III

Everard socchiuse gli occhi guardando i due pezzi di stoffa che svolazzavano davanti ai suoi occhi, aveva un'emicrania così forte che faticava quasi a distinguere i colori. Doveva smetterla di bere tanto...

«Si può sapere cosa sono?» chiese massaggiandosi la fronte.

«Ancora una volta non mi stavate ascoltando» borbottò Adelaide davanti a lui con le braccia incrociate sul petto. Everard la guardò sorridendo, sembrava veramente fuori di sé dalla rabbia. "Che carina, è diventata rossa!"

«No, non vi stavo ascoltando, mia dolce futura moglie» disse chiudendo gli occhi e appoggiando la testa al divano. "Perché non riesco a togliermi dalla testa l'immagine di Mary?" questa era la domanda che continuava a porsi, questo era il motivo per cui la sera prima aveva bevuto fino a perdere i sensi, da solo in una stanza enorme, ma vuota. Solo, il principe si sentiva sempre così solo...

«Sono campioni di prova per le tovaglie, dobbiamo sceglierne una da usare durante il ricevimento nuziale» disse Adelaide ormai esasperata. «Quale vi piace di più?»

«Non ci siamo ancora baciati e già pensiamo alle tovaglie? Lo trovo prematuro» disse Everard con una nota di malizia.

«Ragazze, per favore fatevi un giro, devo parlare un attimo con il mio futuro ubriaco marito» disse Adelaide sedendosi sulla poltrona davanti a lui, mimando il tutto con un ampio gesto esasperato, mentre le cameriere uscivano dalla stanza. Qualcuna ci impiegò forse più del dovuto per congedarsi dal principe Everard e questo non passò inosservato alla principessa Adelaide, futura regina di Salem.

«In realtà non sono sempre ubriaco, ma è carino da parte vostra sostenere che quando sarò sposato con voi lo sarò sempre... credo sarà estremamente vero» disse Everard con un sorrisetto compiaciuto.

«Ma smettila» borbottò Adelaide lanciandogli dietro il cuscino rosso riccamente decorato. Everard lo afferrò al volo prima che gli finisse in faccia ridendo di gusto. "Ha fegato questa ragazza!"

Adelaide fece un verso tutt'altro che femminile e si sedette sul bordo del bracciolo del divano, fin troppo vicino a Everard. «Adesso ti darò del tu, quindi ascoltami bene razza di ragazzino viziato. Questo matrimonio è importante per la mia famiglia e anche per la tua e so benissimo che a nessuno dei due interessa. Tu non sei proprio il mio tipo e amarti... solo il pensiero mi disgusta. So che mi tradirai e che berrai sempre troppo per i miei gusti. Quindi, prima che io ti strangoli con le mie mani, cerca di restare concentrato. Almeno fingi, in quello devi essere bravo.»

«Avete minacciato di strangolarmi?» chiese Everard guardandola sorpreso, un attimo dopo scoppiò in un forte ruggito divertito.

«Perché ridi adesso?» chiese Adelaide spostandosi.

«Vedi, prima di incontrarti mi sono detto: sposerò la donna capace di tenermi testa, che veda in me un uomo e non un principe» rispose Everard scuotendo la testa.

«E quindi?» domandò lei esasperata.

«Quindi tu mi hai appena strapazzato, esattamente come desideravo» disse Everard alzandosi, «eppure ancora non mi va di scegliere le tovaglie per il matrimonio. Ora scusami, ma mi sto annoiando terribilmente» così dicendo uscì dalla stanza e percorse i corridoi senza smettere di sorridere. In realtà però non stava pensando a Adelaide, ma alla prima ragazzina che lo aveva trattato in quel modo e al colore dei suoi occhi azzurri in fiamme per la rabbia. Era terribilmente carina.

«Everard!» urlò una bambinetta correndo verso di lui. Dietro le veniva appresso una delle cameriere, tutta trafelata e sudata. Quando vide il principe si ricompose, aggiustò la cuffietta bianca, la gonna grigia e con un fugace inchino scappò via rossa come un peperone.

«Fai questo effetto a tutte le mie cameriere. Non è appropriato» lo rimproverò Lia mettendo le mani in vita. Everard sbarrò gli occhi divertito.

«Ti credi così grande da poter spargere rimproveri?» chiese scompigliandogli i capelli.

«Ehi!» borbottò Lia levando le mani del fratello dalla sua testa. «Così mi rovini tutta l'acconciatura e poi mamma darà la colpa a me!» si lamentò spingendolo via. Everard la guardò, soddisfatto della sua opera: Lia sembrava un leoncino arrabbiato. «E poi io sono grande.»

«Così grande che giochi ad acchiapparella» la prese in giro Everard.

«Guarda che è un gioco divertente! Perché non provi?» chiese parandosi davanti al fratello. Poi si avvicinò toccandolo sulla pancia e urlò: «Preso» iniziando subito dopo a correre.

Qualche metro più in là però si bloccò notando che il fratello non si era ancora mosso. «Everard! Devi prendermi, se ci riesci! Dai! O la corona che hai sulla testa pesa troppo per correre?» chiese con fare impertinente Lia. Everard non aveva nessuna corona sulla testa, ma capiva cosa stava cercando di dirgli la sorellina, così sorrise.

«Inizia a correre Lia» urlò divertito prima di partire all'inseguimento. Giù per le scale, oltre lo spazioso ingresso e via verso il cortile. Ovviamente avrebbe potuto acciuffarla già nel corridoio del piano superiore, ma a Everard piaceva vedere sua sorella correre divertita di qua e di là urlando: "Tanto non mi prendi!". E sarebbe andato avanti ancora se, a quel punto, non avesse scorto delle guardie avanzare lungo il giardino scortando una fila di donne legate.

Così, prima che Lia potesse imbattersi in quelle perfide streghe, accelerò il passo afferrandola al volo, la girò contro il suo petto e la strinse a sé. Non lo fece tanto per la paura di una maledizione, ma quanto per il viso sfigurato dalle botte che avevano quelle donne. Nessuna bambina dovrebbe assistere a una scena simile.

All'improvviso però vide tra quel gruppo un volto familiare che stava guardando proprio lui. Come poteva non riconoscerlo? Erano passati anni, era invecchiata, o cresciuta, ma erano sicuramente gli occhi di Mary quelli che ora imploravano la sua pietà. Senza pensarci scattò in avanti: nonostante i lividi era ancora bellissima, sembrava quasi un angelo. Il suo cuore cominciò a palpitare e un sorriso gli salì in superficie illuminando il suo volto di una luce nuova, finché non realizzò che la sua Mary era tra quelle donne pronte a essere giustiziate.

«Mary» urlò spostandosi in avanti. Doveva raggiungerla e portarla via di lì, doveva salvarla! «Mary!» gridò di nuovo attirando l'attenzione dei soldati. Uno, accorgendosi del pericolo, si spostò dal gruppo e afferrò il principe per un braccio.

«Principe Everard, portate via la principessina da qui» disse indicando la bambina tremante accanto a lui. «Non deve vedere questo!»

Everard abbassò lo sguardo verso la sorella, ma quando tornò a guardare Mary questa era scomparsa. Al suo posto solo una vecchia signora con un sorriso soddisfatto che fece gelare il sangue del principe.

«Andiamo via, mi fanno paura» mormorò Lia spaventata tirando la camicia del fratello. Attirato da quel gesto e dalla voce terrorizzata della sua sorellina, Everard le afferrò una mano, forse più forte del dovuto, e la tirò dentro il palazzo, molto lontano da quelle donne demoniache.

«Fanno tanta paura! Everard, devono proprio stare qui?» chiese la bambina tremante. Everard, ancora scosso per quello che aveva visto, ci impiegò un attimo per riordinare le idee. "Mary è morta anni fa... allora cos'ho appena visto? Come ha fatto quella donna a sapere cosa stavo pensando?"

Tremante, il giovane principe, si inginocchiò davanti alla sorella e l'abbracciò forte, ma forse aveva più bisogno lui di quell'abbraccio di quanto non ne avesse la sorellina. "Lei è molto più forte di me!" pensò Everard stringendola a sé con più forza. Era l'unica cosa bella che aveva in quella grande casa.

«Mi dispiace, Lia, non avresti dovuto vedere» disse baciandole la fronte. «Non ti preoccupare, nessuno ti farà del male. Ci sono io qui a proteggerti!»

«Lo so, Everard. Sei il mio eroe» disse la bambina ridendo. «Però mi stai soffocando!»

«Scusa» mormorò lui lasciandola andare.

«Chi è Mary?» chiese la bambina puntando i suoi occhi verdi in quelli altrettanto verdi del fratello, il quale sorrise, ma non rispose alla domanda.

"Chi è Mary? Mary è un fantasma che mi perseguita da anni..." pensò e si trovò a guardarsi attorno come se lei fosse veramente lì. "Sarebbe bello parlare con Mary ancora una volta!"

«Sire» disse Lia sistemandosi la gonna e i capelli con gesti impulsivi e riportando il fratello alla realtà. Istintivamente imitò il gesto della sorella assumendo una posizione fin troppo militare per i suoi gusti, con quella camicia di un rosso scuro e i pantaloni chiari sembrava veramente una delle guardie del re.

"Perché poi sono così agitato ogni volta che vedo mio padre?" pensò maledicendosi mentalmente per quell'atteggiamento infantile. In fondo cosa poteva fare ancora il re? Costringerlo a sposare una donna che non amava? Quello lo aveva già fatto.

«Cos'è successo?» chiese re William avvicinandosi. Era un uomo alto e fin troppo magro per avere sempre il tavolo pieno di cibo. Eppure, nonostante la sua gracilità, Everard (il cui fisico era sicuramente migliore) lo aveva sempre trovato estremamente minaccioso, forse era colpa di quelle grosse sopracciglia o del mento spigoloso o di quello sguardo severo e penetrante. O, più semplicemente, perché aveva sempre fatto sentire Everard come un essere inutile... a volte una semplice parola può essere più appuntita di mille lame.

«Stavamo giocando» disse Lia nascondendosi dietro al fratello in modo discreto. Con la coda dell'occhio Everard la osservò e comprese che faceva lo stesso effetto anche a lei. Audry e Amelina erano le uniche a non aver paura di lui.

«Non hai un matrimonio da organizzare ragazzino?» chiese il re osservando il figlio con puro sdegno.

«Stava giocando con me» disse Lia cercando di difendere il fratello.

«Giusto, giocare è quello che ti riesce meglio, stupido ragazzo. Hai delle responsabilità verso di me e verso la corona, non devi fare da badante a una bambinetta che non sa stare al suo posto» lo rimproverò re William e, anche se il suo tono era piatto, alle orecchie di Everard le sue parole arrivarono come un urlo pieno di rabbia. «Vai subito da tua madre, Lia» ordinò restando composto al suo posto e la bambina corse via. «Per quanto riguarda te, invece, fatti trovare al mio fianco tra dieci minuti in piazza. Dobbiamo eliminare le piaghe di questo regno.»

«Sissignore» disse Everard drizzando ancora di più la schiena. Solo dopo diversi minuti dalla scomparsa del padre si permise di riprendere fiato.

***

La piazza era gremita di gente: uomini vestiti da lavoro e donne in abiti semplici, gonne lunghe scure e camicie bianche. Sembravano tutti così uguali agli occhi di Everard, oltretutto non comprendeva perché quelle donne fossero in prima fila ad assistere alla fine dei loro pari. Credevano forse di allontanare la cattiva sorte in quel modo? O era solo per congratularsi di non essere al loro posto? Un orribile modo per esorcizzare qualcosa che le stava spaventando nel profondo, ogni giorno di più.

«Vieni» ordinò il re facendo segno al figlio di sedersi al suo fianco e lo sguardo di Everard cadde momentaneamente sulle telecamere che trasmettevano in diretta l'esecuzione. Sbuffando si sedette accanto al padre sulla poltrona imbottita e decorata. Davanti a loro si trovava un patibolo con quattro corde.

Improvvisamente il cuore di Everard si bloccò nel suo petto. "Non posso assistere a questa roba!" pensò cercando di controllare l'ansia. Poi si girò verso il padre seduto accanto a lui pregandolo con lo sguardo di lasciarlo andar via, cosa che non fece, ovviamente. Eppure Everard non poteva restare, ricordava ancora l'ultima volta che aveva partecipato a un simile evento: il rogo sulla collina. Al suo ritorno aveva vomitato per ore e pianto per altrettante, da quel giorno non si era più sentito lo stesso. Uccidere in quel modo, non li rendeva meglio di loro. Poi il suo pensiero tornò a Mary e lì restò finché non si rese conto che una strega aveva bruciato viva la sua innocente Mary. A quel punto dentro di lui si crearono emozioni orribili che lo stavano inequivocabilmente trascinando a fondo... non poteva restare lì! Doveva andare dalla famiglia di Mary personalmente, doveva assolutamente parlare con loro. Scusarsi con loro. "Scusarmi di cosa?" pensò e anche se non riusciva a dare una risposta a questa domanda sentiva di doverlo fare.

Suo padre lo colpì al braccio attirando la sua attenzione. «Ti perdi la parte migliore!» disse euforico, come se fosse un film emozionante e Everard si sentì disgustato di suo padre e anche di se stesso. Però questo lo portò ad osservare il patibolo sul quale quattro donne erano allineate e guardavano lui. "Mi servirà molto alcol per dimenticare tutto questo" pensò e si rammaricò perché sapeva che avrebbe passato la notte a bere e a fare chissà che altro... alla fine si sarebbe pentito di tutto, ma non si può piangere sul latte versato.

«Come vi dichiarate?» urlò una guardia afferrando la prima leva.

«Non sono una strega!» disse a denti stretti la donna, un attimo dopo penzolava senza vita. Everard chiuse gli occhi e placò la voglia di rimettere.

La stessa solfa si ripeté per altre tre donne e alla quarta, quando Everard ormai era pallido e privato completamente della sua umanità, la rivide: Mary. Era legata all'ultima corda e i lunghi capelli scompigliati che le ricadevano sulle spalle. Il viso angelico era sporco e deturpato da ematomi scuri, eppure quegli occhi azzurri erano i suoi.

Everard afferrò i braccioli della sedia e li strinse tanto forte da farsi male. «Mary...» sussurrò con gli occhi in fiamme.

«Come vi dichiarate?» domandò il soldato.

«Non sono una strega! Everard, aiutami! Tu lo sai che non sono una di loro! Sono tua amica! Everard! Ti prego salvami... non lasciarmi morire qui!» urlò Mary spaventata e in lacrime.

Senza pensarci il principe scattò in piedi. «Lasciatela andare! È un ordine!» urlò buttandosi verso il patibolo. «Tirate giù Mary da lì!» ordinò con tutta l'autorità che non aveva mai usato in ventisei anni. «Tirate giù Mary di lì! Mary!»

«Principe Everard!» disse una guardia braccandolo. «Vi è entrata nella mente! Quella donna non si chiama Mary» urlò la guardia per sovrastare le proteste del principe. Subito dopo anche un'altra guardia reale di unì alla prima nel tentativo di tener fermo il giovane principe, ma Everard, terrorizzato dalla paura di perdere di nuovo Mary, non voleva sentir ragioni. Ce ne vollero altre tre per allontanarlo definitivamente dalla piazza.

«Mary non è una strega!» disse il principe cercando di liberarsi. Fu a quel punto che sentì l'ingranaggio partire e l'urlo della folla che segnava un'altra strega morta. In un attimo in lui si spense tutto e crollò a terra, incapace di sorreggere il proprio peso. Tutto sembrava aver perso valore. Si sentiva vuoto e solo. Chiuse gli occhi e rimase così, sopraffatto da un dolore che non riusciva a comprendere per un tempo a lui infinito. Solo quando sentì suo padre al suo fianco aprì gli occhi e quello che vide sul suo volto non gli piacque per nulla. "Sono morto!" pensò alzandosi a fatica. Per di più oltre alle guardie non c'era nessuno nei passaggi: quindi il re poteva fare il re.

«Tu sei una delusione per tutti noi» disse a denti stretti prima di mollare una sberla sulla faccia del principe spaccandogli il labbro con il suo grosso anello. Everard sentì il sangue bagnarli la bocca, ma non gli importava, era abituato a questo. «Ci hai messo in ridicolo tutti! Se nemmeno un principe è immune al loro potere, allora chi è al sicuro? Questo regno sta andando a rotoli ed è tutta colpa tua! Guarda! Guarda, stupido ragazzino!» urlò indicando il patibolo.

Everard aveva cominciato a comprendere da solo che non poteva essere Mary la ragazza là sopra, perché la sua Mary era già morta, eppure non riusciva a girarsi per paura di vedere ancora il suo sguardo in quello di una strega. Così concentrò tutta la sua attenzione sulla spilla che suo padre portava al petto da molto prima della sua nascita. Sembrava una specie di fiore con varie pietre viola e una lettera che ricordava terribilmente una L dentro un zero o una O. Everard non aveva mai compreso il suo reale significato, né perché la portasse sempre. Una volta aveva anche provato a chiedere, ma non era finita bene. Meglio non farlo arrabbiare il re, questo lo aveva imparato. O per meglio dire, era meglio non fare domande personali al re di Salem.

«Mi ha chiamato per nome» mormorò Everard un attimo dopo con gli occhi in fiamme, non poteva però piangere davanti al padre. Non per una donna, non per una donna morta.

Il re cominciò a tamburellare un dito sulla sua testa. «Ha parlato solo qui dentro. Nessuno di noi l'ha sentita! Ti ha controllato la mente. E sai perché lo ha fatto? Perché sei debole!»

"Avrò bisogno di montagne di alcol per dimenticare tutto questo!"

Re William lo guardò per un altro secondo. «Datti una ripulita. Ci vediamo dopo cena nel mio ufficio. E non presentarti al tavolo stasera... cenerai nella tua stanza.»

"Sono debole, ha ragione" pensò Everard tremante mentre fissava il padre andarsene con le guardie. Improvvisamente si sentì di nuovo molto solo.

Buongiorno e buona domenica!❤️

Cosa ne pensate delle impiccagioni e del gesto di Everard? Vi aspettavate una cosa simile?

So che la storia sta procedendo un po' a rilento quindi farò il possibile per pubblicare due volte a settimana. I giorni ancora non li so, penso che pubblicherò appena avrò un capitolo pronto.

So che questa storia è un po' particolare e che, come ho detto, magari sta andando un po' lentamente, ma spero che vi stia piacendo. Fatemi sapere le vostre opinioni!

Baci e buona domenica! ❣️🥀

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