17

Studiai la porta con estrema tristezza. E pensare che un tempo aspettavo trepidante su quei gradini per incontrare Phil, ora invece sarei corsa via a gambe levate, ma non potevo... sentivo che mamma sarebbe stata d'accordo con questa scelta. Liberare tutti dalla pena della mia esistenza e con tutti intendo anche i reali di Salem. Ancora non sapevo cosa volessero da me le streghe, ma non aveva più importanza... tra qualche ora Everard sarebbe stato sposato e il giorno seguente anch'io. Il solo pensiero mi disgustava!

Per di più la partenza era stata più dolorosa del previsto, ovviamente non mi riferivo a mia zia, ma salutare Charlotte (era tornata a casa prima perché Gilbert l'aveva informata della mia fuga improvvisa) e Edwin fu una pugnalata allo stomaco. Ad ogni lacrima di mia cugina la lama finiva più a fondo. Avevo provato a essere forte, ma quando Edwin disse che mi avrebbe sempre voluto bene e che era orgoglioso di me, qualsiasi scelta avessi fatto, ero scoppiata a piangere. Anche Olivia e Sarah erano venute a trovarci ed era stato difficile salutare anche loro. Ma soprattutto era stato difficile dire addio a mio padre attraverso una cornetta telefonica fingendomi Charlotte... quello era stato peggio di una pugnalata.

L'unico a cui ancora non avevo detto addio era anche la persona il cui addio sarebbe stato più difficile: Gilbert. Nonostante al momento fosse accanto a me, non osavo guardarlo negli occhi, perché sarei scoppiata a piangere come una bambina. Non potevo salutare Gilbert per sempre, non ne avevo le forze...

C'era anche un'altra persona a cui non avevo rivolto parola o meglio pensiero: Everard. Non solo perché stava per sposarsi e la cosa mi faceva impazzire, ma anche perché aveva mandato due soldati a prendere Gilbert e me nel cuore della notte con destinazione casa Martin. Non un Martin qualunque, ma Phil Martin. A quale gioco perverso stava giocando?

«Sei pronta?» chiese Gilbert con tono assente. Tirai un profondo respiro e annuii, era appena sorto il sole e un leggero rosso illuminava la mano di mio fratello, che batteva con convinzione due colpi decisi sull'uscio. Strinsi tra le dita la maniglia della mia valigia... non che avessi davvero bisogno di una valigia così grande, le uniche cose che avevo portato erano dei libri a cui tenevo particolarmente e la mia vecchia coperta (quella meno rovinata), ma Charlotte aveva insistito a regalarmela perciò l'avevo accontentata. Mi sarebbe mancata tantissimo...

Tirai un altro sospiro riportando la mia mente alla vecchia coperta contenuta della mia valigia. Zia Susannah vedendola aveva protestato per buttarla, eppure io non ero riuscita a separarmene... forse perché ora era collegata non solo a mia nonna e alla mia infanzia, ma anche a Everard. Era l'unica cosa che avevo di loro, non potevo lasciarla andare così.

Un attimo dopo la porta si aprì e il sole illuminò il volto di Phil. Era cambiato molto, eppure sembrava comunque lo stesso ragazzo. Il naso aquilino e gli occhi marroni erano i suoi, ma qualcosa nel suo sguardo era mutato. O forse era sempre stato così, sinceramente non riuscivo a ricordarlo. Sta di fatto che non mi piaceva proprio... ed io che avevo immaginato per anni la nostra vita insieme! Quanto stupida...

Gilbert accanto a me si guardò intorno sistemandomi il mantello sulla testa per nascondermi ai primi passanti. «Possiamo entrare?» chiese a Phil in tono sbrigativo.

«Gilbert. Guarda un po' chi è venuto a bussare alla mia porta per un favore» disse Phil con puro sdegno svegliando in me un forte istinto protettivo. Nessuno insulta mio fratello!

«In realtà è stato Everard a mandarci qui» precisò Gilbert già sul piede di guerra.

«Avete finito di fare i ragazzini?» borbottai avanzando di un passo ed entrando nella casa senza l'invito di Phil, ma non mi importava molto. Abbassai il cappuccio e mi osservai attorno, era tutto esattamente come lo ricordavo, sembrava quasi impossibile. La stanza non era tanto grande, ma conteneva tutto quello di cui una famiglia aveva bisogno: una cucina abbastanza moderna, un tavolo ampio, un camino e un divano. L'unica sostanziale differenza tra ora e nove anni prima era il mega televisore e qualche altro elettrodomestico avanzato.

Un attimo dopo la signora Martin e il marito uscirono dalla camera e restarono visibilmente sorpresi di vedermi ferma nel loro salotto. Anche loro erano esattamente come li ricordavo, se non per qualche ruga in più sulla fronte e ai lati degli occhi. La signora Martin era una donna grossa e minuta con una folta capigliatura castana, mentre il marito era leggermente più slanciato e mingherlino. Phil e il signor Martin erano sempre stati molto simili, ma ora sembravano quasi due fotocopie se non per il fatto che il padre portava ancora quei pesanti occhiali tondi!

«Marilyn!» disse la donna abbracciandomi. «Phil ci ha detto che eri viva, ma fa comunque strano vederti qui! Sei diventata una donna bellissima, esattamente come tua madre.»

«Grazie» dissi con un sorriso ampio, certo non mi aspettavo un'accoglienza simile. Anche il padre di Phil mi sorrise confermando le parole della moglie e aggiungendo qualche commento personale che apprezzai molto.

«Oh, Gilbert!» disse la signora Martin abbracciando mi fratello, che assunse un'espressione visibilmente contrariata. «Sei uguale a tuo padre! Se non per gli occhi... non dirlo a Edwin, ma ho sempre pensato che tu avessi preso il meglio di entrambi.»

«Credo che Edwin se ne sia accorto» scherzò Gilbert liberandosi gentilmente dalla presa della donna e guardandomi con un sorriso strano. Dovetti trattenermi per non scoppiare a ridere.

«Andiamo cara» disse il signor Martin, «abbiamo un matrimonio da gestire.»

«Oh sì!» esclamò la moglie girandosi di nuovo verso di me e afferrandomi il viso con entrambe le mani. «Sono contenta che mio figlio possa venire con voi oltre le mura di Salem. Dio salvi il futuro re» disse annuendo, io però cominciavo a sentirmi un po' confusa, così cercai lo sguardo di mio fratello, ma lui si limitò ad alzare le spalle scuotendo la testa.

«Addio ragazzi!» disse il signor Martin facendo scoppiare in lacrime la moglie. Poi si chiusero la porta alle spalle lasciandoci lì con la nostra confusione.

«Cosa significa?» domandai girandomi di scatto verso Phil, lo sguardo più minaccioso che conoscessi. Phil scoppiò a ridere afferrando la mia valigia e appoggiandola accanto alla porta.

«Quindi il vostro caro amico non vi ha informati?» chiese lui con tono sgarbato facendo scattare Gilbert in avanti, così mi spostai verso di lui trattenendolo per un braccio. Ci mancava solo che facessero a botte. «Sua Altezza Reale ci ha garantito una via di fuga in tutta sicurezza e tu, Mary, sei il nostro lasciapassare.»

L'espressione di Gilbert divenne più dura, poi con un gesto veloce e spontaneo mi spinse dietro di sé come se temesse un qualche tipo di attacco. Dentro di me scoppiai a ridere: come poteva considerare Phil una minaccia? Gilbert era tre volte lui, non avrebbe mai potuto competere a forza fisica. E poi Phil non avrebbe fatto male a una mosca, era questo che mi piaceva di lui.

«Tu e chi esattamente?» chiese Gilbert diffidente.

«Verrò anch'io con voi» rispose una donna uscendo dalla camera che un tempo apparteneva a Phil. La guardai sorpresa e il mio stomaco si strinse in una morsa letale quando compresi di chi si trattava: la moglie di Phil. Restai a fissarla forse più del dovuto, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo. Non era semplicemente bella, ma era praticamente scolpita in ogni sua forma. Tutto in lei era stupendo, dalle labbra carnose agli occhi penetranti: tutto in quella donna era terribilmente sensuale. Ecco perché è stato con lei, pensai amaramente. Per qualche assurda ragione cominciai a sentirmi inadeguata, come se lei valesse molto più di me.

Quasi mi avesse letto dentro, la donna puntò i suoi occhi marroni nei miei e disse: «Andare a letto con il principe aiuta, eh?» ed io sentii un conato di vomito salirmi in gola. Quindi Everard stava aiutando quella donna per questo? Quindi perché stava aiutando me?

«Non può essere vero...» disse Gilbert ancora guardingo.

«No, è stata veramente con il principe» precisò Phil. «Ora non sei più tanto orgoglioso di lui vero?» domandò facendosi beffe di mio fratello, infatti al suono di quelle parole i suoi muscoli si irrigidirono sotto le mie mani, o forse furono le mie mani a stringersi con una morsa letale sui suoi muscoli.

«Non intendevo questo» precisò Gilbert. «Le insignificanti cameriere che hanno giaciuto nel suo letto non sono certo affar mio, mi riferisco al fatto che io conosco tua moglie.»

Guardai Gilbert con fare confuso. Come aveva capito che era sua moglie? Everard gli aveva parlato di lei? Perché lo aveva fatto?

La donna scoppiò a ridere. «Certo, sei il figlio di Lucia Osborne.»

«E tu una strega» dichiarò Gilbert. «Tua madre veniva a casa nostra, facevano magie insieme quando ero piccolo. Ann Putnam, se non vado errato.»

«Sì mi ricordo, venivo con lei qualche volta» confermò Ann. «Però ora mi chiamo Ann Martin» lo corresse alzando la mano per mostrare la fede, per qualche strano motivo il gesto mi ferì. Forse perché a un certo punto, nascosta nella mia intercapedine, avevo confuso la fantasia con la realtà.

«Matrimonio felice il vostro» rise Gilbert tirandomi verso di lui, quasi fossi una bambina da proteggere.

«Come quello di Mary» osservò Phil.

«A proposito di matrimoni, Sua Altezza ci ha commissionato l'abito da sposa, prego» disse Ann con un sorriso parecchio inquietante, facendoci segno di entrare nella stanza accanto. Titubante e un po' spaventata seguii mio fratello e Ann.

Come tutte le donne di Salem, anch'io avevo fantasticato su come sarebbe stato il mio abito da sposa, ovviamente non puntavo a sposare un perfetto estraneo, ma quello che si presentò ai miei occhi, infilato in un manichino situato in un angolo della stanza, sembrava tutto tranne che un abito adatto al mio matrimonio. Il corpetto era terribilmente stretto e fin troppo scollato per la moda attuale (guai se una donna mostrava troppa pelle!), inoltre la stoffa aveva un colore verde acqua che ricordava terribilmente l'abito del ballo in maschera. La gonna era molto più corta davanti che sul retro, mostrando così gran parte delle gambe. Non avevo abiti così corti dal mio decimo compleanno! Ricordo ancora il momento in cui mia nonna e mia madre mi avevano fatto indossare la mia prima gonna lunga e avevano gettato tutto quello che era sconveniente per una donna, anche se ancora non ero una vera donna. In quel momento mi rattristò vedere tanti bei vestiti donati a un'altra famiglia, di alcuni andavo particolarmente fiera, ma con il tempo mi abituai a quel nuovo stile e cominciò a piacermi, specialmente perché assomigliavo a mia madre e lei era sempre stata molto bella.

L'espressione di Gilbert, fermo accanto a me, disse tutto ciò che io non riuscivo ad esprimere a parole e stranamente mi fece sorridere. «Mia sorella non metterà questo...» attaccò indicando l'abito, ma si bloccò con uno strano ghigno schifato, probabilmente non riusciva a trovare le parole per definirlo.

«Lo avete fatto voi?» domandai girandomi verso Ann, la quale scoppiò a ridere.

«Sì e no» rispose un attimo dopo avvicinandosi con passi sinuosi all'abito e toccando la stoffa. Io restai a osservarla come incantata: quando Everard mi aveva parlato di lei mi ero immaginata una ragazza goffa e timida, intimorita dal potere del principe e devota al marito. Invece Ann era seducente e armoniosa, quasi provocante... sembrava un felino! Forse avevano ragione i soldati, le streghe sono gatti pericolosi.

«Vedimi un po' come la tua fata madrina!» disse lei con un ampio sorriso. «Ho mosso la bacchetta e voilà un magnifico abito!»

«Non capisco se il colore dell'abito è una casualità o se lo hai fatto per qualche motivo contorto» borbottai disgustata. Non importava cosa volesse Everard: mi sarei sposata con i miei vecchi stracci piuttosto che mettere quell'orrore.

«Oh sì, colore molto vivace vero?» disse con un sorriso caldo. «Tutti non fanno che parlare della misteriosa fanciulla che ha ballato con il principe, così mi sono detta: perché non mostrare a Sua Altezza che cosa si è perso. In fondo sarà al matrimonio, in prima fila, e ti guarderà dire sì a un altro uomo... morirà dentro piano piano. Sai, Mary, sono stata nella sua mente così tante volte negli ultimi anni che ho perso il conto, ma una cosa l'ho capita: dalla tua partenza lui non ha mai smesso di pensare a te, patetico no?»

Istintivamente mi girai verso mio fratello, il quale mi restituì la stessa espressione. Everard aveva pensato a me per tutti quegli anni? Perché era tornato solo ora? Poi il mio pensiero si spostò su un altro commento di Ann, lei era stata nella mente di Everard, gli aveva letto dentro, conosceva forse ogni lato di lui e questo era disgustoso... è come sviscerare una persona senza fargli sapere che lo stai facendo. Una sensazione orribile.

E questo disgusto mi portò a spostare lo sguardo verso Ann, desiderosa di colpirla con qualcosa o, in alternativa, di farle lo stesso torto che lei aveva fatto a Everard. Sentii la magia scorrere calda nelle mie vene, eppure quando aprii bocca le parole che uscirono furono molto diverse da quelle che pensavo: «Voi usate la magia?» domandai come se non riuscissi a crederci.

Ann rise scuotendo il capo. «Sono una strega, ovvio che uso la magia. Essa è parte di me! Cosa dovrei fare? Fingere di essere una di loro?» domandò con puro sdegno, riferendosi a quelli che comunemente venivano chiamati noi. Era strano ascoltare una diversa campana sentendo lo stesso odio represso. «Perché tu non la usi?» chiese un attimo dopo facendo un passo verso di me. Nei suoi occhi vidi una scintilla nuova e il suo sorriso aveva qualcosa di maligno e coinvolgente allo stesso tempo.

«No, io non uso mai la magia» dissi marcando volutamente la parola mai. In realtà l'avevo usata la sera prima con Everard, ma quello doveva essere un nostro segreto. Pensare a quel momento però mi produsse un strano senso di vuoto allo stomaco, forse per i baci... forse per il desiderio che nutrivo nel poterlo guardare ancora negli occhi. Forse perché sentivo che presto quel ricordo sarebbe sfumato come i baci donati al Phil ragazzino. E mentre la mia mente si perdeva in questi pensieri sempre più malinconici, sentii dentro di me qualcosa farsi largo e la magia diventare sempre più forte. Come se mani invisibili stessero cercando di afferrare i miei pensieri.

Istintivamente alzai gli occhi e li puntai in quelli nocciola di Ann. «Stai cercando di leggermi dentro?» domandai bloccando la sua avanzata maligna. La ragazza scoppiò a ridere come se fosse solo uno stupido scherzo il suo, ma io non ci trovavo nulla di divertente.

«Adesso so che sei ancora capace di usare la tua magia» disse facendomi l'occhiolino. «Come hai fatto a capirlo?» chiese piegando leggermente la testa.

La guardai socchiudendo gli occhi: davvero non lo sapeva o stava solo cercando di punzecchiarmi?

«Non lo fare mai più» dissi semplicemente. Non mi piaceva avere qualcuno nella mente.

«Non ti preoccupare, Mary. Stavo solo cercando di constatare la tua capacità mentale... per essere una strega che non usa la magia hai bloccato il mio incantesimo senza il minimo sforzo e sinceramente non ho idea di come tu abbia fatto! Credo che diventeremo ottime amiche. Se mai riuscirai a perdonarmi di essere stata con il tuo principe» rise spostandosi verso mio fratello e puntando i suoi occhi in quelli azzurri di lui. Gilbert restò a osservarla senza timore.

«Tu come diavolo hai fatto?» domandò Ann questa volta quasi spaventata. Gilbert accennò quel leggero sorriso di chi sa di essere più furbo ed io compresi che aveva cercato di leggere dentro di lui.

Fortunatamente, quando mia nonna mi insegnò a usare questo incantesimo, restai così schifata di sentire mia madre spulciare nella mia mente, come e quando voleva, che cercai in tutti i modi di contrastarla e con mia grande sorpresa ci riuscii. Mi ricordo che quel giorno mamma era entrata nella mia camera, qualche secondo dopo che l'avevo espulsa dalla mia mente, e mi aveva trovata a sorridere soddisfatta mentre facevo dondolare i piedi dal letto. Mi guardò per un lungo momento facendomi temere che non avesse affatto gradito il mio gesto irrispettoso, poi però mi abbracciò. Dato che non avevo ricevuto nessuna punizione per questo mio atto ribelle e che mi dava fastidio sapere che mamma, o altre streghe, avrebbero potuto fare la stessa cosa ai miei fratelli, andai da loro e li convinsi ad imparare una nuova tecnica mentale. Non fu poi così difficile, probabilmente perché nessuno dei due voleva mamma nella mente, soprattutto Gilbert che improvvisamente comprese come faceva a sapere sempre quello che combinava. "Altro che uccellini!" aveva esclamato furioso facendomi ridere.

Ovviamente non avevo idea se quel blocco mentale con i gemelli avrebbe potuto funzionare, certo avevano una piccola percentuale di magia dentro di loro (d'altronde erano nati da una strega), ma la magia vera era una cosa puramente femminile per quanto ne sapevo.

Con mio grande stupore scoprii, grazie all'aiuto di nonna, che quello che avevo fatto non aveva nulla di magico, ma era, appunto, solo una chiusura mentale... il trucco stava nel capire quando la strega voleva entrare e convincersi che non potesse farlo. Sembra stupido, ma funzionò. A quel punto cominciai a credere che la mente fosse più potente della magia o che la magia non fosse imbattibile, non era una superpotenza incontrastabile come credevo. Era più potente solo perché gli umani non sapevano della sua esistenza e di conseguenza non sapevano come difendersi da essa. In pratica era esattamente come per gli elementi: il fuoco sembra indomabile e terrificante finché non scopri che della comunissima acqua può arrestare la sua furia.

Ovviamente Edwin si rivelò uno studente più diligente di Gilbert, il quale perdeva la pazienza ogni due secondi, ma in meno di due settimane entrambi avevano imparato l'arte. Mamma, a quel punto, si trovò un tantino spaesata quando scoprì che non riusciva più a capire cosa stesse combinando Gilbert, così, nel dubbio, tendeva a metterlo in punizione per tutto e niente.

«Stavate cercando qualcosa, Ann Martin?» domandò Gilbert facendomi tornare al presente. «Se desiderate così intensamente scoprire i miei segreti, potreste provare a chiedermeli, magari davanti a un buon bicchiere di vino» aggiunse facendole l'occhiolino.

«È un peccato che tu non possa venire con noi» disse Ann con un sorriso ampio. «La madre di Phil ha ragione: sei terribilmente carino.» Così dicendo, Ann uscì dalla stanza mentre Gilbert la studiava con un'espressione accigliata.

«Non mi piace molto» dissi tornando a guardare il vestito.

«Se ti riferisci al vestito, brucialo» borbottò Gilbert studiandolo. «Se parlavi di Ann, hai ragione. Nemmeno a me piace. Non mi piaceva da ragazzina e non mi piace ora.»

«Non mi va molto di partire con Phil e Ann» borbottai osservando mio fratello. «Né di mettere in mostra le gambe per far ingelosire Everard.»

«Non credo che serva così tanto per farlo ingelosire» rise Gilbert. Poi mi afferrò per le spalle e puntò i suoi occhi nei miei. «Puoi farmi una promessa, Mary?»

«Quale?» domandai pregustando già il sapore delle lacrime che sarebbero scese da lì a poco.

«Promettimi che userai la magia quando o se sarà necessario» disse. «Infischiatene di quello che voleva mamma, se dobbiamo arrivare al patibolo voglio farlo lottando.»

«Lo farò, Gilbert» dissi convinta, tanto ormai avevo già rotto il patto con mamma.

«Sono preoccupato, Mary. Se il re scopre qualcosa prima del tuo arrivo a casa di Lord Nathaniel Bradstreet siamo tutti morti e Everard non potrà fare nulla per aiutarci. Sai che suo padre non è un uomo incline al perdono o ad ascoltare... non mi sorprenderebbe se impiccasse anche Everard con noi solo per dare l'esempio» osservò Gilbert con voce ferma.

«Lo so...» sussurrai prendendo un profondo respiro. «Tieni» dissi tirando fuori dalla giacca la lettera di mamma, ancora non l'avevo mostrata ai miei fratelli, ma quello mi sembrava il momento più giusto. «Questo è il motivo per cui sono morta e anche quello per cui devo andarmene da Salem.»

Gilbert afferrò il foglio e lesse velocemente la lettera di nostra madre. «Sapevo che non era per la libertà o per proteggere noi. Anche perché è più rischioso questo che restare nel muro.»

«Edwin ha detto che mamma ha fatto un incantesimo prima di morire, mentre tu eri con me. Credo che parte dell'incantesimo riguardasse questa lettera... subito dopo averla letta ho sentito il bisogno di lasciare Salem. Credo che fosse il suo piano finale per me, magari lei stava nascondendo la mia esistenza a queste streghe. Ho paura che verranno a cercarvi. Dovete stare attenti, Gil.»

Senza dire nulla mio fratello mi abbracciò stringendomi quasi a soffocarmi. «Lo faremo!» disse allontanandosi da me, ma ormai ero scoppiata a piangere. Avrei tanto voluto portarlo via con me, però Everard riteneva che fosse troppo pericoloso. Al diavolo Everard! Pensai ributtandomi tra le braccia di mio fratello.

«Mary, ti volevo dare un piccolo portafortuna prima che scoppiassi a piangere, ma evidentemente ho un tempismo pessimo» disse Gilbert sorridendo e infilando la mano nella giacca. Era una pietra dai contorni frastagliati di un viola tenue. Mamma la usava per alcuni incantesimi e prima di lei nonna, io non avevo assolutamente idea di cosa servisse, però apprezzai il gesto di Gilbert... quello era un piccolo pezzo di casa, o meglio, della mia famiglia.

«Grazie» dissi infilandolo nella tasca. «Promettimi che un giorno ci rivedremo» ordinai incapace di trattenere le lacrime. Perché era così difficile lasciarlo andare?

«Appena Everard diventerà re e sistemerà le cose verrò a trovarti. Però tu sarai una signora e ti sarei dimenticata dei tuoi umili fratelli panettieri» rispose lui con un sorriso ampio.

«Oh, non credo proprio! Scommetto che vi sentirò litigare fin là!» ribattei asciugandomi le guance mentre Gilbert mi lasciava un piccolo bacio sulla fronte.

«Ho interrotto un momento drammatico?» chiese Phil entrando nella stanza all'improvviso. «Ricordo ancora il nostro addio...» aggiunse osservandomi.

«Quello che piangeva eri tu quella volta» scherzò Gilbert guardando Phil, il quale non fu affatto contento del paragone. Per di più non era nemmeno propriamente vero dato che, come avevo scoperto solo più tardi, quel giorno Phil era scoppiato a piangere, scappando da casa mia di corsa, solo perché quella mattina mio fratello lo aveva minacciato di rompergli il naso se avesse fatto solo un altro commento su Everard. Ovviamente io non ero a conoscenza di questa loro conversazione, così mi ero permessa di fare una battuta a un suo commento sprezzante nei confronti del principe menzionando Gilbert. Ciò nonostante, ero quasi certa che con la frase "il nostro addio" lui non si riferisse a quel giorno, ma a quello della mia morte. Eravamo insieme quella sera...

«Sei cresciuta bene, Mary» disse Phil girandosi verso di me e ignorando mio fratello.

«Giù le mani da mia sorella» borbottò Gilbert squadrandolo malamente. «È praticamente una donna sposata. E anche tu lo sei.»

«Diresti la stessa cosa anche al tuo caro amico principe?» domandò Phil sfottente. «Prima che cominci a gonfiare le piume, Gilbert, stavo solo facendo un commento gentile. Trovo che sia cresciuta bene per essere morta nove anni fa... tutto qui.»

Per un lungo momento restai a fissarlo allibita... no, quello non era il Phil dolce e premuroso che amava i libri. Sembrava un uomo pieno d'odio. Cosa gli era successo?

Stavo per porgergli quella fatidica domanda, quando sentimmo due colpi secchi alla porta. Gilbert mi strinse a sé osservando Phil con furia.

«Aspettavi qualcuno?» domandai tremante. Ci avevano già trovato? Non eravamo ancora partiti? Chi aveva fatto la spia?

Un attimo dopo sentii la porta aprirsi e una voce familiare rivolgere parole sprezzanti a Ann.

«Thomas» disse Gilbert sottovoce mentre Phil apriva la porta e usciva dalla stanza. Istintivamente feci lo stesso e venni immediatamente travolta da un fagottino rosa. La guardai sorridendo: era Lia. Trovai subito il gesto piacevole e, colta da una strana emozione materna, mi trovai a stringerla a me. Everard aveva ragione: era una bambina così buona, praticamente non mi conosceva e si era fiondata su di me per abbracciarmi.

«Siete ancora più bella senza la maschera» commentò Thomas facendomi l'occhiolino. Scossi la testa osservandolo malamente, come faceva a essere sempre così sfrontato?

«E voi siete il solito ragazzino fastidioso» ribattei stizzita. «Cercate di non tirarmi i capelli.»

«Farò del mio meglio, Madam» rise Thomas, fin troppo divertito per i miei gusti, chiudendosi la porta alle spalle.

Buongiorno!

Allora, stiamo arrivando al fatidico giorno delle nozze di Everard, o per meglio dire ci siamo già!

Cosa ne pensate di Ann? È come ve la immaginavate?

Avete qualche strana teoria su quello che sta succedendo?

Vi ringrazio ancora e infinitamente per il tempo che spendete per la mia storia! ❤️

Baci ❣️

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