16. Prima Parte
Charlotte era rimasta a dormire da un'amica, quindi quella notte ero sola. Chiusi a chiave la porta della camera e restai ad osservarla per un lungo momento. Il matrimonio del principe sarebbe stato il giorno seguente, ma Everard ancora non ci aveva scritto... stavo cominciando a temere che si fosse dimenticato del nostro accordo. Forse era troppo impegnato a perdersi nei meravigliosi occhi di Adelaide! Per di più i telegiornali o i giornali non facevano che parlare di quel ricevimento, mostrando immagini del principe con la sua futura principessa: sembravano veramente felici e innamorati. Dicevano che avrebbero passato la luna di miele nel regno di Amesbury, dove un carissimo amico di Everard, un certo Lord Nathaniel Bradstreet avrebbe celebrato il suo matrimonio invitando i due neo coniugi.
Tirai un profondo respiro e mi diressi in bagno, mi stavo sciacquando il viso quando sentii un rumore provenire dalla stanza accanto. Sapevo di aver chiuso a chiave perciò non poteva essere entrato nessuno e questo pensiero non fece che accrescere il mio nervosismo. Con mani tremanti e cuore martellante raggiunsi la porta del bagno e la aprii lentamente, il mio potere cominciò a scorrermi nelle vene come qualcosa di caldo e confortante: "sono qui con te, non avere paura" ecco cosa mi stava sussurrando.
Quando la porta si aprì però rischiai di fare un infarto e quasi scivolai sul tappeto logoro dallo spavento, per fortuna la persona ferma dall'altra parte mi afferrò al volo così, invece di cadere all'indietro, scivolai direttamente sul mio aguzzino e ci ritrovammo entrambi stesi sul pavimento.
«Buonasera» sussurrò lui stringendo la presa sul mio corpo quando scontrai i miei occhi con i suoi di un intenso verde. Improvvisamente sentii le guance surriscaldarsi e una strana sensazione allo stomaco.
«Everard...» sussurrai senza voce. Cosa ci faceva lì? «Come sei entrato?» chiesi invece osservandomi intorno. La porta era ancora chiusa, ma la finestra era leggermente aperta.
«Dov'è Charlotte Osborne?» chiese lui facendomi girare sul pavimento con un gesto secco, ora era lui a stare sopra e mi guardava in modo strano... improvvisamente non riuscivo più a respirare. Everard, notando forse la mia espressione, rise alzandosi di scatto e, afferrata la mia mano, mi aiutò ad alzarmi.
«Grazie» mormorai ancora a disagio sistemando la gonna. Everard mi rivolse un dolce sorriso per poi andare a chiudere gli infissi. «Sei entrato dalla finestra?» domandai divertita, sembrava una cosa tanto adolescenziale.
«Non sarebbe la prima volta» rispose lui distrattamente avvicinarsi al vecchio armadio di legno scuro che fungeva da porta segreta. «Devo pronunciare una parola magica o esiste un tasto nascosto?» domandò con allegria.
«Alla tua destra, sul lato interno dell'armadio» mormorai incerta facendo un passo verso di lui. Everard aprì l'anta e ci infilò dentro la mano.
«Chi ha costruito questo aggeggio?» domandò con il viso rivolto verso l'armadio. Per un attimo restai come incantata ad osservare le sue spalle spaziose e quei capelli neri così familiari. «Trovato!» disse girandosi verso di me soddisfatto. «Non era una domanda così difficile! Mary: chi ha costruito questo passaggio?»
«Mio zio Fulke, il fratello di papà. Da ragazzo aveva trovato il modo di prodursi la birra in casa, ma non voleva che nonno lo scoprisse. Così costruì quella stanza approfittando dell'assenza del padre. Era spesso via per lavoro e nonna era una credulona» spiegai. «Si inventarono una innocente bugia per spiegare il casino ed ecco il risultato... a volte quando guardo quell'armadio mi chiedo se zio non sapesse di me già ai tempi...»
L'espressione di Everard divenne immediatamente fredda e ostile, quasi non riusciva a guardarmi. Infatti tornò ad esaminare l'armadio ancora fermo al suo posto. «Evidentemente serve anche la parola magica.»
«Zio Fulke modificò la porta dopo il mio arrivo, su richiesta di mamma, voleva che si chiudesse automaticamente. Non chiedermi perché, però zio lo fece e questo ha compromesso qualcosa negli ingranaggi. A volte si incastra e devi premere più volte se vuoi aprirla» spiegai avvicinandomi per eseguire quel fastidioso passaggio. «Se la mattina di Natale non si fosse incastrata non ci saremmo mai rivisti.»
Everard sorrise allontanandosi dall'armadio che si stava aprendo ed io feci altrettanto. Improvvisamente mi sentii troppo lontana da lui e avvolta dal terribile spirito di mia madre: perché aveva voluto tutto questo? Forse non mi amava abbastanza? Forse amava la famiglia reale più di me? Ero forse indegna del suo affetto e della sua fiducia?
«Allora sono stato fortunato che si sia inceppata» disse Everard un attimo dopo entrando nella mia camera. «Questo posto è veramente stretto» osservò mentre io mi avvicinavo sorridendo.
«Scommetto che tu dormi ancora in quella enorme camera» dissi alzando un sopracciglio. Everard sorrise buttandosi sul letto.
«Anche questo coso è scomodo e poi mi sembra di stare in una scatola» borbottò.
«Si può sapere cosa ci fai qui? Non dovresti essere a festeggiare la tua ultima notte da scapolo?» domandai incrociando le braccia. Mi sorpresi di me stessa constatando quanto sembrassi rimproverante in quel momento, come se lo stessi accusando di qualcosa... lo stavo facendo?
Everard si alzò sui gomiti per potermi osservare in volto e mi meravigliai nel vederlo sorridere. «Avevo una buona notizia da darti e pensavo di farlo di persona.»
«Buona notizia?» chiesi tristemente, dubitavo che lui potesse darmi veramente buone notizie.
«Se vieni a sederti qui con me ti racconto» disse battendo la mano sul mio letto. «Guarda un po' le tue vecchie coperte! Ora sarà come essere sul terrazzo del palazzo.»
«Everard, non credo sia appropriato» mormorai a disagio. Mi andava terribilmente di stendermi accanto a lui, ma sembrava una situazione così intima.
«Mary» disse alzandosi a sedere e afferrandomi le mani ed io restai quasi scottata da quel contatto. Forse perché le sua pelle era terribilmente calda a differenza della mia. Senza preavviso, Everard mi tirò verso il letto ed io scivolai su di lui per la seconda volta. Il cuore mi si bloccò nel petto e mi trovai a trattenere il respiro. Per fortuna che Everard ebbe la decenza di spostarsi di lato per farmi scivolare al suo fianco, altrimenti sarei morta soffocata. Tuttavia finimmo viso a viso. Occhi ad occhi.
Prima ancora che potessi rendermene conto ci stavamo baciando e nonostante il matrimonio imminente non riuscivo a trovarci nulla di male. Era semplicemente magnifico.
Dopo un attimo Everard si staccò da me sorridendo compiaciuto. «Mi sarebbe piaciuto farlo quando guardavamo le stelle da ragazzini.»
«Quindi Gil ha ragione, avevi una cotta per me?» domandai un po' per provocarlo e un po' per vera curiosità. Everard mi sorrise dolcemente prima di stendersi sulla schiena, mi infilò un braccio attorno al corpo per attirarmi a sé e indicò il soffitto della mia camera.
«Con la magia potresti trasformare quello schifo in un cielo stellato?» domandò sorridendo. Deglutendo mi alzai su un braccio per poterlo guardare meglio... era stranissimo pensare che non avesse paura di quello che ero, anzi, voleva che usassi la magia davanti a lui. «Sarebbe stupendo non credi? Mi piacerebbe annoiarti ancora con tutto il mio sapere.»
«Everard, io non posso usare la magia...» mormorai a disagio.
Lui si girò verso di me come se non capisse. «Non ho paura di quello che sei, vorrei solo vedere di cosa sei capace! Tu mi piaci, Mary, e non devi fingere di essere una noi con me.»
Una lacrima mi percorse il viso: come faceva ad essere sempre così perfetto? Il cuore mi si riempì improvvisamente di una profonda tristezza... il giorno dopo avrei perso qualcosa di potenzialmente magnifico.
«Non posso usare la magia perché ho fatto una promessa a mia madre... non la uso da nove anni» spiegai cadendo con la testa sul cuscino, tornando così ad ammirare il terribile soffitto. Mi sarebbe piaciuto tanto far comparire delle stelle lì sopra.
Everard imitò il mio gesto e per un lungo momento restammo in totale silenzio, ognuno avvolto dai propri pensieri.
«Le streghe possono anche comunicare con la mente?» chiese lui all'improvviso.
Sorpresa e impaurita mi drizzai a sedere. «Come mai questa domanda?»
Everard tirò un profondo respiro e chiuse gli occhi, sembrava così teso e triste che mi trovai a desiderare di poter accarezzare il suo viso solo per alleviare, con la mia magia, quel peso che gli comprimeva il petto. O cancellare quel livido giallo nascosto da un velo di trucco.
«Una donna, durante un'impiccagione pubblica mi ha incantato... io l'ho sentita parlare, Mary, ma tutti sostengono che non siano uscite parole dalla sua bocca» disse strizzando gli occhi, come se stesse cercando di eliminare un terribile ricordo.
Per un attimo restai ad osservarlo confusa e, chissà come, nella mia mente tornarono vivide le parole di mamma. Perché una strega avrebbe dovuto usare una simile magia con lui? Quel tipo di incantesimo ti legge dentro... era come diventare momentaneamente un tutt'uno.
«Sì, possono farlo» dissi distogliendo lo sguardo.
«Davvero?» domandò Everard piacevolmente sorpreso ed io non capii perché tanto entusiasmo, avere qualcuno che controlla la tua mente non è certo piacevole. «E come funziona? Immagino sia complicato! Bisogna essere nella stessa stanza? Bisogna...»
«Non è complicato in realtà» ammisi interrompendolo. «E no, non bisogna essere vicini... basta avere la giusta chiave. Everard, si tratta di controllo mentale! È una cosa orribile!»
«Tu sei capace di usarlo?» chiese lui quasi trepidante.
«Mia nonna mi ha insegnato come fare, ma è un incantesimo delicato e molto invasivo... non mi piace molto. Perché questa domanda?» chiesi a disagio. Avevo la spiacevole sensazione che la sua risposta non mi sarebbe piaciuta, in fondo stava sorridendo in modo strano.
«Lo useresti con me?» domandò afferrandomi una mano e stringendola nella sua, per un attimo i miei occhi restarono catturati dalla scena. «Ci ho pensato tanto negli ultimi giorni, mi piacerebbe che noi usassimo questo incantesimo per comunicare.»
«Perché?» chiesi non capendo lo scopo di una simile richiesta, se non quella di farmi soffrire ancora di più.
«Mi piacerebbe poter sapere che sei al sicuro, non verrò con te...» disse Everard. «Partirai subito prima del mio matrimonio.»
«Partire per dove?» domandai con un nodo alla gola. Non ero sicura di volermene andare, non così su due piedi. Non avevo ancora salutato Charlotte e nemmeno i miei fratelli o papà... non potevo andarmene e basta. Improvvisamente mi sentii terribilmente furiosa nei suoi confronti: non poteva venire qui all'improvviso e dirmi di lasciare la mia famiglia per sempre.
«Amesbury» disse Everard in un sospiro sofferente. Restai paralizzata con gli occhi fuori dalle orbite. Era lo stesso luogo in cui avrebbero passato la loro luna di miele!
«Ho sentito che parteciperete a un matrimonio a Amesbury» dissi confusa. «Se partirò subito prima del tuo sarò già là quando arriverete. Non abbiamo bisogno della magia, Everard, potrai venire a trovarmi... magari non così» precisai indicando la nostra posizione. Però avrei offerto volentieri un tè al futuro re di Salem, che non sarebbe stato più nulla per me a quel punto. O meglio, sarebbe rimasto il mio tutto probabilmente, ma non il mio re.
«Parteciperò a un matrimonio a Amesbury... il tuo, Mary» precisò ricadendo sul letto e coprendosi il viso con il braccio. Come scusa? Questo fu il mio unico pensiero. «Credimi, Mary, ho cercato altre soluzioni, ma Thomas ha ragione. Se la guerra alle streghe uscisse da Salem, come vuole mio padre, saresti più al sicuro accanto a un Lord che a lavorare come cameriera per lui.»
«Non credo di capire...» mormorai confusa, quasi non riuscivo a formare un pensiero coerente. Io non stavo scappando da Salem per essere rinchiusa nella casa di un altro uomo, che per di più non conoscevo. Non stavo lasciando la mia famiglia per legarmi a un uomo che voleva, con ogni probabilità, tenermi solo al sicuro, ma che non mi amava davvero. Non stavo lasciando Everard per un uomo che non avrei mai potuto amare.
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