12. Prima Parte


Tirai un profondo respiro scendendo dal taxi che ci aveva accompagnati al castello, a mio avviso un'altra inutile spesa. Perché poi ero venuta? Avrei fatto meglio a starmene nascosta... se mi avessero scoperto? Non potevamo rischiare tanto per un'inutile festa!

«Guardami» ordinò Gilbert afferrandomi il viso tra le mani. «Andrà tutto bene, sorellina. Pensa solo a divertirti.»

«Non sono convita...» mormorai, sentivo il mio potere punzecchiarmi sotto pelle e anche lui era parecchio ansioso.

«Vuoi tornare a casa?» chiese Gilbert puntando i suoi occhi azzurri nei miei. La sua voce tradiva una vana speranza. «Non dobbiamo farlo per forza.»

«Sì invece!» intervenne Edwin affiancandoci. «Avete sentito papà: se il principe vuole aiutarla asseconderemo ogni sua stupida richiesta e l'anno prossimo Mary sarà libera oltre i confini di Salem.»

«Come puoi dire così? Mary è la nostra sorellina, non un pacco da spedire oltre le mura! Io non sono d'accordo» protestò Gilbert stringendomi a sé. «Torniamo a casa, Mary.»

«Nemmeno per idea» dichiarò Charlotte afferrandomi per un braccio. «Ci ho messo una vita a farle questa acconciatura e ora resterà qui con me! O forse non ti fidi più del tuo caro amico, Gil?»

«Il problema è proprio il contrario, mi fido e so che la porterà via di qui» mormorò lui spostandosi. Un'aura di tristezza lo avvolse, aveva un colore tendente al blu notte. Chiusi gli occhi per reprimere quella magia che stava cercando di evadere. «Non sono pronto a lasciarti andare, Mary. Sei sempre stata la mia roccia, la mia migliore amica...»

Guardai mio fratello con gli occhi pieni di lacrime: anch'io non ero pronta a lasciarlo andare. Volevo bene anche a papà e a Edwin o a mamma, ma, se dovevo ammetterlo, Gilbert era sempre stato il mio preferito. Forse perché, fin da bambini, ci erano sempre piaciute le stesse cose, o forse perché era l'unico in famiglia che mi aveva sempre mostrato il suo affetto.

«Oh! Che carino, mi è quasi scesa una lacrimuccia. Non ti facevo un tipo così sentimentale, Gil» disse Charlotte con evidente sarcasmo. «Ora però andiamo! Alan mi sta aspettando all'ingresso!» aggiunse facendo un ampio sorriso a qualcuno, ma c'erano troppi uomini per capire chi fosse Alan.

Un attimo dopo ci trovammo all'interno della villa, o per meglio dire nel suo sfarzoso ingresso, dove una donna ben vestita e dall'aria vagamente seccata ci prese i soprabiti e gli inviti, spingendoci poi ad entrare nella sala principale. Restai sbalordita: era tutto esattamente come lo ricordavo, come quella telecamera che stava fissando noi. Un forte senso di panico mi invase.

«Mi riconosceranno» mormorai girandomi verso Gilbert. «Andiamo via!»

«Andrà tutto bene, Mary» mi rassicurò Edwin appoggiandomi una mano sulla spalla. Gilbert lo guardò malamente. «Andiamo a cercare papà» aggiunse in fretta, prima che il gemello potesse dissentire.

«Vuoi andare in giro per il castello senza invito?» domandai ormai nel panico. Non volevo restare sola e non volevo che i mie fratelli si mettessero nei guai.

«Credo di ricordare come si raggiungono le cucine» dichiarò Gilbert facendomi l'occhiolino, poi mi lasciò un bacio sulla fronte e se ne andò con Edwin infilandosi la maschera nera sugli occhi. In realtà dovevo ammettere che con quei vestiti scuri ed eleganti, abbinati all'obbligatoria maschera, stavano proprio bene. Soprattutto Gilbert, il cui nero aveva trasformato i suoi occhi azzurri in puri zaffiri.

Rimasta sola ebbi il tempo di osservarmi attorno. I due grandi lampadari con gocce di cristallo che pendevano dal soffitto erano gli stessi di quando ero piccola, infatti uno di essi era sbeccato esattamente come ricordavo. I pavimenti lucidi di un marmo latteo erano splendenti, quasi rispecchiavano le scarpe degli invitati, mentre le alte pareti di quell'ingresso sfarzoso erano tappezzate di vecchi dipinti di famiglia che mi avevano sempre messo soggezione. Forse perché ogni volta che passavo di lì mi sentivo studiata e analizzata da tutti quegli occhi vividi. Ricordo che un giorno raccontai, in tutta confidenza, a Everard la mia paura nel passare per quella stanza. Lui mi guardò per un secondo, poi, senza dir nulla, afferrò la mia mano e mi portò in quell'enorme e freddo ingresso. Il sole stava calando e la luce illuminava i quadri in modo spettrale, rabbrividendo mi ero avvicinata a lui.

«Non devi aver paura» disse osservandomi. «In realtà se li guardi bene sono molto buffi. Prendi quel tipo là: il suo naso è talmente rotondo che potrebbe essere una patata!»

Ricordo che ero scoppiata a ridere e la mia paura era scomparsa, così da quel giorno avevamo preso l'abitudine di passare di lì solo per poter notare un nuovo dettaglio divertente. Solo per ridere di chi un tempo si era seduto comodamente sul trono di quel regno. E fu proprio questo pensiero che risvegliò in me quell'irrazionale paura. Ancora una volta mi sentii osservata e giudicata per la mia natura, giudicata colpevole da fantasmi di tela e colore.

Fortunatamente Charlotte mi si affiancò prima che potessi cedere al panico che sentivo crescere in me. Ero terrorizzata da chiunque si avvicinasse o da qualsiasi rumore superasse il brusio generale della stanza.

«Andrà tutto bene» mi rassicurò stringendo il mio braccio. Mi girai a guardarla abbozzando un sorriso incerto: indossava un abito blu cobalto con una elaborata maschera che faceva risaltare il tutto, dandole un alone di mistero e sensualità che non mi appartenevano.

«Ci sono le telecamere» mormorai sistemandomi il vestito e la fascia che Charlotte aveva aggiunto per dare un tocco in più al tutto e in effetti aveva ragione. Quell'abito era strepitoso, l'unica pecca era la piuma che mi sembrava un po' troppo esagerata.

«Ti devo ricordare che indossi una maschera?» chiese Charlotte colpendomi a un braccio. «Andrà bene! Divertiamoci... potremmo non vederci più, voglio almeno un ultimo super momento con la mia migliore amica! Voglio mostrarti quanto ci si può divertire fuori dalla tua stanza... e voglio ballare!»

Scoppiai a ridere mentre calde lacrime mi bagnavano il viso. No, non volevo assolutamente abbandonare la mia famiglia, ma non avevo altra scelta. Io ero una di loro e Salem non avrebbe mai potuto essere casa mia.

Improvvisamente il brusio si spense e tutte le ragazze girarono lo sguardo verso la scala su cui si trovava il principe in un splendido completo scuro... mi trovai ad arrossire quando notai che la cravatta era dello stesso colore del mio vestito. Che sciocca, sicuramente la principessa Adelaide aveva un abito di un colore molto simile!

Everard sorrise infilandosi la maschera e poi scese le scale con estrema lentezza, sembrava uno di quei film che avevo visto con Charlotte nelle settimane precedenti. Già, ormai quel televisore era una droga. Tutte le ragazze presenti trattennero il fiato e mi trovai a pensare a quanto sembrassero stupide, finché non mi resi conto che anch'io stavo trattenendo il respiro. E non solo! Lo stomaco era in subbuglio e sentivo il viso andare a fuoco.

«Sta venendo verso di noi» mormorò Charlotte al mio fianco colpendomi alle costole, tuttavia il principe si fermò davanti a un gruppetto di ragazze, a qualche passo da noi. Tra di loro c'era anche Elaine, la rivale in amore di Charlotte che fece una profonda riverenza a Everard prima di buttarsi in avanti.

«Forse non si è presa Alan, ma a quanto pare il principe sì» mormorai con più astio di quanto avrei voluto. Non ero gelosa vero? Nah! Sicuramente non era gelosa.

«A quanto pare qualcuno è insicuro qui!» mormorò Charlotte avvicinandosi. «È tutta una tecnica, Mary! Sta giocando... vuole che sia tu a fare la prima mossa.»

Mi girai a guardarla sconvolta. «Stiamo parlando del principe di Salem! Non posso andare da lui così! Deve essere il principe a parlare con te per primo.»

«Questo è quello che c'è scritto sul protocollo reale, ma voi siete migliori amici» rise lei. «Se ti sta facendo impazzire, allora sta facendo le cose nel modo giusto.»

«Ora basta!» dissi a denti stretti. Non avevo tempo per giocare, dovevo parlare con Everard. E poi vedere Elaine attorcigliarsi il riccio ribelle tre le dita mentre parlava con lui mi stava facendo ribollire dalla rabbia.

«Decisamente sta funzionando» rise Charlotte trattenendomi. «Non vorrai andare da lui veramente?»

«Me lo hai appena detto tu!» protestai confusa. Cosa diavolo stava succedendo?

«No, Mary, io ho detto che questo è il suo gioco» precisò Charlotte. «Si mostra interessato mandandoti un vestito e poi ti ignora, capisci? Vuole vederti pendere dalle sue labbra. Ma noi siamo Osborne e non pendiamo dalle labbra di nessuno! Pensi che Alan esca con me perché mi sono fiondata su di lui la prima volta che mi ha ignorata ad una festa. Ho fatto l'indifferente e mi sono divertita, prima di fine serata è venuto a chiedermi di ballare.»

«Mi sono persa...» ammisi incapace di distogliere lo sguardo dal sorriso di Everard.

«Guarda me!» protestò Charlotte girandomi dalla sua parte. «Non avere fretta di parlare con lui. Devi chiedergli di portarti via da Salem, non di sposarti. Se gli dai troppa importanza finirai solo per scottarti.»

«Quindi...» dissi sperando che Charlotte finisse la frase al posto mio. Con Phil era stato tutto molto semplice e naturale: giocavamo insieme poi abbiamo iniziato a studiare insieme e, come si sa, una cosa tira l'altra. Così siamo finiti per baciarci sotto il portico di casa sua. Nulla di più semplice... con Everard nemmeno chiedergli un favore sembrava semplice.

«Quindi ora andiamo a bere qualcosa» disse Charlotte drizzando la schiena. «Come si arriva al cibo?»

«Quando mamma organizzava queste feste allestiva un banchetto nella stanza poco lontano dalla sala da ballo. Probabilmente sarà ancora così, vieni ti faccio strada!»

«Bravissima!» disse Charlotte. «Guarda il vestito di quella donna là...» sussurrò perdendosi poi in un dettagliato resoconto su quello che proprio non andava. Mi trovai a ridere come non succedeva da anni, in fin dei conti non era stata una pessima idea partecipare a quella serata.

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