3
«Oh mio dio!» urlò Charlotte euforica salendo le scale. «Non ci posso credere! Non ci credo!»
Nascosta nella mia intercapedine sorrisi, contagiata dall'allegria di mia cugina: era un uragano emotivo quella ragazza! Così, incuriosita per questa sua felicità improvvisa, appoggiai il libro sul letto e premetti il pulsante che mi permetteva di aprire la porta. Da quello che mi aveva raccontato mio padre, era stato mio zio Fulke (suo fratello) a costruire quella stanza quando era giovane per nascondere a mio nonno le bottiglie di birra e chissà che altro. Fortunatamente era bravo con quei lavori assurdi, ingranaggi e cose simili... se ne inventava sempre una nuova!
Era strano da dire, ma mi mancava, forse tanto quanto mi mancava mia madre. Tuttavia era rincuorante sapere che non era più solo, ora mamma gli avrebbe fatto compagnia. In fondo, da quello che avevo intuito, erano molto amici qui, sicuramente lo sarebbero stati anche nell'aldilà. Sorrisi al pensiero di mia madre che rideva a qualche battuta incomprensibile di mio zio: era l'unica a capirle.
Tirai un profondo respiro, erano passati tre giorni dal funerale di mamma e la ferita che aveva lasciato era ancora sanguinante. Per di più avevo visto Charlotte e i miei fratelli uscire con quell'abito nero, mentre io ero dovuta restare nascosta in quella stanza. Sola. Non augurerei a nessuno una simile solitudine in un momento così difficile...
«Mary, guarda qui!» esultò Charlotte aprendo di slancio la porta e chiudendola subito alle sue spalle. Era talmente elettrizzata che quasi saltellava. «Guarda! Guarda! Guarda!» strillò porgendomi una lettera dai bordi dorati. Sembrava una busta fin troppo pregiata per essere della scuola o dei suoi amici.
Mi sistemai la gonna e raggiunsi mia cugina afferrando la lettera dalle sue mani, poi la girai leggendo le parole scritte a penna. Impulsivamente scoppiai a ridere facendo crucciare Charlotte.
«È la sua scrittura, vero? L'ha scritta personalmente?» chiese Charlotte trepidante. Io la guardai sollevando un sopracciglio: esattamente come pensava che potessi saperlo? «Eravate amici da piccoli!» mi rimbeccò, forse notando la mia confusione.
«Pensi che questa sia stata scritta veramente dal principe Everard?» domandai restituendole il suo bottino. «Forse è stata scritta da qualche suo aiutante sottopagato» scherzai.
«Però questa è la sua firma, l'ho vista nella rivista ufficiale di corte» disse Charlotte esaminando ancora la busta, sembrava quasi avvilita.
«Possiamo permetterci quella roba?» chiesi sedendomi sulla sponda del letto. Tutti i pettegolezzi del mondo vero mi venivano raccontati, giorno dopo giorno, da Charlotte. A volte attendevo che tornasse a casa solo per sentirla parlare per ore dei suoi amici e di quello che facevano.
«Noi no» rispose Charlotte, «ma la madre di Alan ama quella rivista. L'ho letta con lei l'altro giorno.»
Presa da un forte senso materno mi alzai e afferrai il tagliacarte dalla scrivania porgendolo a mia cugina, proprio non riuscivo a vederla con quel musone. «Aprila, così vediamo cosa vuole il Principe-dal-nome-orribile dalla bellissima Charlotte Osborne» la incitai con un sorriso ampio. Senza farselo ripetere Charlotte afferrò il tagliacarte e aprì la busta in modo davvero poco signorile, forse perché le tremavano le mani. Mi trovai a ridere per quella scena così buffa: chissà perché tanta ansia per una lettera reale, probabilmente spedita senza il vero consenso del principe. In fondo, ammettiamolo dai, non avrebbe fatto lo stesso effetto se vicino al timbro di corte ci fosse stato scritto: Billy, scrivano sottopagato reale.
«Oh mio Dio! Oddio svengo!» urlò Charlotte leggendo le parole sulla lettera, mentre si sedeva al mio fianco. «Non posso crederci! Dimmi che è tutto vero, Mary!» aggiunse porgendomi il foglio con un gesto secco. Corrugai la fronte e l'afferrai.
Ebbene sì, a quel punto, con mia grande vergogna, diventai una ragazza euforica a mia volta e iniziai ad esultare con Charlotte.
«Dimmi che è quello che credo!» disse Charlotte dopo un attimo afferrandomi le mani. «Siamo salve, vero?» chiese con gli occhi pieni di lacrime di felicità, attorno a lei comparve un'aura gialla che non vedevo da tempo in quella casa. Eppure io ricaddi nello sconforto. Noi non eravamo al sicuro, lei sì.
«Questa è la certificazione?» chiese Charlotte indicando il foglio.
«Sì Charlotte, è la certificazione» dissi abbozzando un sorriso. «Congratulazioni, non sei una strega!»
«Questo... Mary... è fantastico!» esclamò scattando in piedi. «Da oggi in poi avrò le cure gratuite e potrò camminare per strada a testa alta. Tutti vorranno assumermi! Niente più miseria, Mary! Siamo salve!»
«Non proprio...» mormorai guardando la porta nascosta. Forse lei non era una strega, ma io restavo ancora un fantasma nascosto nel muro della sua stanza. «Non ti sembra strano? Dei soldati vengono qui e chiedono di me... poi arriva questa.»
Charlotte si girò verso di me mettendo le mani in vita, dove la gonna stringeva fasciandole il busto stretto. «Guastafeste! Si può sapere qual è il problema? È firmata dal principe! Siamo salve, nessun vicino ci denuncerà o entrerà di notte in questa casa per ucciderci, abbiamo il nullaosta del principe Everard in persona, Mary!»
«Hai» la corressi malamente, poi tirai un profondo respiro. Avrei dovuto essere felice per lei, eppure sentivo qualcosa di marcio nascondersi dietro quel pregiato foglio di carta. «Ho solo paura Charlotte...» ammisi chiudendo gli occhi. «Io sono ancora nascosta in quel muro, voi potreste essere impiccati tutti da un giorno all'altro.»
Charlotte restò in silenzio per un attimo, poi si sedette di nuovo al mio fianco sorridendo senza apparente motivo. Forse Charlotte era più pazza di me. «Sai, su quella rivista erano scritti i requisiti per ottenere questa» disse afferrando il foglio. «In alcuni casi è stata donata a donne e uomini che risultavano essere stati colpiti da un attacco delle streghe. Quindi questa, questa in realtà è merito tuo, o meglio, dello sforzo che fai ogni giorno per fingerti morta!»
Feci una risata amara guardando i miei calzini bucati, ma tanto chi li vedeva? «Io sono la strega che mi ha ucciso, dovrei pagare per questo.»
«Zia Lucia è la strega che lo ha fatto» mi corresse. «E, in ogni caso, stai pagando la pena peggiore. Ti prego, Mary! Gioisci con me! Alan mi chiederà sicuramente di uscire con lui adesso! Un giorno troverò un lavoro e avrò uno stipendio molto sostanzioso solo perché il principe in persona ha firmato questa carta! Mi sposerò e i nostri figli saranno al sicuro perché entrambi avremo uno stupido pezzo di carta! Tuo padre domani tornerà a palazzo e verrà pagato molto bene, mangeremo cibo vero molto presto, Mary! E forse zio Alexander ci porterà anche le caramelle!»
Mi trovai a sorridere: Charlotte conosceva il mio debole per quei dolcetti alla frutta zuccherati e proibiti! Quanto avrei dato per mangiarne ancora uno!
«Alan mi chiederà di uscire!» urlò Charlotte raggiungendo la porta e scendendo di sotto. «Madre, guardate! Madre, venite a vedere!» l'eco della sua voce mi arrivò lontano ma chiaro. Risi aprendo di nuovo la porta della mia camera, quando comparve Edwin con un vassoio e due piatti quasi vuoti. Sorrisi avvicinandomi.
«Oggi si mangia il doppio?» chiesi con gli occhi che luccicavano. Non mangiavo nulla dalla cena del giorno prima; di solito la cosa non mi pesava, ma l'ansia dell'ultimo periodo aveva creato una voragine nel mio stomaco che dovevo assolutamente riempire!
«No» borbottò mio fratello appoggiando il vassoio a terra e sedendosi davanti a me sul pavimento. «Mangio con te stasera!»
«Quale onore, Edwin!» esclamai rubandogli un pezzo di patata lessa dal piatto. Mio fratello rise imitando il mio gesto. «Non vale!» borbottai.
«Ti do un pezzo di salsiccia se mi dici cos'è che ti turba» propose osservandomi. Lo guardai a bocca spalancata: non perché volesse rinunciare alla salsiccia, dato che non gli piaceva particolarmente, ma perché era lì solo per quel motivo. Come diavolo aveva fatto a capirlo?
«Hai la stessa dote di nonna» mormorai prendendo un profondo respiro. «Riesci sempre a capire quando qualcosa non va, vero? Non riesci a far finta di niente...»
«Mamma manca a tutti, Mary» disse Edwin scuotendo la testa. «Ma tu stai pensando ad altro da giorni, lo vedo.»
«Sono nella seconda fase del lutto: la rabbia» dissi drizzando la schiena. In realtà ero quasi arrivata alla terza, per quanto riguardava mia madre... per mio padre ero appena alla prima.
«Riguarda papà? O meglio, la sua partenza?» chiese mangiando un pezzo di pane. «Non è la fine del mondo, Mary. Io e Gil ce la caviamo bene in negozio.»
«E se non gli permettessero di tornare?» domandai con voce tremante. Ecco cosa mi spaventava di più. Ero un mostro, mamma era morta da meno di sei giorni ed io ero triste per la partenza di mio padre.
«Vivere a palazzo non è così male» osservò Edwin.
«Tu odiavi vivere lì» gli feci notare malamente.
«Non è propriamente vero! Ho ricordi molto piacevoli di Salem Village... sicuramente più che di qui. Insomma... lì eri felice anche tu e questo mi manca. Oltretutto papà potrebbe trasferirsi direttamente a palazzo questa volta, il che vorrebbe dire molti più soldi e una bella stanza. Vivere nella casa del re non è così male, Mary» scherzò.
«Papà amerà sicuramente sedersi comodamente sul trono a leggere il giornale o bere del tè freddo con la regina» borbottai ironicamente.
«Andrà tutto bene, Mary!» disse Edwin passandomi due pezzi della sua salsiccia.
«Non è vero! Cosa è andato bene negli ultimi nove anni?» urlai scattando in piedi. Mi allontanai da lui di qualche passo guardando la tenda che oscurava la finestra. «Perché non riesco ad essere triste per la morte di mamma?» chiesi girandomi di scatto verso Edwin. Questa era il mio terrore più grande, non poter più provare nulla. Diventare fredda come il marmo.
«La magia che ti scorre nelle vene deriva dalle tue emozioni, no?» chiese porgendomi un pezzo di pane che afferrai divorandolo tutto insieme, sentendomi subito dopo un verme. Mio fratello lavorava nove ore al giorno ed io, che passavo le giornate a leggere, avevo anche il coraggio di rubargli il cibo. Sono pessima. «Forse per questo mentre Gil veniva a prenderti mamma ha iniziato a mormorare parole senza senso, almeno per me.»
Lo guardai sbarrando gli occhi. «Credi che mamma mi abbia fatto un incantesimo?» chiesi confusa. Mamma non usava mai la magia, esattamente come me! Era la prima ed unica regola per essere una Noi. Non mi avrebbe mai tradita in questo modo!
«Non sarebbe stata la prima volta» osservò Edwin. «Nove anni fa abbiamo seppellito Marilyn Osborne.»
A questo punto le braccia mi caddero lungo il corpo e la bocca mi si spalancò in un modo decisamente poco appropriato. «Come scusa?» chiesi osservandomi. Non potevo essere morta veramente, i fantasmi non crescono ed io ero decisamente molto più alta e formosa di nove anni prima.
«Chiudi la bocca, sei una signorina!» mi rimproverò Edwin ridendo. Sbuffai indispettita sedendomi di nuovo al mio posto. «Ti ha fatto un incantesimo poco prima che arrivassero i soldati. Sembravi veramente morta...»
«Non posso crederci» mormorai, ed era vero, non avevo parole, se non che la magia era veramente malvagia. Forse re William aveva ragione, noi eravamo qualcosa di mostruoso. «Quindi sei qui per questo? Perché pensi che mamma mi abbia stregato?»
«Lo ha fatto sicuramente e non riesco a biasimarla... non usi la tua magia da nove anni, basterebbe uno sbaglio, un momento di debolezza, e noi dondoleremmo in piazza» disse cercando di farmi capire le intenzioni di mamma.
«Mi sta negando di soffrire!» urlai. «Non posso vivere, Ed? Non posso soffrire, non posso vedere il sole e... cos'altro non posso fare?» domandai rabbiosa. I polpastrelli iniziarono a punzecchiare ed io sentii qualcosa di strano bruciarmi dentro.
«Mary» ordinò Edwin spostandosi e afferrandomi per le spalle. «Guardami! Dentro e fuori, dentro e fuori... respira! Ecco così brava. Va meglio?» chiese tenendomi ancora per le spalle.
No! No che non andava meglio! Al diavolo la respirazione, al diavolo la magia! Io ero stufa di quella vita priva di tutto!
«Sì, grazie» dissi semplicemente. In fondo aveva ragione lui: il mio sacrificio serviva a salvare la mia famiglia, non me. Sarebbe stato più semplice se mi avessero uccisa veramente.
«Guarda, Olivia!» urlò Charlotte dal piano di sotto. Oliva Osborne era la sorella maggiore di Charlotte, sposata da ben tre anni e con una splendida figlia di nome Sarah.
Edwin si spostò da me sorridendo. «Fammi indovinare: è così euforica per questa» disse tirando fuori dalla tasca dei pantaloni una busta piegata a metà, la stessa di Charlotte. Sorridendo la presi dalle sue mani.
«È fantastico, Ed!» dissi abbracciandolo. «Ora puoi vivere la tua vita!»
«Questo pezzo di carta non cambia nulla, Mary. Noi abbiamo te e... nessuno che ha vissuto la nostra esperienza vorrebbe avere figli o sposare una donna non certificata. Non posso vivere lo stesso supplizio di papà o costringere mia figlia a vivere dentro un muro come un ratto» rispose a denti stretti. Quindi avevo ragione, loro non volevano sposarsi per colpa mia.
«Hai questo adesso, puoi sposare una donna certificata e non ci sarebbero più problemi» osservai. «A parte il topo nel muro» mormorai indicando il passaggio segreto. Edwin scoppiò a ridere.
«Lo hanno ricevuto tutti in famiglia» disse osservando il foglio. «Evidentemente il principe Everard era di luna buona o non si è scordato di Marilyn Osborne.»
«Cosa stai dicendo?» chiesi socchiudendo gli occhi.
«Abbiamo cinque anni in più di te, uno in più di lui...» disse con un sorrisetto impertinente. «Pensavi che non ci fossimo accorti di come ti guardava?»
«Stai parlando del principe che ama le donne? In generale, proprio tutte tutte?» chiesi con un sorriso sarcastico. «Il principe dal nome strano? Quel principe?»
«Sì, quello che si sposerà a breve!» aggiunse Edwin finendo la sua porzione di cibo un tantino misera per un uomo come lui. «Forse può avere tutte quelle donne, ma tu ai tempi gli avevi dato un sonoro due di picche. Non sai quanto abbiamo riso io e Gil. La ragazzina spettinata che molla il principe per il ragazzino occhialuto. Il bacio imbarazzato che vi siete scambiati nella sua veranda era stato esilarante!»
Sorrisi al ricordo di quel tipetto basso con gli enormi occhiali. Era così carino, la mia prima e ultima cotta... poi ero morta e i morti si sa, non possono innamorarsi.
«Forse era iniziata in un modo insolito, ma alla fine il nostro è stato un addio con le lacrime» dissi, «aveva gli occhiali tutti appannati.»
«Sì, perché Gil lo ha spaventato a morte! Se non ricordo male aveva fatto un commento poco carino sul principe Everard quella sera» rise Edwin, ma mi osservava come se stesse cercando qualcosa.
«Io non lo sapevo quando l'ho visto correre via» ribattei. «Per me era semplicemente triste.»
Edwin a quel punto mi sorrise, ma sembrava preoccupato o sorpreso. «Davvero non ricordi il tuo legame con Everard?» chiese un attimo dopo increspando la fronte. Io scossi le spalle.
«Ricordo che da bambino non stava mai zitto e che mi seguiva ovunque come un piccolo cagnolino spettinato» dissi con finto fare annoiato. Ricordavo molto altro, ma non mi andava di sostenere quella conversazione con Edwin, né con nessun altro in realtà.
Mio fratello rise di gusto mentre gli rovesciavo la mia porzione di cibo nel piatto tenendo per me solo due pezzi di salsiccia. «Che stai facendo?» chiese confuso.
«Parlare di vecchi fidanzati occhialuti mi ha tolto l'appetito» dissi sorridendo e Edwin mi rivolse lo stesso sguardo, carico però di profonda gratitudine.
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