XIV. La peste

Basilius partì la mattina seguente prima dell'alba. Portò con sé tutte le mie speranze. Nei giorni seguenti cercai in tutti i modi di evitare Wulf. Non volevo litigare con lui, non volevo rendere impossibile la nostra convivenza. Le carte delle nostre vite si erano mischiate e dovevo separarle. Dovevo solo attendere che tornasse Abel, dopo sarebbe stato più semplice.  La sorte però aveva in mente dell'altro.  

Arrivò senza preavviso. Un assassino invisibile. La peste. Era lo spauracchio con cui eravamo cresciuti fin da piccoli. Una malattia che correva come il vento e uccideva molte delle persone che la contraevano. Aveva, nella mia mente infantile, le fattezze di un uomo alto, mascherato, imponente. Venivo di nuovo messa alla prova.

Il primo contagiato fu un uomo che algiunse da un viaggio in Francia. Morì dopo un paio di giorni. Tempo una settimana e quasi tutte le case avevano un malato.

-Quando finirà tutto questo?- sussurrai una notte al buio.

Non sarebbe mai finito. Questo era ciò che temevo. Guerra, sempre guerra. Ero abituata però a tutto questo. Al dolore, alle ferite, alle malattie. La mia vita era sempre stata quella.

Si ammalarono in molti. Io stessa mi affidai alla dea Melusina, a quella mia antenata, per poter sopravvivere. Fu in quel periodo che consolidai i miei rapporti con il popolo. Aprii il castello agli infermi, io stessa mi occupai di molti di loro. Usai quei vecchi sortilegi di cui mia madre parlava. Non so se servirono davvero, ma riuscii a salvare qualcuno.

Wulf restò al mio fianco. Sempre e comunque. Il mio cavaliere. In quei giorni la sua presenza era un conforto. Ci fu un pomeriggio in particolare. Eravamo nello studio di Abel. Mio marito mi aveva spedito una lettera in cui mi comunicava che le operazioni militari procedevano e che gli mancavo. Forse era vero, ma probabilmente si stava intrattenendo con qualche donna.

-Dovremo scrivergli dell'epidemia?- chiesi a Wulf.

-Non saprei- rispose lui –riusciremo solo a farlo preoccupare-

Aveva ragione. -Sì, forse... -

Mi trasse a sé senza preavviso. Le mani che mi stringevano la vita. –Wulf- sussurrai.

-Voglio stare al tuo fianco-

-Lo sai che non è possibile- mi liberai dalla sua stretta e, inquieta, mi diressi verso la finestra, bisognosa di mettere spazio tra noi due.

-Alinoir- un sussurro che pareva quasi una supplica. Sentii il calore del suo corpo. Il suo petto aderì alla mia schiena e io resistetti a stento all'impulso di appoggiarmi contro di lui, di abbandonarmi.

-Non possiamo- mormorai.

-Sì invece... non mi sono mai innamorato prima, io... non credevo neppure di potermi innamorare- e le sue mani risalirono a esplorare il mio corpo. Nonostante la stoffa sentivo il calore delle sue dita che si espandeva in me. Non avevo mai provato nulla di simile se non con Basilius. La cosa mi confuse così tanto che tremai. Doveva essere tutta colpa di mia nonna, di quello sciocco incantesimo d'amore.

Wulf prese il mio tremore per un invito. Le sue labbra si posarono sui miei capelli e... mi lasciai baciare delicatamente, poi sempre più appassionatamente. Le sue mani s'infilarono nella mia scollatura, aggrappandosi al mio seno. Lanciai un gemito, gli occhi socchiusi, la mente che disegnava scene, fantasie, follie. Basilius. Potevo quasi illudermi che ci fosse lui, che là fuori ci fossero le stelle che brillavano solo per noi, per raccontare la nostra storia, il nostro amore.

-Ti amo, Alinoir, ti amo- ansimò.

-Wulf- mormorai. -Non possiamo, è sbagliato- gli occhi mi bruciavano.

Fu l'arrivo di una dama di compagnia a salvarmi dal peggio. Da Wulf. Da me stessa.

Iniziò un altro periodo della mia vita. Io e Wulf passavamo sempre più tempo insieme. Nonostante i miei tentativi di non stare da sola con lui, Wulf non mi lasciava. Mi sentivo felice delle sue attenzioni, nonostante sapessi che era sbagliato. Io ero una donna sposata. Lui era il figlio di mio marito. Basilius perse consistenza. Mi sembrava meno vero un'immagine irreale, che si perdeva nel passato. Forse Basilius non c'era realmente mai stato. Forse era frutto di un'illusione.

Una sorta di euforia prese il sopravvento. Era bello avere qualcuno che si prendesse cura di me.

-Lo sai che ti porterò solo guai- sussurrai una sera che stavamo vicini al fuoco, il calore che mi accarezzava la pelle.

-Non importa- mi prese le mani, se le portò alle labbra, le baciò come se fossero la cosa più preziosa al mondo. -Amo i guai che mi porti-

-Non capisci-

-Sì che capisco, tu sei tutto ciò che desidero-

Fui felice. Senza nemmeno rendermene conto. Nonostante i morti, nonostante la peste, nonostante ogni sera prima di lasciarmi cadere esausta nel letto mi palpassi il collo alla ricerca dei gonfiori che preannunciavano il male. La felicità non è fatta per durare.

Ricordo bene il giorno in cui la mia gioia fu infranta. Oh, quanto è fragile la felicità! Un bicchiere di vetro sbeccato.

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