Washington D.C. (Part 3)
Non avrebbe dovuto accettare. Non avrebbe proprio dovuto accettare.
Si trovava in un furgone nero lucido, un Ford Transit-350, con un mal di testa che la martellava da ore prima di partire e un forte fastidio allo stomaco.
Ed era certa fosse colpa di colei che era alla guida, una ragazza dai capelli corvini e con un disgustoso amore per le camicie di flanella.
Il laptop che aveva tra le gambe incrociate, aveva deciso di non collaborare per quella mattina, e la sua abuelita l'avrebbe presa a chanclate, se l'avesse sentita imprecare.
Sorrise, pensando alla sua abuelita Milagros ed alla sua enorme casa gialla a La Habana.
<<Carly, cariño, potresti anche concentrarti, che dici?>>
Trattenne un "Puta mierda" a denti stretti, detestando quel soprannome.
Passarono due ore circa, prima che riuscisse a concludere qualcosa: <<Eureka!>> esclamò la cubana, richiamando l'attenzione dell'autista e svegliando la giovane musicista.
Questa, strizzando le palpebre, si mise a sedere, concentrando il proprio sguardo intontito sulle ragazze che aveva di fronte: <<Ci sei riuscita?>>
<<A quanto pare sì, bella durmiente.>> sorrise <<Sembra che la tua donzella da salvare sia a Minneapolis, in Minnesota.>> concluse, senza spostare lo sguardo dallo schermo.
Laya e Cath si guardarono per una manciata di secondi, come a decidere silenziosamente sul da farsi.
Poi, Laya tornò alla guida, senza fiatare.
Dopo mezz'ora, il furgone parcheggiò davanti ad una palazzina di 7 piani.
La più giovane scese: <<Torno subito.>>
"Secondo me una formica potrebbe andare sulla Luna", pensava Laurie, annoiata.
La porta della stanza si spalancò: <<Buongiorno, lesbicona!>> la ragazza legata alla sedia roteò gli occhi: quella donna sembrava non capire.
La sopracitata, allungò alla propria "ospite" un vassoio con un panino e un bicchiere d'acqua. Laurie non disse nulla e, slegata, mangiò in silenzio.
Fu la più grande a rompere tale silenzio: <<Domani sarà il suo compleanno.>> disse, piatta.
La ragazza spalancò gli occhi e, per poco, non si strozzò con l'acqua.
<<Mi dispiace soltanto che sarà il suo ultimo compleanno.>> mormorò ancora, uscendo dalla stanza.
La giovane trattenne il fiato, sentendo l'ansia assalirla, e iniziò a pregare che, ovunque fosse Catherine in quel momento, rimanesse là, per il suo bene.
A circa mille miglia di distanza, la sua amata sentiva lo stomaco contorcersi dall'angoscia.
Vedeva le sue complici ed era loro grata, poi guardava la strada e aveva paura.
Paura di come sarebbe stato rivedere lei.
Paura che qualcosa potesse andare storto e cbe qualcuno si facesse male.
Paura che chiunque avesse fatto ciò, pretendesse anche del denaro, perché, effettivamente, lei non aveva un centesimo con sé.
<<Non fare quella faccia, cariño, presto la rivedrai!>> esclamò Carlota, poggiandole una mano sulla coscia.
Cath fece un mezzo sorriso, ancora pensierosa.
<<Hey,>> iniziò Laya <<Capisco che ti manchi, è normale. E capisco che tu abbia paura, ma stai tranquilla, Cath: presto tornerete insieme.>> affermò e la giovane poté vederla sorridere dallo specchietto retrovisore.
Respirò profondamente: <<Ragazze grazie, davvero. È che pei mi manca. Mi manca vederla, ascoltarla, sentirla vicina. Mi manca svegliarmi con lei la mattina, mi manca tutto di lei. E se penso che qualcuno possa averle fatto del male... Io->> e scoppiò a piangere, disperata.
A Laurie piaceva giocare a dama, ma le piaceva meno, se doveva scontrarsi contro quella donna che vinceva ogni singola volta.
Certa era la stranezza di quella donna, che giocava a dama alle 4 di notte, ma chi era Laurie per giudicare?
Sentiva la vita fuori scorrere normalmente, questo la rassicurava.
Sentiva di non essere scomparsa del tutto dal mondo.
Dopo la dama toccò alle carte. E in quello, come diceva scocciata Cath ogni volta, era imbattibile.
Passò un'ora e mezza, e Laurie si stava quasi divertendo, quando sentì un rumore strano provenire dal piano di sotto.
La donna si alzò di scatto e fece segno alla ragazza di non muoversi, mentre andava a controllare.
Cath avrebbe volentieri picchiato le sue amiche, in quel momento.
Una volta arrivate al posto in questione, l'autista e l'hacker si erano messe a discutere su cosa fare prima e la cosa si era accesa da subito.
<<Ti dico che se facciamo come dici te, genio del male, finisce che siamo nella merda!>> tuonava la corvina.
<<E io ti ripeto che, se facciamo come dici te, puta mierda, saltiamo in aria come palomitas de maíz!>> puntava i piedi l'altra, gesticolando.
Cath non sapeva cosa fare: le servivano entrambe perché il piano funzionasse e, anche volendo, non poteva schierarsi con nessuna delle due, perché appoggiava ambedue i procedimenti.
Inspirò ed espirò un paio di volte: <<Ragazze.>> disse con estrema calma, tanta da spaventare le altre due, che si acquietarono. <<Facciamo così: per prima cosa, voi mi farete da diversivo: entrate e fate casino, mi interessa minimamente come. Secondo, io prendo il laptop di Carlota ed entro dentro per vedere dove il segnale è più forte. Finché non vi do il segnale, voi tenetemi tutte le persone che scendono impegnate, nel mentre che io piazzo la bomba e riprendo Laurie. Intesi?>>
Le due si scambiarono uno sguardo d'intesa: <<E se il rapitore non scendesse a controllare? Se restasse in camera?>> chiese Laya.
Cath sorrise: <<Oh, sono pronta per quello.>>
<<Ma... Ma signorine, io non so proprio come aiutarvi!>> lamentava il ragazzo alla reception. Non riusciva a vedere bene chi lui avesse davanti da dov'era, così continuò a scendere le scale.
<<Harold.>> sibilò, per evidenziare la propria presenza. Il giovane la guardò spaventato: <<Signora Langford, io->>
<<Lascia stare, Harold.>> passò alle due ragazze che aveva davanti.
<<Qualche problema?>>
Le due si guardarono sudando freddo.
Sentivano la paura rizzare loro i capelli sulla nuca.
<Vede, ecco... Noi...>>
<<E così voi vorreste poter usufruire della doppia che avreste prenotato, ma tale prenotazione non risulta?>>
Le due annuirono energicamente.
<<E che altro abbiamo di libero, Harold?>>
Il ragazzo si allargò il papillon: <<Solo una matrimoniale, signora Langford.>>
Tornò a guardarle, torva: <<Non vi può andar bene?>>
Ebbero un'interessante conversazione fatta di sguardi: "Dobbiamo risponderle" diceva una.
"Se accettiamo, la cosa si chiude qua" puntualizzò l'altra.
"Non ho mai detto che dovevamo accettare, tonta"
Si fulminarono con gli sguardi a vicenda.
<<Allora?>> la donna sollevò una delle sopracciglia sottili, impaziente.
Carlota prese parola: <<Beh, noi...>>
Il laptop non prendeva benissimo, però di una cosa era certa: lei era in quel piano.
Scorse tutte le porte, andando a sentimento. Bussò ad una a caso, quella che le sembrava la più giusta, ma da dentro due voci femminili le garantirono che si era sbagliata.
Sbagliò altre cinque volte, prima di bussare senza ricevere risposta immediata.
Entrò sfondando la porta, facendosi sinceramente male alla spalla destra.
E la vide.
La vide lì, seduta, con il viso stanco.
La vide e pensò che fosse bellissima.
Le corse incontro, stringendola forte a sé, piangendo dalla felicità.
Continuava a ripetere parole dolci, sorrideva come un'ebete.
Laurie, dal canto suo, le prese il viso e la baciò.
Forse furono la lunga lontananza, forse fu la gioia di rivedersi, ma quello fu, per loro, come un primo bacio.
Misero a contatto le proprie fronti, sorridendo.
Si erano appena alzate entrambe, quando qualcuno chiuse la porta.
Cath sentiva lo stomaco stringersi dall'ansia, guardando la propria zia materna, poggiata alla parete, che le guardava sogghignando.
<<Zia Myléne.>>
<<Catherine.>>
La tensione era palpabile; l'unica cosa a cui Cath riusciva a pensare, era uscire da lì con Laurie, sane e salve.
<<Oh no, Catherine, non ci pensare nemmeno, puttanella.>> prese una sedia e si accomodò a gambe accavallate <<Voi due rimarrete qua fino alla fine dei vostri giorni.>> si accese una sigaretta.
Rimasero in un silenzio teso per un tempo indefinito, con il rumore della strada adiacente come sottofondo.
<<Ah, le tue amichette di sotto, come si chiamavano?>> parlò la più grande, improvvisamente.
Cath trasalì: <<Che hai fatto anche a loro?>> iniziò ad agitarsi.
Laurie le strinse la mano.
<<Oh, nulla. Credo solo che ora staranno al loro posto.>> e terminò la sigaretta, con nonchalance.
Le due ragazze, intrappolate in ascensore, avevano rapidamente ripreso a litigare.
<<Ti avevo detto che era meglio usare le scale!>> urlava la corvina.
<<Oh, ¡claro! Tu hai sempre ragione, non è così?>> sbraitava l'altra.
La prima diede un calcio alle porte dell'ascensore.
Passarono alcuni minuti di silenzio tombale. L'ispanica sbuffò: <<Oye, dobbiamo uscire subito da qua. Non mi va di lavorare con te, ma no hay altra scelta.>>
L'altra non rispose.
<<Scusa, ma mi stai evitando?>>
L'altra mantenne il suo religioso silenzio.
L'ispanica sentì la rabbia scuoterla da dentro: <<Oh no, tía, non si tiene il muso a Carlota Maria Verónica Gutiérrez Dos Santos!>>
La prese per le spalle e la voltò: era in lacrime. <<Laya?>>
Questa la abbracciò.
Rimasero abbracciate per un po', poi la corvina si staccò, squadrò Carlota e rise.
<<Perché ridi?>> chiese indispettita.
<<Ti ho bagnata tutta.>> disse Laya tra le risate.
A Carlota piaceva la sua risata, ma avrebbe preferito esplodere che dirglielo: <<Beh, che dire, a quanto pare è questo il tuo modo di ringraziare quest'anima compassionevole?>> sentì le guance arrossire. Iniziò a ridere anche lei.
Le risa cessarono, il silenzio aumentò l'imbarazzo.
Laya le si avvicinò senza proferir parola. <<Qué... ¿Qué haces?>> Carlota deglutì. Laya era a un passo da lei, che era ormai spiaccicata alla parete di metallo dell'ascensore.
Si guardarono intensamente, quasi stessero stabilendo un contatto telepatico.
Poi la più bassa tirò la corvina a sé e si baciarono con molta passione.
Carlota posò una mano sulla nuca di Laya, mentre questa aveva le mani impegnate a fare movimenti lenti sulle sue gambe e la sua schiena.
L'altra mano di della più piccola era poggiata sul fianco dell'altra.
Nessuna delle due sembrava ricordarsi o interessarsi della missione.
Nel far vagare le mani sul corpo dell'altra, Laya sentì qualcosa di solido nella tasca retro dei suoi pantaloni: <<Carls.>> disse, tra un bacio e l'altro. L'altra non la voleva ascoltare. <<Carlota.>> la sua voce roca e secca non sembrarono interrompere Carlota, che ormai aveva perso la testa nel baciarle il collo. Laya si trovò costretta a staccarsi: <<Carlota! Credo di sapere come uscire da qua.>>
La castana sembrava delusa, ma stette a sentire.
<<Che cos'hai nella tasca retro dei jeans?>> chiese la corvina.
Carlota si diede uno schiaffo sulla fronte: <<¡Dios mío! Gli esplosivi d'emergenza!>>
Ci avevano messo un po', ma erano riuscite a capire come piazzare l'esplosivo per uscire ma non morire.
<<Al tre?>> chiese la corvina, incatenando gli occhi verdi a quelli cioccolato dell'altra.
<<Al tre.>> rispose questa, con un cenno del capo.
<<Uno.>>
<<Due.>> si scambiarono uno sguardo d'intesa.
<<Tre!>>
Cath si sentì inutile e inerme, di fronte alla situazione e le venne da piangere.
Ma il rumore di un'esplosione rovinò il momento triste.
In pochi attimi, due ragazze buttarono giù la porta della stanza dove si trovavano con un ariete e putarono le pistole contro la zia Myléne.
<<Siamo ancora qua, cabrona!>> esclamò Carlota contenta.
Laya roteò gli occhi verdi, sorridendo.
Le due sedute sul letto, dal canto loro, si alzarono velocemente, correndo verso l'uscita.
<<Non così presto!>> esclamò la più anziana, estraendo anch'essa una pistola, cogliendo di sorpresa tutte e quattro le giovani.
La puntò contro le due fuggitive e sparò.
Aveva udito tre spari, poi il buio.
Si risvegliò nel lettino di un ospedale, con accanto una ragazza dai capelli corti e castani.
<<Sono in paradiso, vero?>> sorrise a fatica. La ragazza le accarezzò una guancia.
<<Speraci.>> ricambiò il sorriso.
<<Come stanno Carlota e Laya?>>
Rise un po': <<Meglio di te, sicuramente. Sono di là.>>
Si scambiarono uno sguardo intenso, poi Laurie le posò un bacio dolce sulle labbra, sorridendo.
Stava uscendo, quando si sentì prendere la mano.
Si voltò: <<Cosa mi sono fatta?>> le chiese
<<Beh, il proiettile che hai preso per me, ti ha preso il braccio. Ti hanno operata d'urgenza, ma sembra che sia andata a buon fine. Ti dimettono tra una settimana.>> e sorrise ancora, prima di darle un bacio sulla fronte e avvicinarsi alla porta.
<<Laurie?>> si sentì chiamare.
Si voltò: <<Dimmi.>>
<<Un giorno di questi andiamo dai tuoi genitori. Meritano di sapere.>>
<<Ci andremo.>> vide l'altra addormentarsi subito, stanca.
Sorrise, uscendo dalla porta della stanza.
Era tutto finito.
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