13
Ero ancora indecisa su quale dolce assaggiare per primo quando qualcuno si piazzò dietro di me e istintivamente drizzai la schiena, pronta a intervenire in caso avesse tentato di afferrarmi. Ovviamente non potevo contrastare in forza fisica le guardie reali, ma potevo lasciare alla mia magia l'onore di salvarmi. Il che, forse, non mi sarebbe dispiaciuto poi tanto: ritrovandomi di nuovo a palazzo mi ero resa conto che la magia mi mancava, in fondo era un'amica e mi ero sempre divertita ad usarla.
«Probabilmente dovreste cominciare dai biscotti, sono molto buoni» disse, un secondo dopo, il misterioso uomo al mio orecchio e i miei nervi si rilassarono. Non era una guardia, ma Everard. Chissà perché stavo sorridendo?!
«Pensavo di provare la torta al cioccolato» risposi senza girarmi, lo sguardo fisso su quel dessert così invitante e calorico. Purtroppo avevo un serio problema con i dolci. «Non mangio il cioccolato da nove anni!»
«Allora dovreste sicuramente prendere quella torta, credo che siano tanti qui dentro stasera ad avere il vostro stesso problema» disse Everard allegramente spostandosi di lato, per un attimo mi persi ad osservalo, incapace di spostare lo sguardo. Quell'abito elegante nero gli stava alla perfezione e lo rendeva talmente bello da togliermi il fiato. Per di più, visto che era senza maschera, riuscivo a vedere perfettamente i suoi occhi e questo, probabilmente, era anche meglio di un abito di sartoria. «Non vorrei che qualcuno vi rubasse un piccolo pezzo di felicità» aggiunse subito dopo con un sorriso caldo che conoscevo molto bene.
«Come avete appena detto voi, Vostra Altezza, quello è solo un pezzo; io potrei avere tutta la torta se volessi. Non credete?» domandai cercando il suoi occhi terribilmente verdi e magnetici. Everard però abbasso lo sguardo sconfortato.
«Non stiamo più parlando di dolci immagino» sussurrò sbattendo le ciglia, poi guardò l'orologio che portava al polso e tornò a sorridere. «Posso mostrarvi una cosa?» chiese porgendomi la mano con un leggero inchino. Sorrisi ricambiando il gesto e Everard mi condusse fuori dalla stanza verso il centro del castello, per poi salire nella direzione del tetto. Stranamente mi resi conto di conoscere quel tragitto, come se l'avessi già percorso diverse volte, tuttavia compresi il perché solo quando Everard aprì una vecchia porta spingendomi all'esterno, dove l'aria era pungente.
Spalancai gli occhi stupefatta: eravamo su un piccolo terrazzino nella parte più alta del castello e la vista era strepitosa, in lontananza si riusciva a vedere il villaggio in cui vivevo da bambina.
«Mi ricordo di questo posto, Everard!» dissi sorridendogli elettrizzata. «Venivamo qui a guardare le stelle!»
«Esatto» rispose lui, improvvisamente più rilassato, come se temesse che me lo fossi dimenticata. Mi sentii terribilmente in colpa perché in parte era così. «Portavi sempre le tue coperte perché dicevi che le nostre pizzicavano!»
«Ed era vero!» precisai ricordando quella terribile sensazione. La prima volta che eravamo venuti lì era il mio dodicesimo compleanno perciò indossavo una giacca pesante, eppure quella coperta risultava comunque fastidiosa.
«Erano di lana, sicuramente tenevano più caldo delle tue» rise lui ed io ebbi l'impressione che non ridesse così di gusto da anni.
«Le mie coperte sono bellissime, le uso ancora» precisai con fare altezzoso. «Fa parecchio freddo nella mia stanza» mormorai subito dopo spegnendo il mio sorriso. Everard ebbe un brivido che spazzò via tutto il suo entusiasmo, poi, con mani tremanti, si tolse la giacca del completo e me la infilò senza che potessi dire una parola, ma, anche se avessi potuto, non avrei detto nulla. Quel gesto mi aveva lasciata completamente senza voce, il mio cervello si era come resettato.
«Mi dispiace, Mary» disse con voce roca sistemandomi la giacca sulle spalle. Per non piangere alzai gli occhi al cielo osservando le stelle. Erano così belle!
«È un sogno che si avvera» dissi tornando a guardare Everard, «sono anni che mi chiedo se le stelle siano ancora luminose come un tempo. E lo sono... loro sono rimaste esattamente dove le avevo lasciate. Non ricordo se te l'ho detto ai tempi, ma mi piaceva ascoltarti mentre elencavi tutte le costellazioni. Sapevi sempre un sacco di cose.»
«E a me piaceva guardarti mentre tenevi il naso all'insù» disse lui con un sorriso incerto. «Eri così carina. Il palazzo è sempre pieno di persone che non sanno apprezzare un cielo stellato.»
«Forse perché tutto quello che possiedono brilla» dissi io sporgendomi oltre il parapetto per guardare il giardino dove mamma organizzava i suoi eventi. Quasi potevo vederla mentre urlava ordini indossando vestiti che, con ogni probabilità, non potevamo permetterci, solo per far colpo sulla famiglia reale.
Everard afferrò il parapetto al lato del mio corpo appoggiando il suo petto alla mia schiena e il suo respiro mi solleticò il collo facendomi venire i brividi. Senza dire nulla alzò il polso mettendo in mostra l'orologio. Istintivamente afferrai il suo braccio e sorridendo gli indicai le lancette.
«Manca meno di un minuto!» esultai girandomi verso di lui e mi sorpresi notando l'espressione con cui mi stava guardando: sembrava come incantato. Poi staccò la piuma della maschera lasciandola cadere a terra e mi accarezzò il viso. Involontariamente abbassai lo sguardo con le guance in fiamme.
«Dieci» disse un attimo dopo facendosi più vicino e svegliando così le farfalle nel mio stomaco. «Nove» sussurrò afferrandomi il viso con la mano libera e il mio cuore sprofondò in un abisso nero. «Otto» continuò appoggiando l'altra mano sul mio fianco. A quel punto il mio cuore batteva così forte che non riuscii a sentire più nulla. Ricordo solo le urla che provenivano dal palazzo e le labbra di Everard sulle mie. Lo stomaco in subbuglio e la mente svuotata da ogni emozione.
Perché non l'ho fatto nove anni fa? Questo era l'unico pensiero concreto che riuscivo a formulare. Tutto era così dannatamente perfetto. O forse lo era perché finalmente mi sentivo viva e felice.
Anche il mio potere, che per anni aveva vissuto nel mio corpo come un essere estraneo, cominciò a scorrere nelle mie vene come qualcosa di estremamente piacevole. Ora non era più un nemico, ma qualcosa di buono.
Everard si staccò da me e alzò, con un gran sorriso, gli occhi al cielo nello stesso momento un boato ruppe quel silenzio quasi irreale. Spaventata tentai di spostarmi da Everard, ma lui appoggiò entrambe le mani sui miei fianchi ed io mi fermai.
«Non aver paura» disse con un sorriso ampio, sembrava felice. Lentamente mi girai verso il punto che mi stava indicando: dal fondo del giardino si accese una luce rossa e partì un lungo fischio, poi il cielo, in un grosso boato, si riempì di stelle colorate. Erano fuochi d'artificio! Meravigliata, mi spostai da Everard, ma intrecciai la mia mano nella sua, quasi temessi che sarebbe scappato lasciandomi lì da sola.
«Sono meravigliosi» mormorai spostando lo sguardo verso di lui mentre il giardino si riempiva di sudditi stupiti quanto me: erano anni che non si esplodevano fuochi a Salem, forse per paura che loro li potessero usare contro di noi. O forse il re odiava tutto ciò che poteva dare felicità.
«Tu sei meravigliosa» disse Everard e non mentiva: ogni parte di lui stava gridando la stessa cosa. Per di più, ora che il mio potere aveva ripreso vita, vedevo chiaramente la sua aura. Era sgargiante e luminosa come i fuochi sopra le nostre teste. Senza esitare Everard mi afferrò di nuovo baciandomi decisamente con più passione, come se aspettasse quel momento da anni ed io mi resi conto che non avevo mai provato nulla di simile. Fu come se le nostre anime si fossero fuse insieme, come se fossero tasselli combinanti dello stesso puzzle.
Come se fossimo destinati a stare insieme.
Non avevo mai creduto al fato prima, ma quando sei una strega riesci a riconoscere le cose magiche e quello lo era. Non magia in senso ampio o abusato, parlo di magia vera, esattamente come quella che scorreva nelle mie vene. Era il bacio del vero amore, quello capace di spezzare ogni sortilegio... sì, doveva essere proprio quello.
Dopo qualche secondo i fuochi si spensero e anche il bacio, ma solo perché una leggera canzoncina aveva spinto Everard a staccarsi da me per infilare la mano nella tasca della sua giacca, che ora indossavo io. In effetti sentivo qualcosa vibrare, ma non ci avevo dato molto peso.
«Cos'è?» domandai incuriosita osservando lo schermo luminoso dell'oggetto rettangolare che stava ancora vibrando nella sua mano. Everard alzò lo sguardo perplesso, poi mi sorrise dolcemente come se trovasse la mia ignoranza buffa.
«È un cellulare. Vuoi dirmi che non ne hai mai visto uno?» chiese con tono canzonatorio.
«Ah ah, molto divertente!» borbottai. «Prendimi pure in giro, ma non tutti a Salem si possono permettere i lussi del palazzo. So che il padre di Alan ha un aggeggio elettronico con cui legge il giornale e papà ha comprato da poco un televisore. È decisamente diverso da quello che avevamo qui a Salem Village, i colori sono fantastici!»
«Questo serve per chiamare, come il telefono fisso che usate a casa vostra... solo che posso portarlo ovunque» spiegò Everard alzando il cellulare che nel frattempo aveva smesso di suonare. «Esistevano già quando eravamo piccoli, però ora possono fare un sacco di cose in più. Ci sono app e posso fare questo» aggiunse avvicinandosi, poi girò l'affare allungando il braccio. Spalancai la bocca incredula quando la mia immagine venne riflessa al suo interno.
«Una specie di specchio» dissi sorridendo. Everard rise e premette il cerchio bianco sullo schermo catturando così la nostra immagine. Noi ci muovevamo, ma lei era immobile. «Fa anche da macchina fotografica? Quella di papà è enorme e difficilissima da usare! Ti è bastato premere un tasto... a volte mi chiedo se non siate voi a fare le vere magie!»
«Non è magia, Mary» rise Everard mentre il telefono riprendeva a suonare. «Devo rispondere. Pronto?» disse con tono seccato portandosi l'apparecchio all'orecchio. Sembrava tutto così assurdo! Come facevano a considerare ancora la magia una minaccia quando potevano usare quei strani apparecchi? Chissà se anche Alan lo possedeva o se Charlotte ne avesse mai usato uno. Davvero un misero foglio di carta poteva creare un simile abisso tra due persone?
Persa in questi pensieri non colsi il soggetto della conversazione, però riconobbi chiaramente la voce di Thomas dall'altra parte della cornetta, un brivido mi percorse il corpo. Everard, quasi sovrappensiero, si avvicinò stringendomi a sé ed io restai senza fiato per il gesto così spontaneo. Sembrava quasi non essersene reso conto.
«Thomas, dammi un attimo e arrivo» disse Everard un secondo dopo chiudendo la conversazione. «Mi aspettano di sotto» aggiunse poi guardandomi, non sembrava però intenzionato a lasciarmi andare.
«Lord Thomas Toothaker» dissi piano. Non sapevo se fosse una buona idea raccontagli cosa mi aveva detto, anche se sentivo di potermi fidare di Everard. In fondo non solo non mi aveva denunciata, ma mi aveva anche baciata sotto le stelle!
«Ho visto che ballavi con lui prima» mormorò Everard contrariato. «Non ha fatto nulla di inappropriato, vero?»
«Non mi ha tirato i capelli, quindi sono contenta» dissi quasi ridendo, Everard però non sembrava del mio stesso avviso. «Però mi ha riconosciuta... e anche Phil» aggiunsi con le gambe tremanti.
Everard mi baciò un'altra volta, come se volesse chiarire che non avrebbe permesso a nessuno di farmi del male, poi mi afferrò il viso con le mani ed io fissai i miei occhi in quelli verdi di lui. «Non preoccuparti di loro.»
Il telefono riprese a squillare interrompendo un altro momento a dir poco romantico. Quegli affari potevano essere molto pratici, ma erano terribilmente di impaccio.
«Rispondi» dissi spostandomi da lui e togliendomi la giacca. Everard sbuffò infastidito e rispose più sgarbatamente di quanto non avesse fatto prima.
«Audry, smettila! Sto arrivando!» disse irritato prima di chiudere di nuovo la conversazione. Consapevole che quel momento era finito, gli riconsegnai la giacca... anche Cenerentola con lo scoccare della mezzanotte aveva dovuto lasciare il suo principe. Everard la infilò senza dire una parola, ma la sua espressione e la sua aura dicevano tutto: era triste.
«Prima che andiate, Vostra Altezza, devo chiedervi un favore...» dissi raccogliendo tutto il coraggio di cui ero fornita e spezzando volutamente quella sorta di legame emotivo per il bacio aveva creato in me. L'espressione di Everard divenne improvvisamente ancora più buia.
«Quindi hai intenzione di chiedermelo veramente?» domandò lui quasi rammaricato. «Credevo che farti rivedere lo splendore di Salem ti avrebbe fatto cambiare idea, ma immagino che ti abbia solo fatto capire cosa ti stai perdendo restando qui.»
«Voglio lasciare Salem» dissi deglutendo. Le lacrime mi rigavano già il viso e questa volta non solo per la mia famiglia. Mi sarebbe mancato anche Everard.
«Ogni vostro desiderio è per me un ordine, Milady» disse annuendo, però non riusciva a guardarmi. «Sei andata via da me una volta, non deve essere difficile farlo di nuovo.»
«Ero una bambina» precisai quasi offesa. «E comunque non è stata una mia scelta lasciare Salem Village, oltretutto ora tu sei un uomo sposato ed io un fantasma.»
«Non mi riferivo alla tua partenza, ma a Phil» mi corresse lui malamente. «Perché Phil Martin?»
«Non lo so, Everard! Mi piaceva...» dissi a disagio non capendo bene come eravamo arrivati a parlare di lui. In realtà sapevo perfettamente perché mi piacesse da ragazzina: Phil mi faceva battere il cuore ed era terribilmente carino, ma non mi sembrava il caso di dirlo a Everard in quel momento.
«Anche tu mi piacevi» disse sconfortato girandosi per raggiungere la porta. Presa da un forte senso di vuoto, che mi comprimeva il petto facendo battere il mio cuore all'impazzata, mi precipitai in avanti e gli afferrai la mano. Everard, chiaramente confuso, si girò a guardarmi.
«Hai detto che ti sarebbe piaciuto vedermi ballare con questo, mi chiedevo se l'invito fosse ancora valido...» sussurrai indicando il mio vestito. Everard sorrise. «So che la mezzanotte è passata e che, quasi certamente, dovrei correre a casa, ma non ho ancora avuto il ballo con il mio principe.»
«Sbaglio, Milady, o avete appena detto: il mio principe?» chiese con tono malizioso.
«Avete capito benissimo!» dissi incrociando le braccia. «Non lo ripeterò per gonfiare il vostro ego.» Everard rise avvicinandosi per baciandomi nuovamente.
Buonasera!
Ecco arrivati al primo bacio! Cosa ne pensate? È stato abbastanza emozionante?
Grazie a tutti per il sostegno che state dando a questa storia e per i vostri bellissimi commenti! Amo con tutto il cuore leggere le vostre impressioni! ❤️
Vi auguro buonanotte e buon fine settimana. Alla prossima, baci 💖
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