XIV. Seconda Parte

Ancora una volta Everard si ritrovò davanti a quel patibolo, in quella piazza gremita di gente spaventata e inferocita, e per un attimo si sentì mancare. Forse perché (nonostante non servissero per via dei vari lampioni che riempivano la via) accanto al patibolo di legno erano stati sistemati vari bracieri che spargevano fumo denso tra i presenti, quasi si faticava a respirare, ricordando vagamente i roghi sulla collina. O forse perché vi era un unico solitario cappio illuminato appena dai vari fuochi scoppiettanti, o forse perché questo dondolava lentamente, quasi fosse mosso da una mano invisibile. Un vento impercettibile, inoltre, spargeva ovunque soffici petali di cenere grigia.

Mirielda, al fianco del principe, rabbrividì a sua volta stringendosi al suo vecchio amico e afferrando saldamente il suo braccio. Un po' per trovare conforto in quel calore familiare e un po' per infondergli quel coraggio di cui lui aveva chiaramente bisogno.

«Non ha fatto mettere le sedie questa sera...» mormorò Everard piegandosi verso la sua amica. La sua voce, seppur quasi impercettibile a causa del brusio generale, aveva preso un timbro ombroso. Qualcosa che sapeva di paura e rabbia. Forse per questo Mirielda strinse più forte il braccio del ragazzo conficcando le dita nella soffice stoffa del suo soprabito scuro.

«Forse preferisce assistere in piedi a questa esecuzione» borbottò Mirielda osservando le ombre nere lasciate da coloro che avrebbe dovuto considerare "famiglia". Eppure in quei visi illuminati dal calore del fuoco non ci vedeva nulla di familiare, nemmeno nei suoi genitori. "Thomas è tutto ciò che ho..." pensò tirando un profondo respiro.

«Elda» disse Everard, fin troppo dolcemente, girandola verso di sé. «So che odi queste cose, non devi restare se non vuoi.»

Mirielda osservò per un attimo quegli occhi verdi che nel buio di quella notte senza luna e forse anche senza stelle, dato il forte fumo, sembravano di una tonalità più scura e per nulla rassicurante. «Non è vero, l'unico che non dovrebbe essere qui sei tu, idiota. Rischi di non trovare più nessuna donna disposta a stare con te» dichiarò colpendolo ad una spalla. Everard accennò un sorriso, ma non fece in tempo a rispondere perché una voce attirò la loro attenzione. Tuttavia una parte di lui sperava che fosse così, sperava di essere odiato dal suo popolo come lui odiava se stesso.

«Non gli servono altre donne, dato che la perfetta scorbutica insensibile Lady Adelaide è arrivata a Salem con le sue sciagure. Al momento si trova al fianco destro al nostro amato re, per la precisione» disse Thomas sistemandosi accanto a loro. «Il che ha qualcosa di poetico, non trovate?»

«Che ci fai qui?» domandò Mirielda osservandolo a braccia conserte.

«Potrei farti la stessa domanda, sorellona» rispose lui rivolgendole appena una sguardo. «Mamma e papà non se ne perdono una, eh?» chiese osservando i genitori che conversano amabilmente con Adelaide, quasi si trovassero accanto all'ingresso dell'opera e non davanti a una tomba. «Non so decidere chi mi faccia più schifo...»

«Oserei dire Lady Adelaide» borbottò Mirielda ancora stretta a Everard, «ma anche il re non scherza» aggiunse osservando il fratello con espressione triste e angosciata, la stessa che gli restituì lui.

«Evert!» disse Lia lasciando la mano di Amelina e buttandosi tra le braccia del fratello che, terrorizzato per la presenza di sua sorella in un momento tanto orribile, si ritrovò a tremare stringendola al corpo. «Così mi soffochi!» borbottò Lia.

Amelina, sorpresa dall'improvvisa fuga della sorellina si girò a guardare dove fosse finita scontrando così i suoi occhi con la sua peggiore paura: Everard. Dentro di lei, fin dall'uscita da palazzo, si era ritrovata a sperare che il fratello non partecipasse a quella esecuzione, pur sapendo che il re aveva richiesto la presenza di tutti. Probabilmente perché, da quando aveva visto, attraverso lo schermo del televisore, il modo in cui suo fratello si era buttato tra i soldati urlando "Mary" aveva cominciato a rivedere ogni sua convinzione e soprattutto le idee di suo padre.

In effetti, Amelina, aveva iniziato a pensare a quel momento come a quello in cui aveva conosciuto la vera paura attraverso gli occhi di Everard, lo stesso terrore che lo stava attanagliando in quel preciso momento. E questo fu anche il motivo che la spinse a lasciare il suo posto accanto a Audry per spostarsi verso il fratello. O quello per cui ispezionò ogni centimetro di quella piazza sperando di incrociare quegli occhi marroni che per mesi aveva sognato. Quegli occhi che l'avevano spinta a disobbedire a suo padre per la prima volta in vita sua, rilasciando, la vigilia di natale, un'intervista che lui non aveva mai approvato.

D'altronde suo padre voleva per la sua secondogenita un matrimonio migliore di quello di Audry, dimenticandosi completamente di quello che invece voleva Amelina e questo l'aveva spinta a provare un forte senso di compassione per suo fratello e per le imminenti nozze di quest'ultimo. Ed era anche il motivo per cui simpatizzava tanto per quella misteriosa fanciulla vestita come una ninfa dei mari.

«Everard, cosa stai facendo? Non avresti dovuto venire!» lo rimproverò, quando gli fu accanto, afferrando lo malamente per un braccio e strappando così alla presa di Lia e di Mirielda.

Il fratello si girò a guardarla visibilmente confuso. «Per una volta che faccio come dice nostro padre, senza fiatare, hai comunque da ridire?»

«Questa donna è stata accusata solo perché ha ballato con te. Perché avete solo ballato vero? Eri ancora un bambino per la miseria!» esclamò quasi allarmata e con un pizzico di gelosia. «Everard! Questo non ha nulla a che vedere con le streghe! Si tratta solo di te che hai fatto infuriare papà ballando con la misteriosa fanciulla dagli occhi di zaffiro

«Ho solo ballato con la sconosciuta ragazza di capodanno, non so nemmeno chi sia!» precisò Everard ormai nervoso. Mirielda e Thomas si scambiarono un'occhiata che non passò inosservata a Amelina.

«Lascialo in pace» borbottò Lia stringendosi di nuovo alla vite del fratello.

«Lia, stanne fuori! E, Everard, questa è la bugia che devi continuare a ripetere se ne vuoi uscirne vivo!» dichiarò Amelina osservandolo dritto negli occhi. In fondo era chiaro, per chiunque fosse stato in quella stanza la notte di capodanno, che non poteva essere solo una "ragazza incontrata per caso". Come era chiaro che qualcosa non tornava nella sua presenza a corte, dato che sembrava essere scomparsa nel nulla subito dopo il ballo. Nonostante l'intero popolo la stesse cercando, nonostante fosse il pettegolezzo preferito di Salem, nessuno era riuscito a trovarla e nessuno aveva scoperto il suo nome. Come il re fosse venuto a conoscenza di Alice Foster e Emeline Redd, Amelina non ne aveva idea.

Mirielda fece per intervenire, sorpresa e anche un po' scocciata per il comportamento della principessa, quando i brusii si fecero via via più deboli. Così si ammutolì spostando lo sguardo verso la folla che osservava silenziosamente il boia e la giovane ragazza che veniva condotta verso il patibolo a pochi passi dal re.

«Tom...» mormorò Everard di nuovo sopraffatto da quella dolorosa voragine stracolma di sensi di colpa. Lo sguardo fisso sul corpo della giovane ragazza in carne che veniva condotta al centro del patibolo, proprio sotto il cappio. Everard si sorprese nel notare che la corda era appesa così in alto che a malapena sfiorava i capelli di quella povera ragazza, forse troppo bassa per quell'aggeggio mortale. Ma si sorprese ancora di più nel constatare che non riconosceva affatto Alice Foster. Aveva usato il suo cognome perché sapeva che avrebbe attirato l'attenzione di Gilbert e che lui avrebbe capito, ma non si era reso conto, prima di quel momento, che nessuno dei due, probabilmente, conosceva veramente quelle due ragazze. Perché, nonostante avesse esaminato ogni centimetro di quel viso paffutello e arrossato dalle lacrime o dal fumo, nonostante avesse studiato ogni capello di quella treccia malfatta che le cadeva sulla spalla e sulla camicia da notte bianca, non riusciva a riconoscerla.

Alice Foster era un'estranea ai suoi occhi come tutte le altre presunte streghe condotte lì sopra, eppure il dolore che provava Everard era diverso perché, in questo caso, era veramente lui la causa di tutto. Quella morte era colpa sua e di nessun altro. Aveva sfidato gli Dei e suo padre per liberare Mary dalla sua prigione e questo stava costando la vita a una giovane e innocente donna.

«Ricorda che non è colpa tua» disse Thomas afferrando Everard per un braccio e catturando il suo sguardo. «Evert, per la prima volta in vita tua hai avuto il coraggio di fare la cosa giusta. Non permettere ad un uomo con le manie di onnipotenza di abbatterti. Hai capito?»

Everard, per un attimo, restò a fissarlo chiedendosi come avrebbe fatto a superare quel momento. "L'alcol non sarà sufficiente questa volta" pensò mentre Lia gli stringeva la mano.

«Everard!» urlò in quel momento suo padre con un ampio sorriso facendogli segno di avvicinarsi a lui. Il principe spostò allora lo sguardo verso re William e sentì qualcosa dentro di sé spengersi, trasformandolo in un corpo freddo e privo di vita. «Finalmente sei arrivato, figliolo. Temevo che ti saresti perso la parte migliore!»

Al suono di quelle parole, fin troppo dolci, un brivido freddo gli percorse la schiena spingendolo a spostare l'attenzione su Alice, ma i suoi occhi si scontrarono invece con quelli di sua madre e si sorprese nel scorgere un barlume di orrore in quello sguardo fiero.

"Forse anche lei trova la cosa ripugnante" pensò rendendosi conto che era praticamente impossibile, la regina odiava le streghe tanto quanto il re. Orripilato dalla situazione si spostò in avanti con l'intento di raggiungere il padre, ma fu subito bloccato da Thomas.

Avevo uno sguardo severo e determinato che Everard non aveva mai visto sul volto del suo spensierato e superficiale amico. «Promettimi, Everard, che uscirai vincitore da questa esecuzione»

«Ho giocato una partita contro la caccia alle streghe e ho perso. Non c'è modo di uscirne vincitori, Tom, quando si tratta della morte» mormorò lui distogliendo lo sguardo e avviandosi a testa bassa verso suo padre.

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