XVIII CAPITOLO

Gli occhi di Sky si abituarono a poco a poco alla luce, il corpo era scosso da piccoli fremiti di terrore: nel sogno era morta, e quella figura nera continuava ad apparirle nella mente.

Il cuore continuava a pulsare impazzito nel suo petto mentre rimbombava nelle orecchie.

Si alzò dal suo letto, scostando le coperte dalle sue gambe lunghe. Con la coda dell'occhio si accorse di una macchia scarlatta sul piumone bianco, ma non le diede troppo peso: poteva essere del succo che le sue compagne avevano fatto cadere involontariamente.

Sky si avvicinò alla porta del bagno, le gambe che sembravamo fatte di gelatina e che tremavano ancora a causa del terrore che le aveva provocato il sogno.

Entrò nella stanza, quindi poggiò i suoi gomiti suo lavandino, e fissò lo sguardo davanti a sé, dove era riflessa la sua figura slanciata, e urlò.

Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, finchè le corde vocali non le chiesero pietà: i suoi abiti erano macchiati di sangue, soprattutto all'altezza del suo petto.

La ragazza corse fuori dal bagno lanciando uno sguardo terrorizzato al suo letto capì che la macchia scarlatta che aveva visto poco prima appena sveglia era molto più grande di quella che pensava, e un pugnale giaceva ai piedi del suo letto, anch'esso macchiato del suo sangue.

La ragazza cadde in ginocchio, sentendo le sue forze sfumare velocemente, cingendosi il petto con le braccia.

Un dolore acuto la travolse, avvolgendole il corpo in un abbraccio di paura.

Era come se ogni sua cellula urlasse di sofferenza, come se il suo corpo fosse quello di una bambola di pezza trafitto da migliaia di aghi affilati, e per di più nella sua mente continuavano a ripetersi sempre la stessa parola, come una cantilena:

Traditrice.

La ragazza si sentiva morire, e forse in quel momento avrebbe preferito che qualcuno le togliesse la vita invece di lasciarla soffrire in quella lenta agonia.

Si tastò il viso arrossato e sentì che le sue gote erano bagnate. Stava piangendo, gemendo. Solo un Angelo avrebbe potuto salvarla, ma lei era sola.

Sola nella sua agonia.

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Il cielo plumbeo che minacciava tempesta aveva fatto rintanare nei loro nidi tutti gli uccellini che prima volavano e cinguettavano felici e la Fray stava desiderando con tutta sé stessa di essere una di quelle creature senza pensieri nella testa, libere di volare dove volevano.

Lontano dalla Marianne e dalle sue domande scomode.

Lei e la professoressa si erano sedute su un divanetto al coperto dalle fastidiose gocce di pioggia e avevano iniziato ad avere una conversazione accesa su ciò che era accaduto poco prima mentre i compagni di Sam e Jessie continuavano a giocare a pallone ignari di ciò che stava succedendo attorno a loro.

-Quindi? Voglio la verità, Annarita. Cosa sta succedendo?- gli occhi della Marianne si incorciarono a quelli della Fray, che raddrizzò la schiena distogliendolo velocemente.

-Niente. Non sta succedendo nulla. Il profess...-

-Cazzo Annarita Marco aveva due ali che gli spuntavano dalla schiena!!-

La Fray trasalì. Non capì se per il tono stridulo con cui aveva pronunciato quelle parole o per il lessico non troppo educato, ma come poteva biasimarla? Probabilmente anche lei avrebbe reagito in un modo simile se avesse visto un uomo con le ali e avesse capito che fosse tutto vero.

La Marianne si meritava la verità, ma la Fray non era sicura di potergliela rivelare. Non in quel momento, non in quella situazione.

La Marianne si prese il viso tra le mani e poggiò i gomiti sulle sue gambe. La Fray provò l'impulso di metterle una mano sulla spalla, come a rassicurarla, a farle capire che le era vicino, ma non lo fece.

Non seppe perchè. Solo... non se la sentiva.

Era come se in quel momento le due non si conoscessero da anni, come se non si conoscessero per niente.

Le due professoresse erano molto amiche, ma quella situazione di omertà era come se le stesse piano piano allontanando sempre di più, e la Fray si sentiva terribilmente in colpa per quel contesto, ma non poteva farci nulla, non poteva rivelare la verità: sarebbe stato come tradire sé stessa, Moroni e i due Angeli.

Custodivano tutti e quattro un grande segreto, e se proprio dovevano rivelarlo, lo avrebbero fatto tutti insieme.

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Stavo pensando...

La voce interiore di Moroni infastidì il suo assalitore che tirò un calcio ad una pietra che gli era capitata sotto tiro.

...è bellissimo come l'amore possa distruggere un'amicizia che si pensava indossulibile, nevvero?

Leviel avvertì una nota velata di sarcasmo in quella sentenza. Sbuffò:-Spiegati meglio, Marco.-

Anche se non poteva farlo, Leviel percepì che Moroni aveva alzato gli occhi al cielo.

Dai Louis, eravamo inseparabili. Ricordi degli scherzi che facevamo agli umani? E di quando ci hanno puniti perchè avevamo rubato un pacchetto di snacks ad un vecchietto? Ricordi che se facevamo una cosa, bella o brutta, era insieme?

Leviel fermò di colpo il corpo di Moroni, espirando bruscamente.

-Sì, eravamo molto amici. Rammento.- un barlume di speranza si accese nel petto di Moroni, ma questo si spense subito, come una piccola fiamma senza ossigeno.

-Ma, tesoro, le persone cambiano. È la vita. Io non sono più il Louis di una volta. Io sono l'Arcangelo...-

L'ex Arcangelo.

Lo corresse Moroni, scocciato.

-Certe volte ti ammazzerei con le mie stesse mani. Tu non sei cambiato di una virgola, eh? Sempre perfettino, il paladino della giustizia, quello che ha sempre il bene dalla sua parte, e sopratutto quello che ha Annie.-

Sputò quelle parole tutto d'un fiato. Le pronunciò impregnate di tutto il disprezzo e l'amarezza di cui era capace. La voce di Moroni ammutolì: non avrebbe mai pensato che l'altro si sentisse in quel modo. Pensava fosse felice, che stesse bene.

Quando erano amici si dicevano tutto, ma invece Leviel gli aveva sempre tenuto nascosto quei suoi sentimenti.

Dopo interminabili secondi, Moroni rispose:

Perchè non me ne hai mai parlato, di come ti sentivi? Avremmo potuto risolvere tutto, insieme...

-No! Perchè tu non avresti mai rinunciato ad Annarita! È la cosa che desideravo (e desidero) di più al mondo!-

Le gote del falso Moroni avvamparono dalla rabbia, il cuore cominciò a palpitare più velocemente.

L'anima di Moroni si sentì terribilmente in colpa, ma anche leggermente infastidita da come Leviel continuasse a parlare della sua amata: la trattava nei suoi discorsi come se fosse un semplice oggetto, invece che una persona in carne ed ossa, con i propri sentimenti e il proprio cuore da seguire.

Come aveva fatto a non accorgersi, per di più, di come stesse il suo vecchio migliore amico? È proprio vero che l'amore rende ciechi. Non pensava che l'amore l'avesse ferito così tanto da fargli covare così tanto rancore da uccidere solo per assaporare il sapore amaro ma al contempo dolce e freddo della vendetta.

Solo una cosa, però, Moroni non capiva: come voleva vendicarsi Leviel? Voleva forse uccidere tutti quelli che amavano il professore? O voleva forse rendergli la vita infelice e dolorosa? Solo in quel momento si accorse di quanto gli mancasse la Fray.

Gli mancavano i suoi occhi, che lo contemplavano innamorata, gli mancava il contatto delle sue tanto desiderate labbra, gli mancava stringerla a sé e sussurarle dolcemente quanto la amava e che non avrebbe permesso a nessuno di farle del male.

Quante cose si sarebbero potute fare per Amore...

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Sky sentì delle voci fuori dalla sua stanza.

Fece per urlare di nuovo per rivelare la sua posizione, il suo stato fisico, ma non ci riuscì: dalle sue labbra uscì solo un fiotto di sangue che sembrava non finire più.

Il sapore di ferro era insopportabile, così come la consapevolezza del fatto che se lei non fosse stata salvata in fretta da qualcuno, sarebbe morta.

Il battito del suo cuore le trapanava impazzito i timpani.

Davvero avrebbe perso la vita così? Con una pugnalata al petto inflitta nel sonno?

Si sarebbe aspettata una morte molto più eroica, magari al fianco della persona di cui era più innamorata al mondo, oppure in un combattimento per la salvezza della razza umana dalla distruzione, e invece si ritrovava rannicchiata per terra in una stanza buia con le tende tirate e la pioggia che ticchettava insistentemente sulla finestra, ma soprattutto era sola, e forse era questo ciò che la feriva di più, che le faceva più male:

La sua solitudine.

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I due Cherubini udirono diversi gemiti di dolore dall'altra parte della spessa porta in legno.

Non ci fu neanche il bisogno di pronunciare una parola per decidere cosa fare che già i due stavano tentando di buttate giù la porta a spallate, finchè Jessie non mise una mano sulla spalla a Sam, dicendo:

-Aspetta Sam... così non faremo altro che sprecare energie. Vado a prendere una spilletta così da forzare la serratura.-

Il Serafino colse un lampo di soddisfazione negli occhi dell'altra mentre lui le sorrideva dicendole che era un genio.

Mentre la ragazza si affrettava a tornare nella sua stanza, Sam poggiò la sua schiena possente al battente che stavano tentando di aprire e si perse nei suoi pensieri passandosi una mano nei capelli corvini arruffati dall'umidità e dalla pioggerellina che li aveva piano piano inzuppati, tipico tic di quando era nervoso.

Non avrebbe mai pensato che quel camposcuola si sarebbe rivelato una specie di Inferno terrestre, e sentiva che il suo destino era in qualche modo già scritto.

Adesso doveva solamente aspettare che gli eventi si svolgessero da soli. Con le guance arrossate, Jessie fece ritorno spuntando alla destra di Sam con uno spillo in mano che infilò abilmente nella serratura per poi aprire la porta con una leggera spinta all'indietro.

La Serafina aveva svolto ogni gesto con sicurezza, tanto che Sam rimase a fissarla sbalordito:

-Sei sicura di non avere un passato da ladra?-

Lei sorridendo compiaciuta, si strinse nelle spalle, rispondendo:-Sicurissima, ma niente mi può impedire di farne il mio futuro.-

Quindi, con un colpetto, fece cigolare il battente che si spostò tanto da far intravedere una buona parte della stanza immersa nel buio.

Prima che Jessie potesse compiere un passo in avanti, Sam la afferrò per un braccio, tirandola indietro.

-Vado prima io.- mormorò, sicuro di sé ed estremamente serio.

La ragazza alzó gli occhi al cielo, tuttavia non riuscì a trattenere le sue labbra dal curvarsi dolcemente verso l'alto illuminandole il volto.

Quello stato di tranquillità era destinato a scemare molto presto.

Sam aprì un altro po' la porta, e aguzzando l'udito sentì degli altri gemiti di dolore, femminili, sommessi, come se la persona che stava soffrendo stesse venendo soffocata.

Capendo che quelli in pericolo non erano i due Cherubini ma un'altra persona l'Arcangelo si decise a spalancare la porta e a fiondarsi nella stanza seguito a ruota dall'Angelo Custode, che, sbalordita dalla vista della figura supina per terra, mormorò:

-Sky? Sky, che ti è successo?-

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