indebolire il castello uccidendo la castellana, deve... -

-No, è un professionista- la voce di Basilius troneggiò, come quella di un re -non è un caso, non è semplicemente un nemico... che senso ha colpire una donna per quanto amata sia dal popolo? Ai loro occhi siamo noi uomini che gestiamo la situazione... io e voi... Ali, chi potrebbe essere il mandante?-

Fissai Basilius. Il nome mi bruciava sulla punta della lingua, ma non sapevo se dirlo o meno.

-Chi?- chiese ancora Basilius.

-Yvonne... lei mi odia- e le avevo fatto perdere l'opportunità di fare un ottimo matrimonio, l'obiettivo di una vita intera.

Basilius parve pensarci, l'espressione tesa. Lui conosceva bene Yvonne, sapeva di cos'era capace, conosceva la sua crudeltà.

-La tua sorellastra?- chiese Wulf –Una donna non... - le parole gli morirono in bocca, poi si riprese –una donna non può essere così crudele-

-Non hai conosciuto Yvonne... solo grazie a tuo padre non sono stata bruciata viva con l'accusa di stregoneria-

-Tenterà di nuovo?- domandò il mio figliastro, palesemente turbato.

-Sì, credo di sì, non la fermerà nulla- e non provavo paura, ma rabbia. Perché mi odiava tanto? Non capivo.

-Non le permetterò di farti del male!- intervenne Wulf. L'enfasi che mise in quelle parole attirò lo sguardo sorpreso e soprattutto furioso di Basilius.

-Troveremo una soluzione- sostenne, tanto per dire qualcosa, per non essere messo da parte.

Io non parlai. Ero sconvolta e non sapevo cosa fare. Yvonne mi voleva morta. Inspirai a fondo, provando a mantenere una calma che non avevo.



Nei giorni seguenti non fui più lasciata sola. Pareva che Wulf e Basilius avessero raggiunto una sorta di stabilità momentanea. Mi sentivo rassicurata dalla loro vicinanza. Una strana rassicurazione. Nessuno attentò alla mia vita. La cosa ebbe l'effetto di tranquillizzarmi. Forse avevo davvero esagerato.

Successe circa un mese dopo. Stavo leggendo un libro seduta nella vecchia biblioteca. Fuori il vento scuoteva gli alberi. Si stava preparando la tempesta, lo sentivo nella pelle, simili a piccoli aghi.

Basilius mi trovò così. Entrò con il suo passo solenne e il mio cuore fece un balzò. La luce del sole morente gli faceva brillare i lineamenti e gli rendevano la pelle più scura. Sembrava un re d'ombra.

-Che ci fai qui?- posai il libro sul mio grembo.

-Devo partire- sussurrò Basilius. Diretto e crudele. Come poteva dirmelo così?

-Subito?- gli domandai.

-Purtroppo sì... tuo padre mi ha mandato a chiamare-

Mio padre. Sembrava passato un secolo da quando abitavo nel suo castello, da quando ero sottoposta al suo controllo, da quando ero solo una ragazzina spensierata e non sapevo di essere in qualche modo felice.

-Devo tornare- fece un passo avanti e mi prese le mani. Le strinse con forza. –Io non vorrei lasciarti-

Allora non farlo, pensai. Non glielo dissi. Sapevo che sarebbe stato infantile. Basilius era l'erede di mio padre. Lui doveva tornare al castello. Doveva lasciarmi. Lo immaginai al castello. Peggio. Lo immaginai accanto a Yvonne, lei luce, lui ombra.

-Se le cose fossero andate diversamente... -

-Non avrebbero potuto... le cose vanno come devono andare- sussurrai.

Lui abbassò lo sguardo, come se si sentisse a disagio.

-Dovrai sposarla, vero?-

Le mie parole caddero come piombo tra di noi. Yvonne. Non dovevo pronunciare il suo nome, era chiaro anche così.

-Io non voglio sposarla-

Yvonne avrebbe trovato il modo per costringerlo. Lei otteneva sempre quello che voleva. Forse perfino farmi sposare Abel era parte del suo piano. Un modo per allontanarmi.

-Non ti ho dimenticata- aggiunse.

Lo avrebbe fatto però, succedeva sempre così.

-Vai- dissi solo e allontanai le mie mani dalle sue.

-Al, io... -

Mi lasciai cadere sul divano. Ero esausta. -Vattene-

Basilius indugiò.

-Non c'è motivo per cui tu resti qua, no?-

Basilius aprì la bocca, come a dire qualcosa d'importanza vitale. La richiuse. -Io... sono tuo-

L'ennesima bugia. -Addio-

Lo guardai avanzare verso la porta, voltarsi tre volte, uscire, il corpo teso, simile alla corda di un violino.



-Lui se n'è andato?-

Trasalii, sorpresa. Ero certa di essere sola e invece Wulf era lì. Lo guardai uscire dall'ombra, che lo avvolgeva come un mantello. Doveva essere entrato dalla porta secondaria, quella che conduceva dalla camera di Abel. –Sei qua?- sussurrai piano.

-Sì... dovevo vederti... lui se n'è andato?-

Annuii debolmente.

Wulf sospirò di sollievo. Era chiaro che la presenza di Basilius non solo lo infastidiva, ma l'opprimeva. Fece un passo avanti, come a volersi sedere al mio fianco, poi arretrò in un fruscio di mantello. Sembrava indeciso. Decisi di togliergli io il dubbio.

-Vuoi sederti vicino a me?-

Parve indugiare ancora un istante, poi annuì. –Sì, perché no?- scivolò al mio fianco, sui morbidi cuscini che avvolgevano il duro divano.

-Non ho ricevuto notizie da tuo padre- , tanto per dire qualcosa, perché il silenzio era opprimente.

Wulf mormorò qualcosa che non compresi... poi le sue labbra si appoggiarono sulle mie. Restai rigida, la sorpresa che mi esplodeva nel cuore. Wulff mi passò le mani intorno alla vita, i pollici che mi accarezzavano il ventre. Confusa appoggiai le mani sulle sue spalle e lo spinsi indietro. Lui mi fissò, lo sguardo luccicante, quasi febbrile.

-Non possiamo- gli dissi con dolcezza.

-Ma io ti amo- e sembrava un bambino. Piccolo e fragile.

-Sei il figlio di mio marito- gli ricordai.

-Non m'importa- i suoi occhi erano grandi e lucidi, un broncio dipinto sulle labbra.

-Non possiamo- ripetei.

-Sì invece... dobbiamo fare qualcosa... io sono innamorato di te- le parole mi trapassarono come pugnali affilati. Era innamorato di me. Le implicazioni erano molte e tutte orribili. Non potevamo stare insieme, questa era l'unica cosa certa. Lo spinsi via, le mani sulle sue spalle. Cercai di essere dolce, ma determinata. –Non possiamo, lo sai bene-

Lui scattò indietro, come se lo avessi colpito.

-Mi dispiace-

Wulf arretrò, il viso una maschera di dolore. -Io... scusa- si voltò e uscì, il mantello che volteggiava in aria.

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