VI. La torre

La vecchia torre versava in stato d'abbandono da anni. Un tempo era collegata al resto del castello da un corridoio di pietra, che ormai era caduto. L'ultima persona che ci aveva dormito, incurante delle cupe leggende che la circondavano, era stato il fratello maggiore di mio padre, prima che le febbri lo portassero via. La sua camera, con tanto di baldacchino e bauli, era come l'aveva lasciata. Il popolo aveva accusato mio padre che da quella morte aveva guadagnato un regno. Mia nonna aveva pianto tutte le sue lacrime. Mio zio era il figlio prediletto.

-Finisce così- mi aveva confidato un giorno, il cucito in mano -i migliori muoiono e i peggiori restano, tutta colpa di quella torre! È maledetta, la frequentano i morti- le sue guance si erano accese come fuochi.

Avevo taciuto, non sapendo cosa dire. Una sorta di affetto filiale mi aveva quasi spinta a difendere mio padre. Quasi.

-Mai dormire nella torre- e così mia nonna aveva chiuso il discorso.

Sgusciai dentro, attenta a non essere vista. Mio padre non voleva che ci andassi, temeva che un giorno la torre avrebbe smesso di cigolare e sarebbe crollata. Io non l'ascoltavo. Lo sapevo che era rischioso, ma quel pericolo mi faceva sentire viva, reale, non solo una bambola in attesa di un marito. Guardai su. L'aria sapeva di polvere. Tenuii raggi di sole illuminavano il piano alto. Strizzai gli occhi e vidi una figura. Soffocai una risata e cominciai a salire le scale tremanti, una mano aggrappata al corrimano -non che avrebbe evitato di rompermi qualche osso se le scale avessero ceduto, ma pensavo che non sarebbe mai successo, che le disgrazie fossero cose che succedevano ad altre persone. Avanzai prudente. Bastava un passo sbagliato e sarei caduta giù. Pensai al buio che c'era là sotto. Una caduta che sembrava senza fine e poi uno schianto. Dita nere che si agitavano verso di me. Un brivido mi percorse. Meglio ignorarlo. Mi fermai solo quando fui in cima. Il muro e la porta che un tempo avevano diviso la camera di mio zio dalle scale non c'erano più. Il letto a baldacchino era distrutto e polveroso. Mi sembrò di vedere l'orma del corpo di mio zio che premeva sulle lenzuola. Distolsi lo sguardo. Basilius finse di non essersi accorto della mia presenza. Se ne stava seduto su un baule, la schiena dritta, i capelli scuri che diventavano più chiari sulla nuca.

-Sapevo che eri qua- esclamai, non potendo tacere oltre.

-Non posso proprio sfuggirti- rispose lui, il tono indecifrabile, il volto in ombra.

-No, non puoi proprio- replicai.

Basilius rise, acqua bollente su di me, allungò una mano che presi con un mezzo sorriso. La sua pelle era ruvida, ma calda. Adoravo sentirla premere contro la mia, morbida. Mi attirò a sé. Scivolai contro di lui, il suo profumo che entrava nelle mie narici riscaldandomi. -Un giorno o l'altro queste scale cadranno, non dovresti più percorrerle-

-E tu allora non dovresti più salire, così non sarò obbligata a venire fin qua per cercarti- replicai.

-Sei sempre molto convincente- non lasciò la mia mano, al contrario, la strinse di più. Sentii i polmoni bruciare. Il mio Basilius. Avrei voluto che non la lasciasse mai. Abbassai lo sguardo, imbarazzata. -E sai ogni volta cosa dirmi-

-Certo, è la mia qualità migliore- gli saltellai vicino, il cuore che mi rimbombava forte.

Lui annuì piano. -Cosa voleva tuo padre?-

Feci una smorfia. -Hai saputo che ci ha convocate?-

-Ne parlava tutto il castello, l'argomento del giorno, insieme all'arrivo di Abel von Neuberg, un vero disastro, avrei sperato che non fosse lui il visitatore- mi lasciò la mano. Provai una desolante solitudine.

-Perché dici così?- percepii il calore del suo corpo, nonostante i vestiti.

-Perché un uomo come von Neuberg non si spinge certo in questo luogo sperduto del paese senza un motivo-

Sentii l'amaro in bocca. Lo stomaco mi si contorse in una morsa. -Cosa dici?-

-Nulla, nulla, è inutile farti preoccupare, Al- socchiuse gli occhi e sospirò -che ne dici di chiamare i morti?-

Mi sfuggì un sorriso. Il nostro vecchio gioco. C'era un vecchio buco su una delle pareti della torre. Si diceva che da lì si potesse comunicare con i morti. Questo era uno dei motivi per cui si diceva che la torre fosse maledetta. Perché si potevano chiamare i defunti. Io e Basilius amavamo farlo. Follle divertimento. -Con vero piacere-

Basilius si alzò, rapido ed elegante. Nel farlo le sue dita sfiorarono il dorso della mia mano. Un gesto casuale, ma bruciante. Cercai di stare calma, di rallentare il mio cuore impazzito, di tranquillizzarmi. Fu inutile, ma Basilius sembrò non accorgersene. Non se ne accorgeva mai. Si allontanò di un paio di passi, il lungo mantello frusciante, il portamento elegante, gli occhi socchiusi, l'espressione tesa. Perfetto. Cercai di ritornare alla realtà. Basilius stava spostando la pietra che copriva il buco dell'Oltretomba. Sentii un lungo gemito carico di dolore, rimpianti e odio. Fu come un graffio. Deglutii la paura. C'era Basilius, con lui non potevo avere paura. Era la mia forza. L'osservai avvicinare le labbra carnose, piegate in un sorriso divertito, al buco.

-Morti, morti, morti- esordì, il tono basso e misterioso -chiedo un oracolo-

Mi sforzai di ridere, anche se mi sentivo nervosa.

-Voglio sapere cosa mi riserva il futuro- spostò il viso, in modo tale che il suo orecchio sfiorasse il buco. Restò immobile in attesa di una risposta.

Sollevai l'abito, mi avvicinai, mi sporsi in avanti per ascoltare anch'io. I soliti gemiti. Doveva essere il fruscio del vento tra le pietre. Questa era la spiegazione logica che una sera mi aveva dato Basilius. Io però volevo credere che fossero davvero i morti che cercavano di parlare con i vivi. Era bello pensare che potessero comunicare con noi, che perlomeno ci provassero.

-Credo che... - cominciò Basilius, ma all'improvviso la sua espressione si ghiacciò. Sgranò gli occhi. Senza riuscire a trattenere avvicinai l'orecchio, una mano premuta contro il muro per non cadere. Un rumore. Parole. No, non era possibile. Dal buco non giungevano mai parole.

-Tradimento... un tradimento... -

Non era possibile. Il cuore mi tamburellò nel petto. Doveva essere solo una coincidenza. E poi qualcosa mi allontanò. Mi voltai, confusa, il corpo che mi tremava. Incontrai lo sguardo di Basilius, puntato su di me. Ci fissammo, senza riuscire a parlare. Le sue mani erano strette ai miei fianchi.

-Hai sentito anche tu?- sussurrai.

Basilius non rispose subito. Era palese che avesse sentito, me lo dicevano il suo sguardo cupo, la sua espressione dura, il leggero tremore del labbro superiore. Dissimulò in fretta. -Questo... questo è un gioco stupido- mormorò -siamo adulti-

Sì, non dovevo dimenticare che ero adulta. Lo eravamo entrambi. L'infanzia si era chiusa alle nostre spalle. Potevo ancora sentire il portone dorato di quella splendida età rimbombare in lontananza.

Un forte stridio interruppe il corso dei miei pensieri. -Cos'è stato?- feci un mezzo giro su me stessa, l'abito frusciante come una dolce melodia. Possibile che fossero gli spettri?

-Sono arrivati- borbottò Basilius -prima di quanto pensassi-

-Chi?- ma conoscevo già la risposta.

-Von Neuberg e la sua schiera di cortigiani imbelletati naturalmente-

Corsi alla finestra della torre, curiosa, e mi spinsi sulle punte, lo sguardo che ricercava quel mitico von Neuberg. Vidi il corteo che alzava una nuvola di polvere. Erano parecchi.

-Al centro, in prima fila, senza elmo, a cavallo- m'indirizzò Basilius. Mi sporsi e lui mi afferrò il gomito, temendo che potessi cadere.

-Lo vedo- sussurrai. Era un uomo dai capelli scuri, che cavalcava con un portamento elegante. Trasmetteva un senso di potenza che mi spaventò. Il mio cuore cominciò a martellare. Un volto familiare, che ricordava quello che avevo visto nello specchio. Naturalmente non era possibile.

-Che ne pensi?- mi chiese Basilius. Il suo respiro mi sfiorò.

Indugiai. Cosa voleva che gli dicessi? Sospettavo che non cercasse parole sincere. -Mi aspettavo qualcosa di più- dissi. Era una bugia. Von Neuberg era molto più di quanto avessi immaginato. Non aveva l'aria di un semplice signorotto locale, di un parvenu, o di uno di quegli uomini insignificanti che frequentavano mio padre. Pareva uno di quei cavalieri delle leggende. Lancilotto o Parsifal.

-Dici? A me sembra un vero re-

Mi sfuggì un sorriso. -Forse-

-Ora dobbiamo scendere, certamente tuo padre ci manderà a chiamare-

Era già l'ora di separarci quindi. Dissimulai la delusione. -Certo, certo- bofonchiai.

-Su, non fare così- esclamò Basilius, solo in parte scherzoso, leggendo sul mio viso ciò che mi sforzavo di mascherare -e poi dicono che von Neuberg sia un grande amante delle donne-

Aggrottai la fronte. -E cosa vorresti sostenere?- domandai.

-Che certamente s'innamorerà di te-

Indugiai, sorpresa dalle sue parole. Dove voleva arrivare? Con Yvonne come rivale ero certa che von Neuberg non mi avrebbe neppure notata. Non che la cosa mi dispiacesse. Io non volevo che mi notasse. Mi bastava che lo facesse Basilius. Non c'era altro che volessi. -Che sciocco che sei- borbottai -come se fossi una ragazza vanesia... su, andiamo- e, afferratolo per il braccio, lo trascinai con me verso le scale. Verso la triste realtà. Le parole tradimento però continuarono a echeggiare dentro di me.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate di questo capitolo?

A presto!

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