Capitolo 8.1

Eroe


Sfiorai la sua fronte con le labbra, poi gli presi il viso con entrambe le mani, e riempii il contorno della sua bocca di brevi baci, delicati come fiordalisi.

Lui rise spensierato tra un contatto e l'altro, e il suo buonumore contagiò anche me, capendo che si sentiva meglio.

«Non sono così fragile, sai», bisbigliò, arrivando al mio orecchio. «Puoi baciarmi come si deve.»

«Ah, posso?» lo provocai.

Ero sopra un frammento di stella, un angolo di cielo, un enigma della galassia, caduto in un prato, ma tutto quello che riuscivo a vedere adesso era soltanto un ragazzo che mi voleva.

«Sì», rispose, e mi passò un braccio sulla schiena, tenendomi al suo torace bagnato con fermezza. «Se non lo fai tu, lo faccio io.»

La sua serietà...

Non ce l'avrei fatta a far passare un secondo di più, mi avrebbe capovolta e divorata con quella sua magnifica bocca.

«Shht», lo zittii.

E abbandonai ogni remora.

Mi chinai per donare il mio respiro a lui, che non aveva bisogno di respirare, e mai lo avrebbe avuto, e mi sentii persa e ritrovata, morta e rinata, completamente stravolta per quello che avevamo vissuto insieme.

Zeno era instancabile, come se fosse il primo giorno che baciava o l'ultimo in cui avrebbe potuto baciare, si muoveva in me con un'enfasi tale, che mi mandò fuori orbita con lui.

I singhiozzi del padre di Emma si placarono, e udii che si stava mettendo a sedere sull'erba.

Mi sentii osservata e per quanto fossi presa da quel bacio "come si deve", poco dopo, mi ritrassi dal corpo di Zeno, seducente come non mai sotto il mio.

Il ragazzo si rialzò sulle ginocchia. Era selvaggiamente fradicio, sporco di terra, con gli abiti in maldestro disordine, e chiazze ancora rosse sulla sua pelle, ma quella scintilla di desio nel suo sguardo non si era spenta.

Andò dall'uomo, e gli tese la mano, in un gesto di solidarietà che Alfredo accolse senza temporeggiare. Lo aiutò ad alzarsi, poco a poco, e gli diede una pacca sulla spalla, come a voler intendere che il peggio era passato.

«Grazie», ripetè più volte il padre di Emma. «Ti sei tuffato per me, ragazzo, meriti tutto il meglio che c'è in questo mondo.»

Mi avvicinai pure io, con cautela, e l'uomo mi sorprese con un abbraccio talmente sentito, e vincolante, che rischiai di scoppiare a piangere come una bambina.

«Mia figlia è fortunata», confessò, trasmettendomi tutta la gratitudine che aveva per me. «Sei molto più di un'amica per lei, sei una salvatrice.»

Sei una salvatrice.

Realizzai che erano le parole che avrei sempre voluto sentire, fin da piccola. Essere di aiuto per qualcuno, fare la differenza al punto da cambiare in meglio il corso del destino di una persona.

Un altro mio desiderio si era avverato, uno importantissimo, che metteva in discussione tutte le false credenze che avevo avuto di me, e ridava un nuovo senso alla mia vita.

Emma avrebbe potuto sentire ancora il calore delle braccia paterne, come lo sentivo io, e questa certezza valeva ogni timore di non essere abbastanza e ogni sforzo per cambiare.

Fare del bene era per me un'esperienza trasformativa e appagante, in cui risiedeva una felicità vera, totale, insostituibile.

Sei una salvatrice.

«La prego, scelga sempre la vita, d'ora in poi», dissi, con trasporto. «Anche quando la morte sembra ipnotica come l'Arno questa notte, volti le spalle e resista. Per me e Zeno, per Emma, e per chiunque meriti ancora il suo affetto.»

                                                                  ✴

Lanterne Kongming al cielo. Fuochi protetti in bambù e carta di riso. Ere di sogni, a cui si presenta sempre uno stesso bivio: provare, o lasciare andare.

Fermammo un taxi per riaccompagnarlo alla stazione, e anche se lo lasciammo tornare tra i senzatetto di Firenze, mi sentii relativamente tranquilla.

Avevo intuito che vedere quanto si erano prodigati due ragazzi qualsiasi per lui lo aveva scosso, tanto da fare in modo che non fosse stato invano.

Almeno, per ora.

Ci aveva salutati chiamandoci eroi, ma quello che non sapeva, era che senza la magia nulla sarebbe stato possibile. Saiph aveva inviato sulla Terra un emissario incredibile, che ora stava di fronte alla porta di casa mia, come una tentazione a cui non volevo dire di no.

Entrai in sala, e silenziosa, recuperai i soldi per pagare il tassista, con i pensieri sempre rivolti a lui, dopodiché mi decisi.

«Non voglio darti la buonanotte qui», sussurrai a Zeno, intrecciando le dita alle sue.

«E dove, allora?» domandò.

«Vieni su da me.»

Il ragazzo mi guardò con un sorrisetto furbo, potevo quasi leggere i pensieri che stava facendo. Nessuno di quelli era casto.

«Sappi che io non ho bisogno di dormire», disse, baciando il dorso della mia mano. «Le stelle cadute sono sempre sveglie

Mi sollevò tra le sue braccia, e mi portò in aria fino al mio balcone, dove toccammo il pavimento.

Entrò in camera dopo di me, e io richiusi la finestra, come a sigillare quella mia offerta, a renderla definitiva.

«Lì c'è il bagno», indicai, cercando di frenare la pulsione che avevo di saltargli addosso. «Togliti i vestiti e mettiti l'accappatoio.»

Zeno rise, più a suo agio di quanto non fossi io. Sembrava intrigato da me.

«Dunque vuoi che mi spogli.»

«I tuoi abiti sono zuppi di acqua», mi giustificai, arrossendo. «Sporcherai tutto se non li levi.»

«Ai tuoi ordini», disse, con un accenno di lussuria negli occhi verde-azzurri.

Tornò da me fasciato solo da un accappatoio nero, che gli stava un po' stretto; era legato in vita da una cintura, ma la stoffa non copriva ogni lembo di pelle. Il suo torace nudo era ben visibile, le sue braccia erano per metà scoperte, e a sorpresa, furono proprio quelle ad attrarre a lungo la mia attenzione. Su una delle due, la k del disegno nero era indistinguibile, tanto era allungata. Diramazioni e linee arcuate solcavano la sua pelle, sia sopra che sotto, facendo assomigliare avambraccio e bicipite a un quadro astratto.

«Il tuo tatuaggio», osservai, tirandogli ancora più su la manica, ammirata. «Mi piace molto, sai?»

Zeno si lasciò toccare, senza fare niente, ma quando rialzai lo sguardo su di lui, notai che la sua espressione era diversa rispetto a prima.

«A me no.»

«Cosa?» chiesi, stupita. «Perché?»

«È indelebile e irreversibile.»

«Non... non lo hai scelto tu?» domandai, insicura, quasi mi stessi avventurando in territori paludosi.

«No. C'è e basta», rispose, piatto, con una punta di fastidio. «Mi ricorda chi sono.»

«Un eroe», aggiunsi, di getto.

«Già, il tuo.»

Le bolle rosse sulla sua pelle erano scomparse, non restava alcun segno del suo malessere per essersi buttato nel fiume. Volevo chiedergli se aveva idea di che cosa gli fosse successo, sospettavo una reazione di qualche tipo, magari chimica, ma la sua bocca era già scesa sul mio collo, a stuzzicarmi la zona della clavicola, e al diavolo tutto!

Ci adagiammo sul letto, studiandoci da vicino, e lui lo decorò in pochi istanti di granelli di polvere dorata, qua e là. Sembravano le coperte di un re e di una regina, da quanto sfavillavano.

«Non mi dai la buonanotte, ora?» chiese, sistemandosi sul cuscino accanto a me.

«Buonanotte, Zeno», soffiai.

«Grazie», disse, sorridendomi beato. «È la prima volta che dormo con un'umana.»

«Dovresti dirmi "anche a te".»

«Anche a te.»

«Sembrava forzato, così.»

«Lo era», confermò. «Io lo avrei detto in un altro modo.»

«Ah sì?» lo esortai. «E quale?»

I suoi occhi brillarono, nuclei di stelle incastonate sotto ciglia bionde.

Si protese su di me, e mi mostrò il suo.

Questa parte è più lunga delle altre, vi ho fatto attendere qualche giorno in più rispetto al solito, perchè non sapevo in quale punto del capitolo tagliare. Spero che vi piaccia l'interazione tra Ester e Zeno! Fatemi sapere con stelline e commenti. A presto!

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