Biblioteca Lockdown
Nicolò era nella merda.
Aprì gli occhi lentamente, soppesando l'idea di fingere di aver perso la memoria dopo un grave incidente - quale quello di essersi iscritto alla facoltà di Psicologia - pur di evitare l'imminente esame. Ma volente o nolente, l'esame lo doveva dare, proprio il giorno successivo.
Sospirò pesantemente, spegnendo la sesta sveglia di quella mattinata. Si tirò su a sedere sul suo letto a una piazza e mezzo, nella stanzetta singola del campus universitario: gli ci vollero almeno dieci minuti buoni per abituarsi alla luce bianca del mattino nuvoloso. Assottigliò lo sguardo e si concentrò sul panorama offertogli dalla finestra alla sua destra: con somma amarezza, constatò che stava piovendo. Tirò un altro sospiro, alzandosi lentamente per dirigersi al bagno.
Alle nove e quarantadue, ovvero circa un'ora dopo il suo risveglio, Nicolò era riuscito ad alzarsi, lavarsi, vestirsi e fare rapidamente colazione senza quasi rendersene conto. Guardò fuori dalla finestra speranzoso, ma niente: il diluvio universale aveva deciso di imperversare proprio sulla sua città, proprio sul suo campus. Chiuse svogliatamente la cerniera della sua borsa di pelle, prese il tapperware con il pranzo ed uscì dalla sua stanza, non veramente pronto all'apocalisse imminente.
Se avesse potuto scegliere di fare qualunque cosa quel martedì mattina, Giacomo era sicuro di poter elencare almeno trentaquattro cose, tra cui darsi fuoco, prima di uscire di casa per andare a studiare in biblioteca.
Aveva supplicato Ines, la sera prima, di non proporre di vedersi per studiare sul gruppo, ma quella sadica della sua amica proprio non aveva voluto sentir ragioni: "Non fare il drammatico" aveva detto "Anche se lo vedi, non ti esploderà mica il fegato!"
Sbuffò: certo, non gli sarebbe scoppiato il fegato, ma una tachicardia non gliel'avrebbe tolta nessuno, appena avrebbe visto Nicolò. Si batté una mano sulla fronte, chiedendosi come fosse finito in quella situazione assurda, frustrato dalla propria esistenza e dal destino beffardo - ovvero la sua amica Ines.
Come parlando del diavolo, mentre usciva di casa, sentì il telefono vibrare nella tasca: "Pronto?"
Ines rise dall'altro capo del telefono: "Buongiorno, principessa! Ci degna della sua presenza?"
Giacomo alzò gli occhi al cielo, scendendo le scale del condominio: "Non sai quanto vorrei dirti di no." Sorrise, soddisfatto della sua risposta. La sua amica rise di nuovo: "Muoviti, Altezza! Io, Dafne e Nico ti stiamo aspettando!" e chiuse la chiamata, lasciando il ragazzo con una lamentela a mezz'aria.
Se c'era una cosa di cui Nicolò andava fiero, era il suo gruppo di amici: li aveva conosciuti, uno ad uno, in situazioni diverse tra loro e, a distanza di due anni, era contento di poter dire di avere degli amici. Durante la pausa pranzo - pausa che rigorosamente durava almeno due ore e mezza - il ragazzo dalla chioma bionda era riuscito a dimenticarsi del maltempo. E tutto grazie a quei tre mentecatti come lui. Mentecatti a cui lui teneva più che alla sua famiglia.
"Nico? Oh, ci sei?" la voce calda di Dafne lo risvegliò. Lui scosse il capo: "Eh? Scusate, che stavate dicendo?" guardò confuso gli altri e tutti e quattro scoppiarono a ridere.
Dafne gli sorrise: "No, stavamo parlando del fatto che se Jack domani passa l'esame di meccanica quantistica, gli offriamo tutti il pranzo, ci stai?" Nicolò spostò lo sguardo in direzione del ragazzo in questione, che sedeva di fronte a lui. Si soffermò con gli occhi sul suo viso calmo e i suoi occhi cerulei. Sentì il fiato mancargli ma annuì: "Sì, sì, se lo merita!" esclamò, senza staccargli gli occhi di dosso.
Qualvolta Nicolò posasse il suo sguardo sul suo amico Giacomo, non mancava mai di rimanere colpito dalla sua bellezza. E ne era sicuro, il ragazzo era oggettivamente bello, con i suoi occhi cerulei, i ricci castani e il fisico da giocatore di basket semi-professionista. Ma quello che Nicolò vedeva in lui, andava ben oltre questo: il suo sorriso quando vinceva a qualunque gioco, la sua cura delle sue piantine domestiche e la sua passione per il campo fisico-astronomico che gli brillava negli occhi quando ne parlava ininterrottamente. Queste, alcune di quelle cose che facevano dimenticare a Nicolò le pagine di psicologia clinica.
Ines gli diede una gomitata: "E poi, sono sicura che a te non dispiacerebbe mica, eh Nico?"
Il ragazzo maledisse la propria omosessualità: "Eh?" disse, sentendosi un completo idiota.
La ragazza alla sua sinistra ridacchiò malefica, scuotendo il capo e i ricci neri: "Mi fai spaccare, Nico! Comunque parlavamo del tempo che c'è oggi, guarda!" fece cenno con il capo verso la grande vetrata che dava sul campo da basket esterno. Fuori, un alluvione biblico scuoteva pericolosamente le chiome degli alberi. "E, dicevamo " sottolineò abbassando la voce "che se ci dovessero far evacuare, per andare più veloce, Jack potrebbe portarti in braccio e a te dispiacerebbe no?" Nico sorrise imbarazzato, il cuore che accelerava il battito al solo immaginare la scena. Poi rispose fulmineo: "Interessante, da parte tua, presumere che sia io quello più lento dei due." commentò, alzando un sopracciglio in direzione di Giacomo.
Trascorse altre due ore, dove i quattro ragazzi avevano tentato tenacemente di studiare, Ines propose un'altra pausa. "Vado in bagno, allora!" esclamò Dafne, sfilando la matita che teneva raccolti i suoi capelli rossi. Ines chiuse soddisfatta il quaderno che aveva davanti: "Ti seguo!" e le due si allontanarono rapide, verso i bagni di quel piano.
Giacomo, stremato, alzò le braccia per stiracchiarsi. Era rimasto solo con Nico, nell'enorme sala al terzo piano della biblioteca del campus. Le sedie blu e gialle evidenziate dalla luce neon cominciavano a bruciargli le retine.
Guardò di sfuggita il ragazzo di fronte a lui e si massaggiò le tempie ad occhi chiusi: all'inizio, solo Ines sapeva della sua cotta per Nico. Poi, qualche mese dopo, lo sapeva anche Dafne. E non ci sarebbe stato alcun problema, se le due non avessero preso l'abitudine di stuzzicarlo davanti al ragazzo. Erano amici, questo contava. Anche avesse voluto dirgli dei suoi sentimenti, rimaneva il fatto che sicuramente avrebbe complicato il tutto, men che meno se il suddetto ragazzo lo avesse rifiutato. Amicizia e gruppo rovinati.
Scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli: dirglielo era certamente fuori questione, ma la situazione stava diventando ingestibile: ogni volta che lo vedeva, il suo cuore ballava la macarena con le farfalle nel suo stomaco e improvvisamente la sua lingua si paralizzava.
Lo vide passare le dita tra le ciocche bionde con fare pensieroso e corrucciare le sopracciglia folte a qualcosa che stava leggendo sul cellulare.
Il suono della sua voce riempì l'intera sala: "Oh oh" aveva detto, prima che fosse interrotto dal ritorno delle loro amiche: "Raga, non potete capire!" diceva a gran voce Ines, mentre Dafne le faceva eco, allucinata: "L'apocalisse!"
"E quindi... Siamo bloccati qui per quanto?" chiese piano Giacomo, attirando l'attenzione del gruppo. "Eh, finché il diluvio universale non passa." rispose prontamente Ines.
Nicolò voleva scomparire: "Che palle!" si fece sfuggire, frustrato. Già era stanco, non aveva voglia di studiare e nemmeno di vedere la faccia stupenda del suo amico, figurarsi restare bloccato nel campus con lui. Poi si guardò intorno: "Cioè, ovviamente sono contento di stare con voi, però, ecco..." Dafne gli posò una mano sulla spalla destra: "Sì, non ti preoccupare, avevamo capito. Anzi, " fece una pausa per sospirare "hai ragione, che palle!"
L'altoparlante del campus confermò la cosa in via ufficiale: Nico sarebbe rimasto con Giacomo fino alla sua morte, probabilmente.
Fuori, intanto, il panico: il campo da basket era ormai una piscinetta di pioggia e fango, le macchine galleggiavano nel parcheggio e tutti gli studenti in campus per la sessione estiva stavano dando di matto per tutti gli inconvenienti causati dal maltempo.
Come unica consolazione, le prove d'esame erano state sospese per i due giorni successivi, pertanto Nicolò e gli altri avevano preso a giocare a Uno, seduti in cerchio per terra, nella camera di Dafne e Ines.
Al termine della terza partita di fila, Giacomo chiese un time-out per andare a chiamare a casa dei suoi, per avvertirli dell'improvviso pigiama party. Nico si stiracchiò e il ridacchiare di Ines lo fece voltare con sguardo curioso: "Che c'è" Dafne si unì al risolino: "No niente, è che Giacomo non può certo dormire da noi, questa camera già è stretta per due!" Nicolò pensava di aver sentito male e guardo Ines confuso: "Però," aggiunse questa, " penso che possa tranquillamente fermarsi da te, no?"
Il ragazzo si sentì svuotato: "Oh.", fu l'unica cosa che riuscì a dire. Aveva evitato di pensarci, ma se Giacomo fosse seriamente rimasto a dormire lì, era scontato che avrebbe dormito in camera con lui. Spalancò gli occhi castani, alla realizzazione del suo più grande incubo.
Il ragazzo in questione rientrò in camera, chiudendo la telefonata allo stesso momento: "Non potete capire il macello in città. I miei a malapena riescono a tornare a casa da lavoro!" poi alzò lo sguardo: "Che c'è?" chiese, sentendosi improvvisamente di troppo. Ines e Dafne si scambiarono un'occhiata: "Vi va obbligo o verità?"
"Abbiate pietà di me!" si lamentò tragicamente Dafne. Nel gioco di obbligo o verità, Nicolò e, inconsapevolmente, Giacomo, cercavano di vendicarsi contro le loro amiche, colpevoli di innumerevoli scherzetti e battutine ambigue. Anche Ines si era pentita della proposta: quello che era partito come pretesto per stuzzicare i due amici, era diventato una tortura per lei e l'altra ragazza. "Ok! Tocca a me!" fece quest'ultima. Girò la bottiglia, che, finalmente, si fermò a indicare Giacomo.
"Obbligo o verità?" chiese languida l'amica. Il ragazzo avvertì una strana sensazione allo stomaco, mentre pronunciava la sua scelta: "Obbligo." disse. Non l'avesse mai fatto; Dafne sentenziò: "Ti obbligo a chiuderti, per dieci minuti, nel ripostiglio delle scope, con una persona tra noi tre. A te la scelta!" concluse, facendogli l'occhiolino.
Giacomo, in quel momento, aveva solo voglia di gridare: se avesse scelto una delle due ragazze, che avrebbe pensato Nico? Nico non lo poteva certo scegliere, come avrebbe fatto a sopravvivere? "Che gioco stupido." mormorò, prima di indicare Dafne stessa: "Tu." disse deciso, senza mai guardare in direzione dell'altro ragazzo. Era troppo spaventato da come avrebbe potuto reagire a questa sua scelta.
Nicolò, dal canto suo, si sentì mancare: perché? Perché Dafne? Aveva una cotta per lei? Come aveva fatto a non accorgersene? E se le ragazze, con il loro stuzzicarlo l'avessero illuso a tal punto da non fargli vedere una cosa tanto ovvia? Ma la ragazza non si alzava: "Ehm, no, grazie. Ho già la ragazza!" dichiarò con tono piatto. Nico vide Giacomo voltarsi quindi verso Ines, ma questa gli diede un secondo due di picche: "Assolutamente no! Sei come un fratello per me!"
Solo allora, il ragazzo parve accorgersi della presenza di Nicolò. Gli venne da piangere per l'umiliazione, mentre si alzava e seguiva Giacomo fuori dalla stanza, a testa bassa. Le loro amiche li seguirono a ruota.
"Le regole sono semplici, " diceva solenne Ines "restate chiusi qui finché non veniamo noi ad aprire, chiaro?" Giacomo sentiva la gola secca come il deserto: "E che dovremmo fare, nel frattempo?" Nicolò si stringeva nelle spalle, in piedi accanto a lui, nel ripostiglio non così piccolo. Sentiva le mani sudate solo a guardarlo: era tutto così sbagliato, Nico era sicuramente a disagio e lui sarebbe morto dalla vergogna. Non ricordava nemmeno quando le cose si fossero complicate tanto.
Al quarto scatto della chiave, sentì l'amico sospirare, mentre si accucciava ai piedi di una scaffalatura di metallo. Si accucciò a sua volta, con la schiena appoggiata alla porta chiusa.
Passarono attimi interminabili carichi di silenzio - le loro amiche avevano insistito nel confiscargli i cellulari - e Giacomo sapeva di star impazzendo. Guardò Nico, che si stringeva le gambe al petto e respirava piano, in modo irregolare. Lo guardò meglio, tese l'orecchio e si accorse che stava singhiozzando. Aprì bocca con incertezza: "Nico, tutto ok?" chiese, senza però avvicinarsi. Quello, gli rispose con un pollice in su.
Giacomo si innervosì ancor di più: "Ma ti ho fatto qualcosa?" e si sentì stupido, appena le parole gli scivolarono di bocca. Nico alzò il capo: "No. Sono io che non sono Dafne. Scusa." disse acidamente, il tono graffiante della voce che colpì come uno schiaffo in pieno viso l'altro ragazzo. Non poteva credere alle proprie orecchie: "Cosa?"
Nico nascose nuovamente la testa tra le braccia: "Ti ho chiesto scusa, basta?" non riusciva a non sembrare acido, ma pensò che tanto valeva mandare tutto all'aria, in quei minuti rimanenti. Si sentiva uno stupido, un beota illuso ed era così frustrante che non riusciva nemmeno a guardare il suo amico negli occhi. Lo sentì avvicinarsi, e il suo cuore intraprese una maratona. "Che c'è?" fece con voce roca. Alzò gli occhi sul volto ormai vicinissimo di Giacomo: "Se ti ho fatto qualcosa dimmelo. Voglio assolutamente risolvere." disse lui, con un tono talmente determinato, che un brivido percosse la schiena di Nicolò.
Era interdetto: non poteva comportarsi così, non era giusto nei suoi confronti!
"Cosa c'entra Dafne?" chiese ancora calmo, senza dargli tempo di ribattere alle sue precedenti parole. Nico respirò forte: "Ti piace, non è vero?"
Giacomo pensò di star vivendo un incubo: "Eh? Che c'entra Dafne?" vide Nico scuotere il capo, quindi si affrettò ad aggiungere: "No, cioè, no. A me non piace lei." disse, il più decisamente che poté. Si rifiutava di credere veramente a quello che stava accadendo: veramente si sarebbe dichiarato?
Nel frattempo, due ragazze se la ridevano soddisfatte del loro piano malefico. Dafne passò la bottiglia di Coca Zero ad Ines: "Oh, finalmente ce l'abbiamo fatta, eh?" la compagna di stanza sorrise e negò con la testa: "Non cantare vittoria troppo presto, Daffi. Finché non li vedo insieme, non ci credo. E poi, " bevve un sorso dalla bottiglia "non penso abbiano capito la tua allusione di prima, Nesi." concluse, stampandole un bacio sulle labbra. La ragazza dai capelli rossi sorrise: "Vabbè, onestamente non mi aspettavo granché. Se non capiscono i propri sentimenti, figurati quelli degli altri." e le accarezzò una guancia.
Ines bevve ancora la Coca: "Ma quando li liberiamo, quei due?" Dafne parve pensarci su, battendosi l'indice sul mento: "Boh!" esclamò, facendo ridere la sua ragazza.
"E allora chi ti piace? Ines?" chiese Nico, pentendosene subito dopo. Giacomo sbuffò: "No! Ines è una mia amica, ti pare?!" contestò, alzando la voce. Non capiva questa strana reazione da parte di Nico. Adesso, in quel ripostiglio 3x4, i due erano seduti l'uno di fronte all'altro, che discutevano animatamente tra sguardi carichi di domande e dubbi. Nico rispose a tono: "E allora perché cazzo non mi hai scelto e basta?!" esclamò, tutto d'un fiato. Rifletté solo poi, su ciò che aveva appena detto, proprio vedendo le guance di Giacomo assumere una tinta rosea.
"No, cioè, non che m'interessi..." si affrettò a spiegare Nicolò, muovendo le mani in gesti rapidi. Ma Giacomo aveva già dimenticato l'imbarazzo, e ora lo guardava sornione: "Non è che sei geloso?"
La sola idea lo mandava nell'iperspazio. Se Nico fosse stato geloso, magari poteva significare che forse, Nico ricambiava i suoi sentimenti. Lo guardò e notò come stesse cercando di evitare il suo sguardo. Si sentiva sciogliere al pensiero. "Non è che, per caso, avresti voluto che ti scegliessi subito?" lo stuzzicò. Lo vide arrossire in modo fiammante e una risatina gli sfuggì dalle labbra. Nico, quindi, alzò gli occhi castani, intrecciandoli coi suoi: "E anche se fosse?" puntellò, con sguardo di sfida. Giacomo serrò la mascella. Se avesse dovuto essere sincero, avrebbe subito ammesso che sì, avrebbe voluto sceglierlo subito e sì, cazzo, aveva le ginocchia molli al solo pensiero che Nico potesse ricambiare i suoi sentimenti. Ma non poteva. Non finché non sarebbe stato assolutamente sicuro dei sentimenti del suo amico. Quindi, avvicinandosi a quest'ultimo, assottigliò lo sguardo e sussurrò: "Se avessi voluto, sarebbe bastato chiedermelo." aspettandosi che l'altro ragazzo abbassasse nuovamente lo sguardo.
Nico, invece, fece un'altra cosa: si avvicinò di più al viso dell'amico, a una distanza di massimo venti centimetri. Poi, sussurrò anche lui: "E ora che sei qui con me, perché cazzo non fai qualcosa?"
Giacomo voleva veramente alzarsi, uscire dal ripostiglio, e gettarsi dal terrazzo più alto del campus. Sentì caldo improvvisamente, e il suo sguardo prese a vagare, dagli occhi, alle guance leggermente arrossate, alle labbra rosate, alla mascella serrata e al collo pallido di Nico. Aveva caldo, tanto. La mano di Nico sulla sua spalla gli fece riportare lo sguardo a incastrarsi nel suo. E poi, quegli scarsi venti centimetri che li separavano divennero diciotto, quattordici, dieci, sei, due...
"Allora?" chiese la fresca voce di Ines, mentre Dafne spalancava la porta.
I due ragazzi, come criminali colti in flagrate, si allontanarono di scatto, l'uno dall'altro. Le due ragazze si guardarono negli occhi, esclamando un "No!" all'unisono, con tono deluso.
Ma Giacomo non si sarebbe fatto scappare un'occasione servitagli sul piatto d'argento. Prima si stavano per baciare, no? Bene, se non fosse avvenuto nel ripostiglio, sarebbe avvenuto da qualche altra parte. Afferrò il polso di Nicolò e lo trascinò verso il piano superiore, l'ultimo piano, quello con la terrazza che dava sui giardini del campus. Certo, con la tempesta che imperversava all'esterno e scuoteva le chiome degli alberi, e la pioggia che mista fango che ormai aveva allagato il vialetto sul retro, non era un granché come vista. Ma Giacomo se lo sarebbe fatto andare bene. Si voltò verso Nico, aveva il fiatone, ma onestamente a lui piaceva quasi di più così.
La sua stretta sul polso divenne una leggera stretta alla sua mano: "Ehm, dov'eravamo rimasti?"
Nico sorrise e scosse il capo: "Sei un idiota." Poi lo tirò verso di sé e gli stampò un bacio sulla bocca.
Nelle orecchie, tuonavano i fischi del vento del temporale all'esterno. Decisero di ignorarlo, per concentrarsi su qualcosa di molto più irruento.
Il mattino dopo, un sole timido svegliava due ragazzi nello stesso letto a una piazza e mezza.
Un ragazzo un po' più alto dell'altro, si alzava di soppiatto e silenziosamente scendeva al primo piano e andava al bar del campus. Tornò su, in camera, con la colazione che l'altro ragazzo meritava da tempo e lo svegliò con una carezza, che piano piano afferrava le coperte e lo scopriva del tutto, all'improvviso.
Quel ragazzo, un certo Giacomo, scappava un mercoledì mattina da un certo Nicolò, detto Nico, per tutto il dormitorio maschile del campus, con un sorriso innamorato stampato sulle labbra.
Giacomo era nella merda.
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