Capitolo 39.2_4

E noi, scossi in un sisma dalla propagazione melodica, ci preparavamo a finire, insieme, bocca su bocca.

Un illogico, musicale, sciame di sussulti.

Vi era bellezza nel suo fiato spezzato, nel mio cercarlo dove non avevo mai potuto, fin sotto ai lavori di tessuto che ammorbidivano le spalle nude, le unghie a valicare tra i suoi solchi, per sentirlo sibilare e mordermi le labbra, poi riprenderle per intero con delicatezza, ancora e ancora, nella fine.

Al mio tatto, avevo estratti di fantasie realizzate e di ignoto, di uomo e di atmosfere invivibili, di congiunzioni astrali che portavano al delirio.

Era lui la leggenda, lo era sempre stato, anche dandomi quella Viola del Pensiero per guardarmi dentro, forse perché non esisteva in natura un fiore che ne custodisse la sua, e io lo bramavo.

Le sensazioni per la libertà che mi stavo prendendo, di essere dove non avrei dovuto, dove non avrei più potuto, erano sediziose.

Lo invadevo fin dove riuscivo, ne conquistavo centimetri di delineata nudità, che avevo visto solo quella volta in camera sua al residence, mentre i miei capezzoli continuavano a strusciare sui suoi vestiti a ogni suo diverso modo di divorarmi.

Il bacio si trasformò in Tarkh, parole scindibili in un rogo di note e sussurri, che richiamò la sua parte più emotiva, e una nuova notte accelerò il suo transito.

«Come potremmo» tradusse, riagganciando le mie mani viaggianti nelle sue, e fermandole in un incaglio di sguardi. «Amarci.»

I sottintesi nei suoi occhi resero la mia spina dorsale un interminabile brivido, che saliva e riscendeva, la parola amare da lui aveva un timbro che faceva rapire da zaffate di aromi inestinguibili, e io non ero per niente protetta.

«Elias...»

«Tu non sai chi ci si aspetta che io sia, per i tuoi desideri. Qualcuno che non sono ancora stato, che non posso far altro che accogliere.»

Sentii i suoi palmi indebolirsi intorno alle mie dita, le stava lasciando andare, anche se continuava a fissarle in un modo che chiedeva di più, e io lo trattenni.

«Sto per portare Zeno con me», aggiunse, a quel punto, la fronte corrugata, mentre lo scuro delle sue iridi mi assorbiva ancora in lui. «Consapevole di che cosa comporti, come lo è lui.»

Adesso le nostre mani erano tenute insieme soltanto da me, ma il tono con cui mi aveva parlato mi stava inducendo a credere che avrebbe voluto stringermele più di prima.

«Crostanera è il Quarto Territorio, vero?» domandai, iniziando a scuotere il mio assopimento, scivolando dall'oblio di schizzi d'acqua e di profumi, in cui ero stata a bagnarmi.

«In questi quindici anni a Firenze, ho evitato il più possibile di pensare a Zeno, e a chi sarei stato io per lui», proseguì, in un flusso di pensieri che sentii stava respingendo, per concentrarsi su come mi avevano ridotta i suoi molteplici baci.

Avevo il fiato caldo, i seni alti contro la stoffa, di una sensibilità estrema, i capelli annodati e gocciolanti, le labbra infiammate, schiuse dagli ardori.

Seguire un filo logico era così difficile, ciò che stava dicendo implicava un risveglio che non gli avrei mai chiesto, un inceppamento con acuto di quella rara melodia, che sapeva di poter suonare.

«Sei tu che devi aprire l'ingresso di quel luogo, per...?» provai, senza riuscire a dire il suo nome, ed Elias sembrò dolere anche solo per la nostra vicinanza fisica, che pareva bruciarlo.

«Vorrei tanto rassicurarti che io non sono così, Ester, che non lo sarò mai, ma non posso», rispose, ferendosi nelle sue stesse parole, mentre io sondavo il buio che fuoriusciva dalla sua espressione.

«Sì, che puoi», bisbigliai, i suoi influssi ad accerchiarmi, la prospettiva di lui che agiva ancora per la speranza di qualcosa tra noi, ruotata, mentre io continuavo a trastullarmi in essa.

«Vorrei davvero dirti che non sarò io quello responsabile sulla soglia, a controllare che Zeno avanzi, che non sarò io a richiudere Crostanera dietro di me, lasciando una persona a cui tieni lì.»

Mi disorientai, anche se la stretta intorno alle sue dita era ancora irrinunciabile, aveva perso un senso che fino a pochi istanti prima era il tutto.

Non è Elias a restare in quel Territorio. Non è lui.

«Te ne andrai a Rosa dei Venti, senza di lui?» mi spinsi, le pulsazioni troppo accelerate per poter gestire una sua risposta, qualsiasi essa fosse.

«Devo», rispose, privo di iniziative nei miei confronti, i suoi racconti musicali sprofondati in un nulla cosmico. «La maggior parte dei Rih se ne va subito, deviata dall'esperienza, ma spesso torna.»

Non capivo più che cosa avessi fatto fino a pochi minuti prima, avevo provato quelle cose con Elias, un ragazzo che sapeva che ciò che stava per fare a Zeno avrebbe potuto deviare anche me.

E d'improvviso rividi Emar in lui, il suo sguardo vacuo che dalla scalinata guardava in basso, e si cercava nei ricordi di ciò che era stato oltre quell'ingresso. Il biglietto di scuse che aveva lasciato a mia nonna, era stato scritto a causa di qualcosa che aveva fatto a Siro?

«No, non devi», rifiutai, mentre la penombra del cortile che mi era prima sembrata così intima per noi due, adesso pareva soffocarci nelle nostre stesse voglie.

«Il Primo Territorio ha disposto questo per i Lie al suo stadio», riprese, e a me parve che la costellazione d'inverno in cui esisteva Orogemma, ne specchiasse il riflesso più niveo e glaciale.

«Questo, cosa?» squittii, mentre ogni comportamento di Zeno, ogni dichiarazione aperta e a volte irruenta che mi aveva fatto, ogni discorso sul tempo, iniziava a prendere una disgregante forza propulsiva.

Ebbi in mente ciò che mi aveva detto sul cielo, ai nostri primi incontri, il suo monito su quanto potesse essere insidioso.

Vorrei essere stata in grado di ascoltarti meglio.

Un groppo faticò a farmi deglutire, iniziai a sentire che avevo i capelli troppo bagnati per il freddo di quella giornata, che ogni goccia d'acqua, uscendo da quella casa, sarebbe stata una carezza ghiacciata.

«Cosa, Elias?» richiesi, per rispondere al silenzio in cui era rimasto dapprima a guardarmi negli occhi, e in seguito a cogliere le mie mani tremare sulle sue, senza provare a saldarle di nuovo nei suoi palmi.

«Essere a Crostanera libera i desideri dal nero della pelle dei Lie, li separa in modi che noi non riusciamo neanche a supporre.»

«Li separa

«Accade solo trovandosi dentro quella zona. Non si può sapere quanto ci voglia, è individuale, ma se proprio vuoi sentirlo, nessuno sopravvive all'ingresso che è stato aperto dal Rih.»

Nessuno sopravvive.

Nell'anno di Agatha, Siro.

Nel mio, Zeno.

Il tono di voce traumatizzato di Elias mi distrusse, la sua verità mi macchiò, le mie dita si ritrassero dalle sue, come se fossero state disarticolate, il mio cuore subì uno spacco secco tremendo.

Mi si appannarono gli occhi,  mi mancò il respiro, colpita a fondo dalla stella a cui avevo affidato i miei sogni da bambina, tradita dal modo in cui un suo ragazzo si stava passando le mani sul viso, a rimarcare che lo avrebbe dovuto fare.

Mi stravolsi nei pensieri con il lui di Monte Isola, che recitava sulle sue una frase del Dio egizio Anubi davanti a una bancarella a cui ci eravamo fermati.

«Io sono morte, mangio Ambrosia e bevo sangue», recitò Elias, sorseggiando dal calice e mandando giù il primo assaggio divino.

«Vincere la morte», riprese, stringendosi nelle spalle, come a volersi ritirare dalle ombre, ormai dominanti. «Mi piaceva questo significato.»

«Tu lo devi uccidere», capii. 

Allora, non so da dove iniziare, spero il capitolo vi sia piaciuto, nonostante ciò che ha rivelato.  Vi aspettavate questi collegamenti?Che cosa accadrà d'ora in poi? Nessuna garanzia, se non questa. Siamo insieme a scoprire i lati luminosi, ma anche quelli ombrosi della trama, vi chiedo di fidarvi di me anche se qui sono arrivata a mostrarvi uno ombroso che è stato costruito nel corso delle pagine, ameremo follemente molto presto♥ Se vi va, lasciatemi un commento e/o voto a supporto, a prestissimo!

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