XIX. La nuova vita

Il mattino successivo cominciai il mio giro per il castello. Tra quei corridoi grigi, bui, freddi. Abel mi teneva per il braccio. Una stretta forte. Mi trascinava con sé. Vidi molte cose. Non le ricordo. Una cosa però è viva come una belva nella mia mente.

I ritratti di una donna faceva bella mostra praticamente ovunque. Nelle sale, nei corridoi, negli ingressi. Era una giovane biondissima, con la pelle luminosa e un fascino languido. Indossava sempre abiti bellissimi, con decorazioni dorate, un sorriso appena accennato sulle labbra.

-Questa è Koinè, mia sorella- mi spiegò Abel -è sposata da qualche anno e già tre figli- ne era orgoglioso.

-È molto lontana da qua?-

-No, un paio di giorni-

Non avevo voglia di conoscerla. Mi sembrava troppo simile a Yvonne. L'elogio di Abel non aiutava. Sembrava che non esistesse creatura migliore di Koinè.

Nel pomeriggio decisi di fare un giro in giardino. Le tempie mi pulsavano. Avevo la nausea. Tremavo. Volevo tornare a casa. Volevo riavvolgere il tempo. Volevo rivedere Basilius. Afferrai i lembi del mio abito. Lo vidi per caso.

Wulf era seduto sul muretto, lo sguardo a terra. Sembrava fragile. Mi fermai. Avrei dovuto parlargli. Volevo che capisse che non ero una sua avversaria, al contrario. Ero sua amica, sua alleata, sua compagna di sventure. Non doveva essere semplice far parte della vita di Abel. Dopo un leggero indugio mi avvicinai. Wulf voltò appena la testa, mi vide e tornò a fissare caparbiamente davanti a sé. Per un istante mi parve di essere tornata nel passato. Io che mi avvicinavo a Basilius, ragazzino. Lui che fingeva di non vedermi.

-Vattene- ruggì Wulf.

-Ti volevo parlare- mormorai. Ero a disagio. Non sapevo come parlargli.

-Non vedo perché-

-Perché voglio che le cose tra di noi vadano bene- dichiarai. Passai le mani, sudate, sul vestito. Mi sembrava di essere tornata bambina.

-Io no- mi freddò.

Esitai. Non ero mai stata brava con le persone. Yvonne ci sarebbe riuscita. Lei riusciva sempre a risolvere tutti i problemi. Lei piaceva alle persone.

-Non riuscirai a comprarmi- borbottò lui.

-Voglio solo cercare di andare d'accordo-

Wulf questa volta non controbatté, si limitò a fissare il vuoto. Assomigliava così tanto a Basilius. Tanto da far male.

-Credo che sia necessario per entrambi instaurare un rapporto di reciproca cortesia- continuai. Non volevo di nuovo una lotta continua, come con Yvonne. Io volevo davvero essere sua amica.

-Sai cos'è successo a mia madre?-

Quella domanda mi sorprese. Cosa c'entrava ora sua madre? Cercai di mantenere la calma. –Non mi riguarda- dissi solamente.

-Chiedilo a mio padre- si alzò, il corpo che tremava –chiediglielo- e se ne andò.

Non lo chiesi ad Abel. Non volevo sapere, ecco l'angosciosa verità. Mi trovavo in un luogo che non conoscevo, in mezzo a persone che mi fissavano malamente. Non avevo certo bisogno di altri pensieri.

Il matrimonio con Abel fu subito caratterizzato dall'insoddisfazione. Ero insoddisfatta di tutto. Della presenza di Abel, della sua assenza, dei suoi momenti di affetto, soprattutto di quelli d'intimità. Fingere, fingere, fingere. Dovevo sempre fingere, altrimenti Abel faceva la voce grossa, m'accusava di essere una bambina viziata, di non amarlo, di essere una pessima moglie. Io mi sforzavo di calmarlo, di sorridergli, di mettere lui davanti a me. Abel si acquetava, mi faceva giurare di amare solo lui.

-Ti ho salvata, Alinor, ricordalo- suonava di minaccia.

Non gli rispondevo. Cosa potevo dirgli? Aveva ragione.

-Il giorno in cui avremo un figlio le cose cambieranno- diceva, febbrilmente.

Quel bambino però non arrivava. Abel non sopportava la cosa. Non capiva perché io non rimanessi incinta, mentre sua sorella non faceva altro che dare alla luce bambini.

-Andrà bene- sussurrava a volte, nel letto, mentre mi spogliava –questa è la volta buona... me lo sento-

Non replicavo. Pensavo a Basilius, ai nostri momenti insieme, alle parole, ai baci, agli scambi. Il suo pensiero mi scatenava sentimenti contrastanti. Da una parte mi mancava. Era un senso di mancanza soffocante, una belva che affondava gli artigli dentro di me, facendomi sanguinare. Dall'altra provavo un senso di odio. Mi aveva fatto male, mi aveva ferito, mi aveva abbandonata... e io questo non avrei mai potuto perdonarglielo. Avrei potuto sopportare qualsiasi cosa se fossi rimasta al fianco di Basilius. Ora però non potevo fare più nulla.

La competizione con l'invisibile sorella di Abel era sempre più forte. Koinè era perfetta. Una creatura forgiata dai sogni e dalle aspettative. Mandava spesso lettere al fratello. Chiedeva di me, mandava consigli e rimproveri. Dovevo passare più tempo a letto. Dovevo riposare. Dovevo mangiare strane erbe che buttavo di nascosto nel fuoco. Odiavo Koinè e neppure la conoscevo. Lei era chi avrei voluto essere.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate?

A presto!

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