4. Axel

La luce dello schermo le illumina il viso. Ha ricevuto un messaggio e dal sorriso che sta sfoderando immagino che sia qualcosa di particolarmente gradito.

Tempismo perfetto, chiunque tu sia.

Quando ha bussato alla mia porta, credevo di stare sognando. Invece era proprio lì, davanti a me, con la sua maglietta dei Nirvana. Non credevo che quello smiley giallo potesse essere così accattivante, prima di stasera.

E proprio nel momento in cui non eravamo mai stati così vicini, qualcosa - ma chi voglio prendere in giro, qualcuno - qualcuno me la sta portando via.

Lei che non sarà mai mia.

Gli occhi le brillano al ritmo delle dita che battono la tastiera, mi appoggio sui gomiti e mi allontano da lei con quanta più noncuranza mi è possibile.

Dovrei essere grato per questo. Probabilmente avrei fatto qualcosa di cui mi sarei pentito per il resto della mia vita, Ricky di sicuro non me lo avrebbe mai perdonato. Avrei rovinato tutto, come faccio sempre con tutto ciò che tocco. Eppure, niente mi è mai sembrato perfetto come quel momento.

Sapevo che non era giusto, niente di tutto questo lo è. C'è poco da discutere: un vero amico non se la fa la sorella dell'altro, e per Ricky questa è una regola ferrea, me l'ha ripetuto più volte, e mai nella mia testa avrei pensato di volerla così tanto violare.
Ma Leah, cazzo, Leah mi fa venire voglia di infrangere tutte le regole del mondo, di tenerla stretta a me al buio, di nascosto.

Okay, ho decisamente toccato il fondo.
Va bene scoparmi chiunque mi va, va bene radiografare ogni culo che mi passa davanti, ma... Leah?
Dico, ma scherziamo?

Rimette il telefono in tasca e nasconde le mani sotto le cosce, probabilmente per riscaldarsele.

«Mi sa che è ora di andare a letto.» butto lì, senza riuscire a mascherare la frustrazione nella voce e butto il mozzicone nel bicchierino prendendo mentalmente nota che domani dovrò assolutamente comprare qualcosa di decente da bere. Mi alzo da questo scomodo lettino di plastica, ormai bagnato dall'umidità e lei mi segue mentre entriamo in casa.

«Allora buonanotte, Axel.»
Siamo davanti alle nostre porte, come schierati in due trincee opposte.

«Notte.» rispondo più freddamente di quanto vorrei, mentre faccio scattare la maniglia della porta.

«Ah... dimenticavo!» esclama, ma non faccio in tempo a girarmi verso di lei, che me la ritrovo già a pochi centimetri da me. Ha l'odore che ho sempre associato alla Polinesia: dolce, intriso di terra, sole e mare, caldo, fumoso.

No, non ci sono mai stato in Polinesia, ma immagino che sia così che profumi.

Si allunga sulle punte dei piedi e mi bacia, quasi all'angolo della bocca.

Sta succedendo davvero?

«Sì, sono contenta che sia stato tu il primo» sussurra, con quegli occhi che non smettono di essere bellissimi neanche quando sono così terribilmente arrossati, e subito dopo mi dà le spalle, sparendo dietro la porta della sua camera.

Dopo qualche secondo, mi rendo conto di essere ancora lì a fissarla, la sua dannata porta chiusa, con un sorriso da ebete stampato in faccia.

Me ne sto sdraiato sul letto con le dita incrociate dietro la testa e il corpo immobile, pesante. In genere dormo in qualsiasi luogo e a qualsiasi ora, ma stanotte non riesco proprio a prendere sonno. Speravo che la cannetta della buonanotte mi alleggerisse la testa, impedendomi di pensare, invece non ci è riuscita neanche lei.

Impreco tra me e me, vorrei mentire a me stesso ammettendo che Leah mi sia indifferente. Ma non è così, purtroppo. A volte vorrei non averla mai conosciuta per continuare con la mia fottuta vita spensierata.

All'improvviso questo letto sembra troppo scomodo per continuare a starci sopra, così mi alzo e mi avvicino alla finestra aperta. Guardo fuori, nella speranza che l'aria fresca mi schiarisca le idee.

È semplicemente una cottarella del cazzo, ci mette solo più tempo del normale ad affievolire, ma poi tornerà tutto alla normalità. Quella ragazza, non so come diamine sia stata in grado, ma è riuscita ad attirare la mia attenzione completamente: e non si tratta solo di quella fisica, ma anche quella mentale. Mi incuriosisce, mi irrita, mi attizza. Troppe cose che devo sforzarmi di controllare, anche se non vorrei assolutamente controllarle.

Mi sballa.

La sfido in continuazione, anche se so benissimo che non dovrei, non sono stupido, so quali sarebbero le conseguenze. Ma è più forte di me: vorrei conquistarla, come faccio con tutte.

A giudicare da come stanno andando le cose, però, tra i due quello messo KO sono io.

Era un'occasione irripetibile: mi sono avvicinato a lei senza pensarci troppo, un centimetro alla volta verso il suo viso, lentamente, per avere la possibilità di cogliere ogni sua impercettibile espressione. E cazzo, era inequivocabile quello che stava per succedere: mi guardava con gli occhi spalancati e la bocca leggermente aperta e io avevo un solo pensiero: sentire il suo sapore.

Credo che mi si sia letto in faccia quanto desideravo baciarla in quel momento, e lei è rimasta immobile, per lasciarmi fare. Ero a tanto così da sfiorarle le labbra, quando quasi sono saltato in aria al suono della vibrazione del cellulare che aveva in tasca. Ho soffocato un gemito disperato e bestemmiato silenziosamente, cercando di allontanarmi da lei con la massima disinvoltura di cui sono capace, nonostante le scariche di adrenalina mi facessero tremare in modo furioso.

Anche lei ha provato a fare la disinvolta, anche se, quando la luce del display le ha illuminato il viso, mi sono accorto che era arrossita. Ha letto il messaggio dal tempismo peggiore di sempre tutta sorridente e questo, unito a tutto il resto, mi ha dato maledettamente fastidio.

Un salto nel vuoto. Avevo preso lo slancio, avevo tutte le intenzioni di buttarmi e fanculo al resto. Finché la realtà non mi ha afferrato per le spalle, incollando i miei piedi al suolo impedendomi di muovermi.

Poi c'è stato l'assedio alla mia già traballante salute mentale. Mi tocco di nuovo l'angolo della bocca e sorrido come un adolescente alle prime armi.

Mi ributto sul letto, lanciandomi letteralmente sul cuscino. Devo smetterla con le seghe mentali e dormire, tanto non significa niente. Leah è off-limits per uno come me, troppo sfrontato, menefreghista, diretto e soprattutto allergico alle relazioni. Lei merita di meglio, merita qualcuno che sia l'esatto opposto di me.

Amo il sesso, amo le ragazze, ma ne voglio amare tante.

Beh, non userei la parola amore, diciamo che ne voglio far divertire tante.

E questa è una delle poche cose che mi riesce alla grande: qualche sguardo con i miei occhi verdi, qualche sorrisetto e il gioco è fatto. Finora mi è sempre bastato.

Magari le piaccio, ma Leah è troppo intelligente per non sapere che dentro di me non c'è nulla di buono e io con lei devo fare il bravo.

Devo fare il bravo ragazzo.
Anche perché altrimenti Ricky mi ucciderebbe.
E, inoltre, se solo Leah sapesse i pensieri che faccio su di lei, mi starebbe lontana almeno tre chilometri.

Sono contenta che sia stato tu il primo.

Mi sta fottendo il cervello. Lo fa apposta, con quella sua aria indifesa e innocente. Gioca con me perché probabilmente sa che ho le mani legate.

Il display del mio cellulare segna le sei del mattino, ci posso anche rinunciare a dormire, ormai. Sono stufo anche solo di provarci a chiudere gli occhi. Mi metto una maglietta e gli occhiali da sole ed esco da questa maledetta casa, come se la soluzione a tutti i miei problemi fosse quella di mettere quanta più distanza possibile tra me e Leah.

Magari fosse così semplice.

Quando torno a casa sono ormai le dieci, e già fa un caldo bestiale: sono sudato in punti che non credevo nemmeno potessero sudare.
Lascio cadere a terra i sacchetti della spesa, che come ogni uomo che si rispetti ho preferito portare tutti in una sola volta, in un unico viaggio, nonostante pesino quanto un carro armato. Dopo una frettolosa ricerca delle chiavi, la porta di ingresso cigola sotto la mia spinta e quando la apro a momenti non mi viene un infarto.

«Buongiorno.» La voce di Leah dal corridoio mi fa sobbalzare, mi aspettavo di trovare ancora tutti addormentati. Soprattutto lei, visto che ieri notte siamo stati insieme fino alle quattro del mattino.

Mi alzo gli occhiali da sole sulla testa cercando di darmi un contegno e non fissare le sue gambe nude che fanno capolino da quel pezzetto di stoffa che lei ha anche il coraggio di definire pantaloncini.

«'Giorno. Ho pensato di riempire un po' la cambusa. Ti va di darmi una mano con queste?»

«Certo» cinguetta senza fare una piega e si precipita a prendere una delle buste ai miei piedi.

Non mi fa domande sul perché sono uscito presto e sono andato al supermercato come se fossi una casalinga zitella e disperata, e mi fa piacere di non dover dare spiegazioni. Mettiamo tutto in ordine nella piccola cucina, Leah osserva compiaciuta ogni cosa che estrae dai sacchetti e ogni tanto le esce qualche piccolo "Oh" di sorpresa, che suonano alle mie orecchie come timidi apprezzamenti per aver pensato proprio a tutto.

Sono abituato a fare la spesa da solo, e negli anni ho affinato la tecnica della scelta dei prodotti base per la sopravvivenza. Pomodori, pasta, frutta fresca, scatolette di tonno, caffè.
Quando tira fuori dalla busta i suoi biscotti preferiti, con la coda dell'occhio la vedo puntare di scatto lo sguardo su di me, e le labbra le si incurvano in un sorriso.

Un sorriso bellissimo.

Fingo spudoratamente di non essermene accorto, intento a sistemare le innumerevoli bottiglie in frigorifero. Forse ho un po' esagerato, dubito che i nostri fegati riusciranno a reggere tutto questo alcool: qualche bottiglia di vino, birra come se piovesse, e un paio di superalcolici, un Bacardi e una vodka alla fragola. Leah guarda quest'ultima con curiosità.

«Ho pensato che potesse piacerti. Alle ragazze in genere piace tutto quello che sa di fragola» puntualizzo, strofinandomi la nuca per dissimulare la punta di imbarazzo.

Lei alza le sopracciglia. «Apprezzo il tentativo e non voglio sapere in base a quale esperienza hai dedotto questa teoria inequivocabile.»

«Sei maggiorenne, quindi se insisti ci sono un paio di aneddoti che posso raccontarti.»

Scoppiamo a ridere, insieme. Di nuovo.

Poi Leah apparecchia la tavola con latte e cereali, nel frattempo che io metto su il caffè. Ci muoviamo nel piccolo spazio della cucina sfiorandoci appena e ogni volta che succede sento il cuore fare una capriola nel petto.

Il mio stupido, stupido cuore.

Quando si avvia verso il bagno non riesco a non sbirciare il suo fondoschiena, mentre con una grazia ammaliante scompare oltre l'angolo del corridoio.
Mi costringo a resistere al desiderio fortissimo di strapparle le mutandine, stenderla sul bancone e fare una ricca colazione a base di Leah, prima che il tostapane sputi fuori le fette di pane.

A interrompere le mie fantasie, Ricky fa il suo ingresso trionfale in cucina, facendo bella mostra delle tonsille sbadigliando.
«Buongiorno, raggio di sole.» lo saluto, mentre mi riempio fino all'orlo la mia meritatissima e fumante tazza di caffè, di cui però lui si impossessa indebitamente.

«Oh, grazie. Mi ci vuole proprio.» fa con la voce ancora impastata dal sonno ignorando il mio disappunto.

«Buongiorno!» a differenza di Ricky, la sua ragazza è talmente pimpante che sembra sveglia già da ore. Lo abbraccia da dietro, strofinando il nasino tra le sue scapole. Sono schifosamente sdolcinati, temo mi stia venendo il diabete solo a guardarli.

Rido tra me e me della scena: Ricky mi fa tenerezza qualche volta. Povero, piccolo, indifeso Ricky che si è ritrovato il cuore colmo d'amore per una ragazza. Mai fare questo errore, le ragazze sono furbe. E io ogni giorno mi chiedo quando arriverà il momento in cui anche lei lo fregherà e lo farà a pezzi. Pezzi che poi sarò io a dover raccogliere.

Quando anche Leah si unisce a noi, è talmente raggiante che anche suo fratello resta di stucco. «Siamo di buonumore stamattina. Tutto bene ieri sera?»

«Mhmm, mhmm.» annuisce lei sorseggiando la sua tazza di caffè. Mi lancia un'occhiata complice che mi strappa un sorriso compiaciuto.

«Tua sorella ha fatto conquiste ieri sera.» squittisce esaltata Emily dando una leggera gomitata al suo ragazzo. Non so perché ma questa stupida frase, con la sua stupida voce, mi ha infastidito.

Per fortuna, la spiacevole conversazione viene interrotta dal telefonino della rossa, che inizia a squillare.

«Prepariamoci, baby. Le ragazze ci aspettano in spiaggia.» annuncia dopo aver riagganciato e, mentre si fionda in camera da letto, la seguiamo tutti e tre con lo sguardo, con l'aria di chi non può credere alle proprie orecchie. Non appena sentiamo la porta chiudersi alle sue spalle, io e Leah ci guardiamo e iniziamo a farle il verso all'unisono.

«Oh, baby, dai andiamo al mare.»
«Sì, baby, ci sono le mie amiche.»
Ci prendiamo gioco senza ritegno di quel buffo nomignolo affibbiato a un ragazzo arrogante e rude come suo fratello, che si copre il viso con le mani per la vergogna, ridendo anche lui con noi.

«Axel, sei il solito coglione.» mi rimbecca parandosi i colpi che gli assesto simpaticamente sul braccio. Sono sicuro che sta facendo di tutto per non arrossire.

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