Copenhagen - The End (act II)
Trovarsi nuovamente in bagno non era certamente nei suoi piani del pomeriggio, ma ormai Bernadette si era arresa a quel tipo di sorpresa.
Sbuffò sonoramente, incrociando le braccia al petto: ― Perché non mi lasci andare, Charlotte? ― le domandò per la terza volta in due minuti. La sposa cacciò un mezzo urlo di frustrazione: ― Non posso lasciarti andare, Bernie! Ti devo parlare. ― rispose lei, per la conseguente terza volta in due minuti. Al ché, la ragazza più bassa aggrottò le sopracciglia, in segno di confusione: ― E allora perché non mi stai dicendo nulla?! ― si passò le mani sul volto. ― Charlotte, io non ho nulla da dirti, se non che mi devi lasciare in pace. Cosa devi dirmi tu? ― tentò di incalzarla lei, sfinita da quell'incubo perpetuo. La sposa prese un gran respiro: ― Ti volevo spiegare come sono andate veramente le cose, Bernie. ― ammise. Si morse un labbro e continuò: ― Il problema è che non so da dove iniziare. Ci sono così tante cose che ti vorrei dire. ― disse, stringendosi nelle spalle.
Bernadette avrebbe voluto diventare violenta.
Però prese un paio di respiri profondi e decise di rimanere pacifica: ― Va bene, allora. ― si arrese, appoggiandosi alla parete fredda del bagno. ― Spiega. ― ordinò, in un tentativo un po' barbino di apparire fredda e distaccata. Dentro di lei, però, l'irrefrenabile curiosità che supplicava Charlotte di dirle tutto, senza tralasciare una virgola.
Così Charlotte incominciò: ― Io ho dovuto lasciarti, Bernie. ― la ragazza in questione aveva deciso di trattenersi dall'intervenire perché troppo curiosa. ― Le cose non andavano bene e lo sai anche tu. Litigavamo tanto e per cose futili e quando non litigavamo era perché non ci riuscivamo a incrociare per via degli impegni di lavoro. ― si allontanò verso la finestra che dava sul retro.
― Penso che il momento peggiore sia stato prima del Natale di sei anni fa. Tu eri partita per non ricordo quale stage e saresti tornata per l'ultimo dell'anno. Ed è stato in quel periodo che ho incontrato Paul. ― al sentire queste parole, Bernadette sentì il sangue gelarle nelle vene.
Guardò Charlotte dritta negli occhi come non faceva da tempo e la ragazza si affrettò a negare: ― Eravamo solo amici, anzi! Lo siamo stati fino a tre anni fa. Non ti ho tradita, Bernadette, se è ciò a cui pensando. ― distolse nuovamente lo sguardo, dirigendolo verso l'esterno. ― Il punto è che sapevo di starti facendo del male. L'ho sempre fatto, prima e dopo che ci siamo messe insieme. ― sorrise amaramente ― Ne parlavo con Paul e lui mi aveva consigliato di parlartene, ma proprio non ci riuscivo. Anzi, la cosa più buffa è che per un po' le acque si erano calmate, ricordi? Riuscivamo a vederci di più e quando passavamo il tempo insieme stavamo bene. Pensavo che fosse tutto a posto. ― si fermò per un attimo e Bernadette la vide strizzare gli occhi. ― Poi è morto mio padre, Bernie. E non so, ho voluto riavvicinarmi a mia madre, per via del lutto. ― Bernadette spalancò gli occhi stupita e Charlotte sospirò: ― Non te l'ho detto perché non me la sentivo. ― l'altra ragazza rimase in silenzio.
― Riavvicinandomi a mia madre, non riuscivo però a sfondare un muro, quello che si era creato dopo la morte di nonna Esther. Quindi, presa dalla disperazione - perché mi mancava, Bernie - le ho detto che ci eravamo lasciate. ― il silenzio che si creò subito dopo quelle parole, produsse un'eco assordante nelle orecchie di Bernadette, che trattenne il fiato. ― Le dissi che― s'interruppe per un singhiozzo, aveva iniziato a piangere ― avevo commesso un errore e che non ero mai stata innamorata di te. ― Bernadette esalò un respiro profondo, qualcosa che sembrava lo svuotamento dei suoi polmoni. Non aveva parole, non riusciva a formulare nulla di senso compiuto, perciò lasciò che Charlotte continuasse il suo monologo.
L'altra ragazza, nel mentre, stava ormai piangendo incontrollabilmente: ― E capisci che quando mi hai chiesto di sposarti, quel giorno, quello che ho detto era per prendere tempo, Bernie. ― prese un respiro spezzato dal pianto ― Non dovevo affatto pensarci. Sapevo già che, se veramente avessi voluto mantenere il rapporto già fragile con mia madre, ti avrei dovuto lasciare sul serio, Bernie. ― fu in quel momento, che Bernadette si accorse di star piangendo. Le lacrime scorrevano da sole lungo le guance e gli occhi le bruciavano anche da prima. Si chiese per quanto ancora sarebbe riuscita a sopportare quello strazio.
Charlotte non le diede il tempo di darsi una risposta: ― Paul mi è rimasto vicino, mentre cercavo di capire come lasciarti. Non si è mai imposto, semplicemente mi ascoltava e per me, questo, valeva più di mille consigli. ― disse, con un mezzo sorriso sognante che fece mancare l'aria a Bernadette. Charlotte s'incupì di nuovo: ― Ma proprio non riuscivo a capire come lasciarti, Bernie. Perciò... ― lasciò cadere la frase, sapendo che la sua ex ragazza sarebbe riuscita a completarla da sola.
Bernadette sentì le proprie ginocchia farsi molli e le braccia scenderle lungo il corpo come esauste. Si sentì svuotare e rimanere come un guscio vuoto, completamente esterrefatta.
Charlotte la guardò negli occhi, finalmente, come se si stesse aspettando una qualche reazione da parte sua. Eppure, Bernadette, non sapeva come reagire: in fondo, aveva finalmente avuto la risposta che per anni aveva finto di non volere. Si sentiva stranamente in pace, guardando quella che ora le sembrava una sconosciuta.
Poi, una rabbia viscerale le risalì il corpo, scostando in malo modo la pace di aver avuto delle risposte. I ricordi di quei giorni passati a piangere e chiedersi dove avesse sbagliato; il tempo che aveva impiegato a superare i propri sentimenti e a guarire da quella ferita che non si voleva chiudere. Tutto tornò a galla con più potenza di un tifone e Bernadette guardò fulminante Charlotte: ― Quindi... Cosa vuoi che ti dica, Charlotte? ― le domandò, stringendo i muscoli dell'addome per trattenersi dal farle una scenata. La sposa la guardò interdetta: ― Che intendi? ― Bernadette chiuse le mani in pugni stretti: ― Mi hai raccontato tutto questo a quale scopo? Perché mi hai invitata qui? Perché non mi hai cercata prima? ― non sapeva come fermare tutte quelle domande e nemmeno voleva farlo.
Charlotte si asciugò le lacrime da una guancia: ― Bernie... ― la sua voce era un soffio, ma Bernadette sentiva tutto tranne che pena nei suoi confronti: ― Hai detto di volermi spiegare come sono andate le cose. Benissimo, ora rispondi alle mie domande. ― Charlotte sembrò rabbrividire al tono freddo dell'ex. Deglutì a vuoto: ― Volevo che tu sapessi la verità, Bernie. Meritavi di sapere. ― disse con cautela, per poi distogliere lo sguardo.
La giovane invitata si sentì ancora più presa in giro: ― E allora perché? Perché non meritavo di saperlo prima? Perché siamo dovute arrivare fino a qui, Charlotte? ― il suo tono celava un po' male la supplica che le stava rivolgendo, ma proprio non riusciva a capire. E Charlotte sembrava sempre più restia nel rispondere: ― Non lo so, Bernie, non lo so. ― negava con il capo, mentre Bernadette si avvicinava con sguardo accusatorio.
― Perché hai detto quelle cose a tua madre, Charlotte? Perché non ne hai potuto parlare con me? ― continuava ad additarla, con il solo scopo di farla finalmente cedere.
Quando si ritrovò a meno di mezzo metro da lei, Charlotte era di nuovo scoppiata a piangere. Nascondeva il viso nelle mani, tutta balbettante di "non lo so" che facevano solo infuriare sempre di più Bernadette, che infine esplose: ― Meritavo di sapere, ma non meritavo anche rispetto? Dicevi di amarmi, ma quanto ti è stato facile abbandonarmi per una famiglia che ci ha messo meno di un minuto a chiuderti le porte in faccia? ― Quelle parole taglienti ebbero un inquietante riverbero nel bagno e, con la schiena appoggiata alla parete gelida, Charlotte non riusciva a smettere di singhiozzare. Bernadette avrebbe voluto aggiungere un'infinità di cose, ma il una ventata di contegno e buonsenso la mise a tacere. Fu sentendo i singhiozzi e lamenti di Charlotte che, finalmente, il suo cuore trovò pace. Si disse che, date le circostanze, non aveva senso insistere e fece per andarsene.
Aprì la porta e, se fosse stata leggermente più sorda, non avrebbe sentito Charlotte chiederle scusa. Il tonfo della porta le fece sperare di esserselo immaginato.
Non vedo l'ora di tornare a casa, pensò Bernadette, uscendo dal bagno per la seconda volta.
Qualcuno la intercettò, prima che potesse riuscire nel suo intento: ― Sei qui. ― disse aspramente la giovane donna.
Bernadette non vedeva Kira da quel famoso scontro a Tolosa e quasi aveva fatto fatica a riconoscerla: ― Anche tu sei qui, che coincidenza. ― aveva cercato di liquidarla, ma la cugina della sua ex non la lasciò andare facilmente. ― Non hai proprio dignià, vero? ― Bernadette, che era rimasta più infastidita che altro, si sentì punta sul vivo: ― Scusami? ― le domandò, inarcando un sopracciglio. Kira si passò una mano nei capelli biondi: ― Te ne vai in giro a testa alta dopo aver rovinato la nostra famiglia, assieme a Leanne. ― alla ragazza castana parve assurdo tanto odio famigliare ― Ma non sei nemmeno capace di riconoscenza quando ti viene mostrata tolleranza. ― sentenziò a denti stretti, con uno sguardo carico d'astio e Bernadette si ritrovò leggermente destabilizzata dalla cosa: ― Ancora non ho idea di cosa tu stia parlando, ma vedo che l'omofobia internalizzata dà sempre frutti acidi. ― Kira spalancò la bocca, visibilmente sconvolta dalle parole di Bernadette che, stanca, sperava di potersela levare di torno. Ma la cugina della sposa non avrebbe ceduto tanto facilmente. Infatti, scoppiò in una risata di scherno: ― Non lo sai? Se sei qui è solo grazie a quella buon'anima di Paul! ― Bernadette trattenne il fiato e Kira la guardò tronfia: ― Proprio così! E' stato lui a spingere mia cugina a cercare di risolvere le cose con te. ― Alzò gli occhi al cielo ― Anche perché, lo sai, Charlotte non è proprio tipo da confronto. ―
Bernadette avrebbe tanto voluto diventare violenta, ma le parole acide di Kira l'avevano completamente scioccata, lasciandola ferma sul posto. Quando la bionda se ne fu andata, trionfante come avesse vinto le Olimpiadi, Bernadette esalò un sospiro esausto: che famiglia di squilibrati, pensò sconvolta, rientrando nella sala del ricevimento.
― Cosa ti ha detto?! ― esclamò Elaine, basita nel sentire il lungo racconto di un pomeriggio a quel matrimonio. Bernadette era ancora troppo frastornata per dire granché, perciò fece spallucce. Leanne, alla guida, sospirò amaramente: ― Mi dispiace tanto, Bernie. ― si scusò sommessamente, e la ragazza sorrise: ― Non è colpa tua, Leanne. ― la rassicurò, genuinamente grata della sua comprensione. La più grande, però, non ne pareva convinta. La vide storcere le labbra dallo specchietto retrovisore: ― Forse. Ma se avessi portato Charlie via con me, quando sono scappata in Canada, forse... ― un altro sospiro lasciò le sue labbra, dopo che aveva lasciato la frase a metà. Elaine le prese una mano e posò dei leggeri baci sulle nocche. Bernadette le trovava così tenere che iniziò a sentirsi leggermente in imbarazzo.
― Non penso nemmeno che fosse legale, Leanne. Ma, davvero, non ti devi preoccupare. ―
Concentrò la sua attenzione sul mondo al di là del finestrino. Aveva evitato di pensarci, ma, trovandosi nuovamente a Copenhagen, sarebbero probabilmente passate davanti al suo vecchio appartamento. Anche se l'aveva venduto anni prima... ― Fermati qui, Leanne. ― disse autoritaria. Le due coniugi la guardarono come se fosse impazzita. Lei guardò Elaine, che si era voltata e la guardava preoccupata: ― Per favore. ― disse solamente. Le due giornaliste parvero capire, dal tono delle sue parole, che fosse meglio darle retta.
Scese dall'auto di fronte ad un supermercato. Guardò lo schermo del cellulare: erano quasi le cinque del pomeriggio e una passeggiata non l'avrebbe certo uccisa.
Si era soffermata ad ogni singola vetrina, come se in realtà fosse uscita per fare compere; non aveva una meta precisa e sicuramente non sarebbe passata davanti alla sua vecchia abitazione. Eppure, qualcosa le diceva che fosse proprio ciò che doveva fare e lei ascoltava ciecamente il proprio istinto. Si soffermò per leggere il menù di un cafè vicino al centro. Ci era andata qualche volta, negli anni in cui aveva vissuto nella capitale danese e da poco pareva avessero cambiato il menù. Decise di entrare per prendersi un caffè.
― Posso aiutarti? ― domandò una voce soave. Bernadette seguì la voce con lo sguardo, finché i suoi occhi castani non si posarono sulla figura alta della barista. La donna la guardava sorridente. Lei deglutì a vuoto: ― Vorrei un caffè, grazie! ― balbettò, colpita dalla bellezza di quella donna. Si accomodò ad un tavolino con una sola sedia e si perse nel guardare il via vai della gente.
La barista posò la tazzina di caffè con cautela e la guardò gentile: ― Giornata lunga? ― le chiese e Bernadette riuscì solo ad annuire. La donna annuì di rimando e alcune ciocche dei suoi capelli mossi rimbalzarono nel movimento. Le chiese se volesse altro e la giovane negò col capo. La donna sorrise sorniona, poi tornò dietro al bancone.
Il tramonto scendeva come il tendone di un teatro sul centro di Copenhagen, tingendo il cielo di colori caldi. In quel momento, le arrivò un numero indefinito di messaggi da parte di Chantal, che tentava di scusarsi in tutti i modi per la discussione nel bagno. Bernadette aveva sorriso e aveva messo via il cellulare, con l'intenzione di richiamare l'amica il giorno dopo per parlarne meglio.
L'orologio del cafè segnava le sette e dieci e si domandò se avesse senso cenare anche se non sentiva granché fame. Scosse il capo e tornò a fissare le strade della città con sguardo nostalgico. La barista la risvegliò dai propri pensieri: ― Prendi qualcosa per la cena? ― Bernadette sobbalzò nel sentire ancora la sua voce. La guardò negli occhi, imbarazzata e si trovò a scuotere il capo. La donna la osservò attentamente e la giovane si sentì lo stomaco in subbuglio. ― Io stacco entro una ventina di minuti, mi fai compagnia dopo? ― le domandò, cogliendola di sorpresa. Bernadette annuì, più guidata dal corpo che dalla propria mente basita.
Avevano così trascorso la sera a chiacchierare per le strade di Copenhagen. Avevano percorso tutto il centro spaziando di discorso in discorso, come se si fossero conosciute prima di quello stesso pomeriggio. Quando l'aria si raggelò e le spalle di Bernadette avevano preso a tremolare, quest'ultima lo prese come un segno per rientrare in hotel. La barista, che si era presentata come Michelle, aveva insistito per accompagnarla e ora si trovavano nella hall dell'albergo.
― Grazie mille per la compagnia. ― le disse, con una punta di malizia che Bernadette era stupita di cogliere. Le sorrise di rimando: ― Grazie a te per avermi riaccompagnata qui. ― strinse le labbra, sentendosi leggermente in imbarazzo.
Michelle si passò una mano nei lunghi capelli mossi e poi puntò gli occhi chiari in quelli di Bernadette: ― Torni a Cambridge domani? ― l'altra non ne era sicura, ma le sembrò di cogliere della delusione nella sua domanda. Il suo sguardo cadde sul pavimento: ― Dovrei, per lavoro. ― era vero solo a metà, considerando che una parte di lei desiderava scappare da quella città piena di ricordi soffocanti. Ma non riteneva opportuno dirlo a Michelle, che la guardava intensamente.
Sospirò: ― Penso di poter rimanere ancora qualche giorno... ― ammise, ammettendo anche a sé stessa quanto volesse conoscere quella ragazza.
Gli occhi di Michelle s'illuminarono: ― Non te ne pentirai. ― le disse, ad un soffio dal viso. Bernadette si sentì mancare.
Si salutarono a breve, con un abbraccio e un certo ammiccamento da parte di Michelle, che Bernadette guardò andare via con il cuore a mille.
Rientrata in camera, si fiondò sul il letto, ancora completamente vestita. La verità era che non voleva credere che quella giornata fosse reale e aveva paura di cosa sarebbe successo di lì in poi. Poi, la stanchezza fisica e quella mentale finalmente la colsero in pieno e collassò in un sonno profondo e tranquillo, uno di quelli nei quali faceva fatica a cadere da anni.
NdA: BUON POMERIGGIO!!! (again) Ultimo ndA di questa storia e ultimo per il mio periodo su Wattpad. Incredibile ma vero, questa raccolta - nata nel 2018 - trova la sua conclusione nel 2024, con un finale aperto. Tutto è bene quel che finisce bene e così saluto questa raccolta per me storica. MA, anche perché queste storie sono state parte di me per anni, ha senso per me che un finale vero e proprio si rispecchi in un finale aperto. Perché la vita è piena di sorprese, belle e brutte e va bene cosi.
Grazie <3
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