XXI. Assedio

Quando arrivai sulle mura il vento scuoteva tutto. Alti alberi venivano piegati a metà. Il mio vestito fu sollevato e dovetti spingerlo giù. C'era un viavai di persone. Soldati, i visi tesi. Ragazze in lacrime. Potevo percepire l'agitazione, come se fosse stato qualcosa di fisico, di tangibile. Mi premeva addosso.

-Dame Alinoir- chiamò una guardia –vogliono prendere il castello-

Cercai di ragionare rapidamente. Il cuore mi batteva fortissimo. Mi sentivo svenire. Cercai di ricordare quello che mi diceva Basilius. Le parole però mi arrivavano lontane, sfocate, sbiadite. Ingoiai l'ansia. Fu inutile. Passi dietro di me. Trasalii, terrorizzata. Wulf era in piedi e mi fissava. I nostri sguardi si agganciarono e restammo così, per alcuni istanti. Era intesa quella che passava tra di noi. Sì, eravamo uniti dallo stesso obiettivo, dovevamo combattere per Neuborg, per quel castello che era la casa di entrambi pur non essendola davvero. Fui percorsa, in quel singolo attimo, da sensazioni opposte. Paura, euforia, ansia, perdita, gioia. Wulf mi ricordava Basilius, anche se non avrei saputo dire il perché. Certe cose si sanno e basta.

-Dobbiamo impedirglielo- mi disse Wulf, ferito ma determinato. Ora so che senza di lui non ce l'avrei mai fatta.

Annuii. –Dobbiamo buttargli sopra qualcosa... facciamo bollire l'acqua-

-Sì, questa è una buona idea- mormorò Wulf. Un sorriso debole. Lo stomaco mi sobbalzò nel petto. Mi costrinsi a voltarmi e cominciai a dare ordini.

Gli uomini presero posizione, l'acqua fu bollita, fu messa in una pentola. Nessuno però sembrava volerla buttare. Certo, non volevano ascoltare gli ordini di una donna.

-Ci penso io- dichiarai. Mi avvicinai alla pentola, l'afferrai, barcollai. Era pesante e scivolosa.

-Aspetta- Wulf mi venne accanto e mi aiutò a sollevare l'enorme pentola. Sentivo il mio corpo tremare per lo sforzo. Dovevo farcela. Wulf si appoggiò a me. Io mi appoggiai a lui. La sollevammo e riuscimmo a capovolgerla. Urla ci fecero capire che avevamo centrato l'obiettivo.

Furono giornate lunghe e dure, passate fianco a fianco. Io e Wulf ci avvicinammo, sarebbe stato impossibile il contrario. Eravamo in fondo molto simili. Entrambi cresciuti come seconde scelte, entrambi sottoposti al controllo di padri che non avevano mai pensato al nostro bene, entrambi soli.

In quei giorni imparammo a conoscerci. Parlammo molto. Qualche volta dormimmo sulle mura. Vicini, i nostri corpi che si sfioravano, le nostre voci che si mischiavano, i nostri sguardi che si cercavano.

-Cosa credi che ci sia dopo?- mi chiese Wulf una sera. La luce della luna gli illuminava il viso. -Dopo... la fine?-

Indugiai, era una domanda complessa. -L'Aldilà... in una qualche forma-

Wulf non replicò. Una freccia ci sorvolò sbattendo contro il muro e scivolando al suolo. La guerra. Una cosa assurda.

-Secondo mia nonna però le figlie di Melusina tornano all'acqua- gli confidai.

-All'acqua?- parve all'improvviso interessato, gli occhi socchiusi.

-Noi siamo acqua- sorrisi -è una cosa difficile da spiegare-

-Forse impossibile- mi fece eco Wulf -lo sono le cose migliori... cosa diresti se sapessi che io... - si bloccò, come se le parole non potessero uscire.

-Forse certe cose è meglio non saperle- mormorai, ricordando lui che teneva in mano il sacchetto. Speravo solo che mia nonna si fosse sbagliata, che non ci fosse nessuna magia, che lui non si stesse innamorando di me. Sarebbe stato pericoloso.

-Forse- concordò, ma c'era ansia nella sua voce. Un'ansia orribile.

Successe una notte. Ero nelle mie stanze. L'assedio si era stabilizzato e finalmente si poteva stare un po' calmi. Mi lasciai cadere sul letto, l'abito che avevo indossato a cena ancora addosso. Wulf mi aveva detto che presto l'imperatore ci avrebbe aiutati. Io non ci credevo. Mia nonna mi aveva insegnato che bisogna arrangiarsi da soli, come lei aveva fatto nella sua lunga vita. Mi sentivo esausta. Fu in quello stato d'animo che vidi un'ombra muoversi dietro le tende. Mi sollevai, il corpo teso per il terrore. Cosa stava accadendo? Cercai un modo per difendermi, la disperazione che graffiava. E alla fine mi lanciai verso la porta, nella speranza di riuscire a uscire, di poter...

Qualcosa mi afferrò dietro, stringendomi la vita. Mi costrinse a girarmi. Un uomo era di fronte a me, alto, avvolto in un pesante mantello, il volto in ombra sotto il cappuccio.

-Lasciami- gli ordinai, con il tono più duro che riuscii a trovare.

Lui sorrise, potei vedere i denti brillare nel buio. Cercai di liberarmi divincolandomi, ma poi ci fu una risata.

-Calma, calma- e la sua voce mi scaldò il cuore. M'immobilizzai. Conoscevo quell'uomo, ma com'era possibile che fosse proprio lui, come...

L'uomo buttò indietro il cappuccio e io vidi di fronte a me Basilius, con uno di quei sorrisi appena accennati che avevano illuminato la mia infanzia.

-Tu... - sussurrai, sentendomi quasi mancare.

-Speravo in un benvenuto più affettuoso- dichiarò lui, sorridente.

Mi sentii tremare. –Sei sparito per così tanto... cosa ci fai qua?-

-Quando ho saputo che eri in difficoltà sono dovuto venire- come un tempo inventava pericoli immaginari per correre da me.

Il lamento mi sfuggì dalle labbra senza che potessi controllarlo. Un istante dopo mi ritrovai tra le sue braccia. Basilius mi strinse con forza e mi fece fare un mezzo giro, i capelli che mi sferzavano il viso.

-Puoi stare tranquilla- mi sussurrò –penserò io a tutto-

E io mi sentii davvero meglio. Basilius mi trasmetteva la sua forza.

Fu solo più tardi che percepii in lui qualcosa di diverso. Non avrei saputo dire esattamente cosa, perlomeno all'inizio. A un primo sguardo sembrava quello di sempre, solo con la leggera peluria della barba sul volto, che lui non aveva mai avuto prima. In seguito notai che il colore dei suoi occhi era diverso, più grigio, meno nero. Anche il modo in cui parlava era cambiato. Sembrava che avesse acquisito un nuovo accento.

-Sei diverso- gli dissi infine, l'ansia che mi premeva il petto perché dovevo sapere. Eravamo sdraiati nel letto, vestiti, il suo mantello che scaldava entrambi, stringendoci, unendoci, amalgamandoci. Mi piaceva stare così, mi sembrava di essere tornata bambina.

-Ho viaggiato molto in questi mesi- si giustificò.

-E dove sei andato?-

-Ho seguito l'istinto, per una volta- fece un mezzo sorriso e io seppi che stava mentendo. Lui non seguiva mai l'istinto. Era quello il bello di Basilius, riusciva a essere sempre razionale.

-E dove ti ha portato?- insistei.

-Ovunque... non immagini neppure-

-Sii più preciso- lo invitai.

-Ho cercato le origini di mia madre- e quando lo disse il rumore di un tuono fece tremare la stanza.

-Tua madre?- non sapevo nulla su di lei. Basilius semplicemente non ne parlava. Io non lo sforzavo. Non volevo costringerlo a pensare a qualcosa che forse lo metteva a disagio.

-Sì, ci sono cose che bisogna sapere... un ritorno alle origini era quello che ci voleva-

-Allora hai scoperto qualcosa?- domandai.

-Sì... ho trovato la sua casa- e sorrise. Un sorriso che nascondeva qualcosa che non avrei saputo definire.

-Dici sul serio?- mi tirai un po' più su, spingendomi su un gomito. Il risultato fu che premetti maggiormente contro il suo corpo. Sentii il desiderio urgente di stringermi a lui, di baciarlo, di farmi baciare. Lo ignorai. Volevo che mi raccontasse tutto.

-Sì, abitano in Irlanda... dicono di discendere dalle fate-

Lo fissai. Il suo viso pareva stranamente perfetto. Sembrava il principe fatato di una qualche storia di quelle che mi raccontava mia nonna da bambina. Un brivido gelido mi percorse la schiena. Mi sembrò di essere tornata bambina, in mezzo alla neve che mi arrivava fino alla vita.

-Vivono come fate- continuò.

-Tu ci credi?-

-Non saprei, sono sempre stato strano... ma non parliamone, non questa notte... sono venuto da te perché non potevo vivere senza vederti-

Lo guardai, confusa, un senso di calda diffidenza che mi confondeva. E lui soffocò ogni dubbio con un bacio.

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