XXI CAPITOLO

Era steso per terra. La guancia premuta contro la roccia incandescente, la gola secca data l'aria pesante, come impregnata di cenere e fumo. Respirare gli sembrava un'impresa ardua, ma se voleva sopravvivere, doveva continuare a lottare e a far entrare un minimo di ossigeno nei suoi polmoni affamati.

Il cuore, però, gli sembrava decine di volte più leggero, come se l'anima che ne aveva preso il controllo lo avesse finalmente lasciato libero di battere fuori dalle catene in cui era stato rinchiuso fino a poco tempo fa.

Il petto gli si gonfiò di gioia: finalmente era libero dalle grinfie di Leviel, finalmente poteva ricominciare a vivere la sua esistenza con il pieno controllo sul proprio corpo!

La gioia sfumò velocemente: qualcosa non quadrava. Il calore era opprimente, soffocante e soprattutto sembrava che non fosse mai piovuto. Per quanto era rimasto in quello stato di trance, in quella posizione? Possibile fosse passato tanto tempo?

Tentò di aprire gli occhi, ma era come se le palpebre fossero state attaccate l'una con l'altra da una forza imbattibile.

Stava sudando, aveva la fronte imperlata da piccole gocce cristalline, forse l'unica fonte d'acqua a distanza di chilometri, e se ne accorse solo quando con uno sforzo incredibile riuscì a tastarsi la testa, all'altezza dell'attaccatura dei capelli con la punta delle dita.

Era come se non muovesse i muscoli da mesi, se non anni. Un violento formicolio si impossessò delle sue gambe non appena provò a muoverle. Niente da fare.

Per ricominciare a camminare e a svolgere le più comuni azioni, avrebbe dovuto aspettare un bel po'.

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Sam e Jessie corsero da Sky, il respiro irregolare e negli occhi una scintilla di terrore. Aveva il volto cereo, come se avesse visto un fantasma.

La Fray la osservò e tentando di mantenere la calma e di assumere un tono calmo, giusto per non far agirare ancora di più la ragazza, le domandò, quasi sussurrando:

-Come stai, Sky? Che hai visto?-

Gli occhi spiritati della ragazza correvano da un presente all'altro, come a studiarli. Sembrava non riconoscere nessuno dei quattro, sembrava una bestia rinchiusa in gabbia che scrutava con paura il mondo al di fuori di quelle sbarre.

-Fa male.- farfugliò quindi a fior di labbra con i battiti del cuore che acceleravano. Cosa era successo? Perché era stesa in quel letto? Perché la stavano osservando come se fosse sopravvissuta ad una caduta di diversi metri senza avere lesioni sul corpo?

Le faceva male il petto, come se il tessuto ne fosse stato squarciato, quindi si portò una mano all'altezza del cuore, o almeno, ci provò: Sam gliela aveva intercettata, fermandogliela e tenendola stretta nella sua le intimò:

-Non toccarti. Potresti riaprire la ferita.-

Sky non capiva. Di quale ferita stava parlando? Non era semplicemente tornata nella dua stanza per riposarsi? Possibile che non ricordasse assolutamente nulla? Giuly si strinse nelle spalle.

In quell'istante un profondo desiderio la invase, e quasi non cedè alla tentazione di buttarsi tra le braccia dell'altra, ma non poteva: aveva paura di farle male, e poi non voleva far capire agli altri che nutriva un profondo affetto per Sky, né tantomeno voleva farlo capire alla ragazza stessa.

Per il momento le bastava sapere che l'Angelo stesse bene. Jessie si avvicinò al letto dove il corpo giaceva supino, incerta sul da farsi. Aveva una domanda che continuava a torturarle la mente, ma non voleva mettere pressione alla bionda: doveva ancora calmare il respiro e il cuore impazzito che minacciava di uscirle dal petto, e forse chiederle cosa avesse visto nella sua mente poco prima non sarebbe stato il rimedio più efficace, anzi, forse poteva risvegliare qualcosa dentro Sky che avrebbe potuto rivelarsi catastrofico per la sua salute mentale.

Quest'ultima rivolse uno sguardo indecifrabile a Sam, che ora teneva la mascella contratta e le ciglia inarcate in una smorfia di tensione, e gli fece, la voce tremante:

-Qualcuno è sceso negli Inferi.-

Dopo quella affermazione che rivelò essere false le supposizioni di Jessie, Sky affondò la testa nel cuscino fissando lo sguardo ora vitreo al soffitto.

I due Angeli si girarono l'uno verso l'altro mentre nei loro cuori uno strano presentimento iniziava a farsi strada, contraendolo in una morsa stretta e indesiderata.

-Sam, e se fosse Moroni quel qualcuno andato all'Inferno?-

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-Michael, ti sei deciso a svegliarti, eh?- la voce dell'Angelo Vendicatore Leviel lo canzonò, ma questa risultò distante anni luce, esterna al corpo di Moroni.

Il professore spalancò gli occhi definitivamente e una violenta luce li ferì come piccoli spilli mentre nelle orecchie un fischio sordo interrotto a tratti da qualche lamento lo continuava a tormentare.

L'Angelo si girò su un fianco, verso l'origine della voce e verso la figura del suo rapitore e appena i suoi occhi incontrarono quell'ombra mastodontica restò senza fiato: se lo ricordava molto diversamente rispetto all'ultima volta in cui l'aveva visto. Certo era, però, che all'Inferno dopo averci vissuto per anni, per venire rispettato e soprattutto per sopravvivere si doveva cambiare di molto, soprattutto fisicamente, così come dimostrava la distesa di muscoli imperlati di sudore dell'uomo che aveva davanti.

La caratteristica che colpì di più Moroni dell'Angelo che aveva davanti, però, furono le sue ali. Queste erano nere come la pece e screaziate di rosso scarlatto, come se il proprietario si fosse divertito a schizzarci il sangue delle sue vittime sopra.

-Che c'è Michael, non riconosci più il tuo amico d'infanzia?-

Comtinuò a prenderlo in giro Leviel protendendo il labbro inferiore verso il basso e allacciandosi le mani dietro la nuca, come a mettersi in posa.

-Perché siamo all'Inferno?- fu l'unica cosa che Moroni riuscì a dire con uno sforzo incredibile. L'aria pesante attorno a lui gli aveva disidratato la gola e al momento avrebbe dato di tutto per un solo goccio d'acqua. Tutto, a parte la sua amata Annie.

-Fa caldo qua, eh, Angioletto? Che ne dici se ci facciamo un giretto insieme? Magari se esploriamo un po' il posto troviamo una fonte d'acqua.-

Leviel rise sadico, negli occhi una scintilla spietata:

-Dai non possiamo rimanere qua ad abbronzarci. Su su, vieni cucciolo ti devo portare in un posto speciale.-

Moroni, di tutta risposta, emise un verso misto tra il disgusto e il contrariato. Ancora non aveva le forze per alzarsi: la testa gli pulsava violentemente e il petto era oppresso in una morsa dolorosa.

-Santo Lucifero, Michael. Davvero un Angelo potente quanto te non riesce nemmeno ad alzarsi da terra? Dai, non farti pregare.-

Leviel fece pochi passi verso il corpo supino, quindi si chinò dietro la sua testa e lo tirò su di peso da sotto le ascelle per poi metterlo in piedi.

-Suuu, ce la fai?- l'Angelo Vendicatore roteò gli occhi al cielo mentre Moroni barcollava leggermente. Ancora non credeva di essere veramente all'Inferno. Era la sua prima volta là sotto, ma leggendo di quel luogo sui libri di scuola si era creato un'immagine mentale di quello che avrebbe potuto essere quel posto e si stupì scoprendo che la sua idea fosse molte volte meglio rispetto a ciò che era realmente l'Inferno: ovunque erano appiccati fuochi di cui ne sarebbero rimaste solo le ceneri; tutto era fatto di pietra scura colorata sui toni del grigio fino ad arrivare alle sfumature del nero; non c'era vegetazione né alberi né animali terrestri, ma solo draghi terribilmente pericolosi dalle quali gole fuoriusciva un getto di fuoco capace di cenerizzare persone intere. Avevano squame argentee o rossicce e volavano liberi nella volta priva di colore, e una sfilza di anime di ex-Angeli Vendicatori camminava in fila indiana, l'una incatenata all'altra e quando una di queste gemeva dal dolore o dalla fatica, tentava di ribellarsi o ancora inciampava sui suoi stessi passi, uno dei draghi si abbassava di quota e iniziava a bersagliare l'anima malcapitata di getti d'aria incandescente lasciandole marchi indelebili sulla pelle, segno di tentata ribellione, quindi il drago ritornava a sorvegliare la fila dall'alto.

Vedendo quel macabro spettacolo, un brivido percorse la schiena di Moroni ed un conato di vomito lo scosse dal profondo, facendolo piegare in due.

-Oh, piccolo, dolce, Michael. Il tuo cuore è troppo tenero per tutto questo, eh? Dai, sbrigati e sta' al mio passo. Molto presto non dovrai più sopportare tutto questo.-

Leviel ghignò, quindi iniziò a camminare e Moroni, consapevole della potenza superiore rispetto alla sua dell'Angelo che aveva davanti, almeno in quel Reame, iniziò a seguirlo a sua volta, rassegnato, verso una meta ignota all'ex Arcangelo.

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Mananiel correva. Correva come non aveva mai fatto in tutti i suoi secoli di vita. Correva come la corrente di un fiume, correva più veloce della luce, più veloce del suono. La sua lunga veste bianca strusciava per terra sul marmo bianco del Paradiso e minacciava, con piccole scintille, di prendere fuoco data la velocità con cui veniva spinta in avanti.

Le sue ali bianche fremevano impazienti di incontrare l'Angelo Supremo, ma doveva aspettare ancora un po': Samaniel, data l'alta carica che ricopriva, era molto spesso impegnato a ricevere altri Angeli.

Finalmente davanti alla figura dell'Arcangelo si erse la sagoma del Palazzo Celeste. Quel posto pullulava di gente e le ali frusciavano ovunque: il Paradiso era un posto molto affollato, soprattutto davanti al Palazzo più importante di tutta la volta celeste.

Guardie armate fino ai denti ne sorvegliavano l'entrata, un'espressione apatica sul viso, mentre altre ne pattugliavano il perimetro. Nonostante il Paradiso fosse un luogo estremamente pacifico, nel Palazzo Celeste venivano decise le pene da scontare per gli Angeli Vendicatori che avevano trasgredito alle regole, e certe volte alcuni potevano perdere le staffe dalla disperazione e provare ad aggredire Samaniel nella speranza di salvarsi, anche se così appesantivano sempre di più la loro punizione.

Mananiel sospirò a quei pensieri e rallentò il passo quando varcò l'immensa porta in legno bianco del Palazzo, ma non prima di essere stato squadrato dalle guardie ai lati dell'entrata.

Gli unici tocchi di colore diverso da tutto quel bianco erano le vesti degli Angeli ritoccate con qualche accessorio dorato o argenteo, dipendeva dalla carica che ricopriva in quel momento l'indossatore e la luce azzurrina che filtrava dalle piccole finestre poste in cima alle mura mastodontiche, alte forse più di cinque metri che si congiungevano l'una con l'altra al centro della struttura in una maestosa cupola, anch'essa bianca.

-Arcangelo Mananiel.- un Angelo chinò il capo in segno di saluto e di reverenza e Mananiel gli si fermò davanti accennando un sorriso.

-Avete un incontro con l'Angelo Supremo?-

L'Arcangelo annuì, acquisendo nuovamente un'espressione seria fremendo sempre di più dall'impazienza di avere un colloquio a quattr'occhi con Samaniel, ma anche dall'ansia che quell'incontro gli provocava: e se l'Angelo Supremo non avesse accolto le sue parole? E se invece di aiutare Michael con il suo discorso lo avesse esposto ad un pericolo ancora più grande?

Probabilmente l'avrebbe scoperto molto presto: l'Angelo con cui aveva avuto una conversazione poco prima aveva scarabocchiato qualcosa sul suo taccuino con una penna a forma d'ala per poi fare accomodare l'Arcangelo su una delle candide e morbide poltrone della sala d'attesa dicendogli che tra meno di dieci minuti sarebbe iniziato il ricevimento.

"E che gli astri mi sorridano" pensò, chiudendo quindi gli occhi e meditando sulle parole giuste da pronunciare da usare per convincere Samaniel a seguire il suo piano.

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