Capitolo 20

Erano passati tre giorni dall'aggressione, se così si può chiamare.
Tre lunghi giorni.
Non rivolgevo più nemmeno uno sguardo a mio zio, dopo quello che aveva fatto.
Il mio corpo era pieno di lividi, anche se adesso stavamo quasi guarendo.
Continuavo a sperare che Salvatore venisse a prendermi ma stavo abbandonando le speranze.
Lui continuava a dire che aspettava il momento giusto, che dovevo resistere.. Ma come potevo resistere? Avevo resistito fin troppo e lui continuava a dirmi di stare calma e aspettare.
Ero stanca. Non gli credevo più.
Mi ero arresa, alla fine.

Quella mattina, stavo preparando la colazione quando mio zio si presentò in cucina.
-Sbrigati con la colazione, ho da fare stamattina- ordinò come sempre.
-Beh, il latte deve riscaldare no? O lo vuoi freddo?- replicai.
Avevo deciso, mi sarei fatta uccidere.
-Morditi la lingua prima di parlare con me ragazzina. Non voglio metterti più le mani addosso se non per piacere, chiaro?-
-Cristallino!- ribattei io mettendogli la tazza di latte sotto il naso e uscendo dalla cucina.
-Enia! Torna a mangiare!- urlò mio zio.
-Mi è passata la fame!- replicai io andando nella mia stanza e chiudendomi a chiave.
Lo odiavo, con tutte le mie forze.
Odiavo lui, me, tutto il mondo.

Sentii bussare alla porta.
-Che vuoi?- chiesi.
-Io sto uscendo, ci vediamo stasera.-
Non gli risposi. Meno male che se ne andava, non lo volevo tra i piedi.
-Enia, ricordati di mangiare- mi ordinò con tono più calmo prima si andarsene sbattendo la porta.
Sospirai e sentii gli occhi inumidirsi.
Perché stavo piangendo?
Ah già.. Ero segregata in casa con mio zio che era più che violento e il mio ragazzo non faceva altro che dirmi di resistere. Era davvero la situazione ottimale!
-Ma vaffanculo!- dissi quasi urlando.
Presi il cellulare e non c'erano messaggi di Salvatore.
Non gliene mandai nemmeno io.. Vaffanculo anche lui!

Decisi di fare una bella doccia rilassante, così presi un paio di pantaloni neri e una maglietta azzurra a maniche corte.
Andai in bagno e feci una doccia che mi rilassò, forse anche troppo.
Quando uscii dal bagno, andai in cucina e mi preparai del tè.
Lo bevvi tiepido sul divano mentre guardavo un po' di televisione.

Passai un bel po' di tempo sul divano a rilassarmi, poi controllai l'orologio e vidi che erano le 13:30.
Decisi di prepararmi qualcosa da mettere sotto i denti, ma prima controllai il cellulare.
Salvatore mi aveva inviato due messaggi, in entrambi era molto preoccupato.
Mi limitai a scrivergli un 'Sto bene.' e riposai il cellulare sotto il materasso.
Quel nascondiglio era davvero perfetto, pensai mentre mi dirigevo un cucina per prepararmi qualcosa.
Optai per della pasta con panna e salmone, la preferita di Salvatore.
Sorrisi a quel pensiero, ma era un sorriso malinconico perché mi mancava da morire.
Mi mancava la sua voce, i suoi fottutissimi occhi, le sue mani, le sue labbra...
Mi mancava tutto di lui, ma continuavo ad essere terribilmente arrabbiata.
Sentivo come se mi stesse abbandonando.
Una lacrima mi rigò il volto ma io l'asciugai subito, ostinata a non piangere.
Mangiai in silenzio, assorta nei miei pensieri e quando finii, iniziai a lavare ciò che avevo sporcato.
Sorrisi pensando a come ero diventata lunatica in quel periodo.
Cinque minuti piangevo e cinque ridevo.
Sono sempre stata lunatica ma in quel periodo lo ero troppo.
Sospirai e andai a controllare il cellulare. Non c'era nulla.
Mi accigliai un po' e mi gettai sul divano.

Guardai la televisione per tutto il pomeriggio.
Poi andai a fare un'altra doccia e decisi che a cena avrei preparato la pizza.
Mi piaceva davvero cucinare e mi piaceva anche sperimentare.
Mi ero visibilmente rilassata dalla mattina e forse mi ero anche ripresa.

Mentre ero in camera a sistemare alcune cose sentii un rumore.. Qualcosa vibrava in modo continuo.
Poi capii: era il mio cellulare!
Salvatore mi stava chiamando.
-Ciccio!- risposi.
-Ehi, amore come va?- mi chiese lui.
-Come dovrebbe andare?- gli chiesi un po' infastidita.
-Okay, ho capito ma stai calma!- ribatté lui.
'Ma cosa..?'
-Ma che ti prende?- sbottai io.
Ero troppo irritata dal suo comportamento.
-Che ti prende a te?- ribatté lui, e sembrava anche un po' irritato.
-Che mi prende? Hai anche il coraggio di chiedermi cosa mi prende? È quasi una settimana che sono segregata in questa casa, con mio zio che è abbastanza violento nei miei confronti e tu mi chiedi cosa mi prende?
Beh, a te che ti succede? Hai detto che saresti venuto a Salvarmi.. Ma quando? Dimmi quando verrai!- urlai al cellulare.
Poi.. Mi voltai e vidi mio zio appoggiato allo stipite della porta che mi stava osservando con uno sguardo maligno sul volto.
-AIUTO!- urlai prima che il cellulare mi cadesse dalle mani e mio zio si buttasse a capofitto su di me, di nuovo.
E io lottavo e lottavo con tutte le mie forze ma era inutile, ed era come rivivere la mia infanzia.
Lui che mi picchiava e strappava i vestiti di dosso mentre cercava di insinuarsi tra le mie gambe.
Ma all'improvviso sentimmo un tonfo e....

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