capitolo 38.2

Era probabile che stessi dormendo su Zeno.

L'ultimo ricordo che avevo della veglia era la morbidezza della sua maglia sotto la mia guancia, quando mi ero permessa di chiudere gli occhi, e sentire soltanto quella, escludendo tutto il resto di lui e della notte.

Avevo imparato che il freddo non era qualcosa di fisso, che poteva ritirarsi in sensazioni di comunione, sghiacciarsi e ramificarsi su per la colonna vertebrale in altre, uno stelo di orchidee che apriva colori caldi.

Avevo imparato che non esisteva alcun fuori, e nessun terrazzo, quando la mano creata da una stella faceva il giro basso della schiena per arrivare a scaldarmi un fianco, qualsiasi cosa era dentro.

Al suo solo volere avrebbe arso, con me si era assicurato di passarmi tanto calore quanto bastava per non aver bisogno di allontanarlo e rientrare in camera.

Si era preso cura di me in un modo che non aveva mai fatto prima, ed ero certa che avrei potuto sognarlo se mi fossi addormentata, invece quando era accaduto, mi ero trovata su Saiph.

In altra compagnia.

«Iside è una anziana su sedia a rotelle, non ha più le movenze che ricordi», dissi, notando subito una flessione del labbro inferiore di Emar. «Non penso che abbia ancora forza di avere rancore nei tuoi confronti.»

Non sapevo perché lo stessi confortando, per lui che era parte di un vento stellare ad anni luce di distanza dal mio pianeta, le mie parole dovevano essere qualcosa di fuggevole, una inezia.

Eppure mi sentivo sollevata ad averlo detto, come se lo dovessi a quella strana debolezza nei suoi occhi verdi, che non capivo, quando tutto di quel ragazzo faceva presumere una latente energia.

«Tirahnt», rispose, traducendomi subito dopo la parola nella mia lingua. «Lo spero. Anche se non dovrei.»

Spolveri scuri continuavano a stendersi sulle spalle di Emar e a cadere sul terreno, rimescolati dall'aria, come pioggia deviata.

«Ogni giorno», aggiunse, lo sguardo che si spostava alla discesa della scalinata, restandovi alcuni istanti più di quanto mi aspettassi.

«Tenevi a lei», commentai, a voce bassa, e la delicatezza che cercai di trasmettere lo fece girare di nuovo a me.

Non rispose, però, lasciando il dubbio su quella mia affermazione, che comunque ritenevo più vicina alla verità del suo silenzio.

«Vorrei tanto che combattesse per rimanere sé stessa», riportai in superficie la sua malattia, la sua gravità, e la mascella del ragazzo si contrasse.

«Il valzer non si balla da soli», mormorò, fissandomi negli occhi, e a me fu chiaro che avrebbe dovuto suggerirmi qualcosa. «Nemmeno se si chiama Speranze Perdute.»

Il verde delle iridi del Rih era come una increspatura di acqua di laguna, il suo riflesso prima di rompersi su una barriera corallina.

«Me lo ha insegnato lei, non conoscevo il vostro ballo all'epoca, né tantomeno il brano di Morelli», ammise, dandomi una nuova emozione che si trasformò in brivido. «Quella esatta frase non era la sua, però.»

«Non capisco.»

«Dario», precisò, e con un secondo brivido rimasi pietrificata dalla sorpresa, affascinata da quel dettaglio di una storia che non era la mia, e al tempo stesso, era come se lo fosse.

«Mia nonna ti aveva ripetuto una frase di mio nonno?» gli chiesi spiegazione.

«La usava come modo di dire con me, perché voleva che io parlassi con lei», rispose, facendo le spallucce, come se considerasse l'attaccamento di Iside a quella frase pressappoco inevitabile. «Era una delle prime che le aveva rivolto Dario, quando si sono conosciuti.»

In quell'istante, lo intuii, e lo stupore di quel pensiero fu ancora più totale. Il motivo per cui Emar aveva tirato fuori quel ricordo, in relazione a quanto avevo detto io poco prima poteva essere...

Non per il legame che mia nonna ha avuto con te, ma per quello che lei ha avuto con mio nonno.

«Mi stai consigliando di ripeterla, soltanto per lei, quando la andrò a trovare?» domandai, e la prima conferma me la diede il suo sguardo, di una serietà infraintendibile, che sconfinava nella compassione.

«Si ascolta ciò che si vuole ascoltare. O ciò che si vorrebbe riascoltare, ancora una volta», rispose, e io divenni talmente emotiva, dinanzi al suo modo di essere premuroso con lei, di regalarle nuovamente quella frase del nonno, che dovetti girarmi a fissare la discesa della scalinata che mi aveva interdetto, per non cedere.

«Voglio vedere quell'ingresso», cambiai discorso, incapace di nascondere la mia fragilità nei confronti dei nonni, dell'affetto che mi avevano sempre dato.

«Non potresti mai entrare da sola, da qui.»

Non era più un ammonimento il suo, il tono non era sfidante, ma mi stava comunque dicendo che ne sarei stata impedita.

«Perché?»

«Perché non sei un Rih», rispose, sottolineando le mie origini terrestri, come se denotassero una qualche mancanza. «Solo noi abbiamo la possibilità di aprirlo, e il dovere di accompagnare.»

«Allora potresti farlo per me?» mi uscì, senza coscienza, mi resi subito conto che poteva sembrare stessi approfittando dell'attimo di debolezza.

«Tu non vuoi vedere veramente, o sì?», mi rispose, con una certa aggressività, che intuii non fosse voluta. «Non ci siamo soltanto io e te, qui. Non ci sono soltanto Rih, ad aprire là sotto.»

«Che cosa intendi?»

«Intendo che è nostro il dovere di spalancare ogni volta le porte del Quarto Territorio, ma mai senza un Lie affianco da far entrare. Dopo la nostra permanenza insieme sulla Terra, lo portiamo», disse, ponendo un accento strano su quell'ultima parola.

Al Quarto.

Dovere. Portare.

Era la presa di coscienza che avevo sceso scale che arrivavano a un nuovo Territorio che non avrei visto, che Saiph poteva non essere una stella così luminosa e incantata, che tutta la sua luce poteva esserre un artefatto, e persino lei poteva contenere buio.

Nessuno può dire come sia quel posto. Nessuno c'è ancora stato, nessuno ne vuole parlare.

Le parole che avevo udito da Zeno mi tempestarono la mente, e più cercavo di sopravvivervi, più loro si rivelavano a me, suggerendomi che lui, come Lie, stava per essere portato a scendere proprio questa scala.

«Il viaggio in salita per Orione non è rimesso alla mia iniziativa personale, ma a quella della stella stessa, e nello specifico a quella della trazione dei suoi Rih.»

Quest'ultimo ricordo, ciò che mi aveva detto in un'altra occasione, mi spaccò i pensieri, lasciandomi a rivivere a spezzoni i soggioganti occhi di Elias, un Rih, mentre la Berti informava che si era dimesso dalla Bottega.

«Sarà tutto diverso, d'ora in poi?»

«Mentirei se ti rispondessi di no.»

Iniziai a sentirmi mancare. Elias non si era licenziato per seguire la sua passione per i fiori in autonomia, ma perché Zeno doveva essere riportato su Saiph, perché era giunto anche per lui il momento di... tornare.

Fu un doppio shock, intuire che se ne sarebbero andati entrambi, insieme come erano caduti sul mio pianeta, una paralisi da cui non riuscii a riprendermi.

La sensazione che Elias fosse colui che Zeno stava aspettando quando si era invitato in casa mia con l'intenzione di salutarmi, che era lui che poteva e doveva riportare il mio Lie su Saiph, mi fece crollare gradualmente le forze.

Emar mi fissava adesso con sconcerto, con dedicata attenzione, capendo che mi stava succedendo qualcosa, nel suo sguardo leggevo rimorso, e dispiacere.

«Credo che tu ti stia svegliando», disse, e io non riuscii neanche a muovere le labbra per rispondergli, lo stimolo non fece alcun effetto, divenni improvvisamente assente, e mi accorsi di non poter fare niente di niente.

Zeno mi aveva presa tra le sue braccia, alzandosi in piedi sul terrazzo, avevo il mento sulla sua spalla, quando riaprii gli occhi assonnati, il naso sfiorava il suo collo scuro, inalava quel suo profumo di cieli sfavillanti a Monte Isola e ardori accesi nella notte, che dava alla testa.

Camminò fino alla finestra, e ai suoi ultimi passi prima di entrare in camera, diedi un'occhiata languida alla faccia chiara della luna, che mi stava vedendo cosciente prima che lo potesse notare lui.

Socchiuse i vetri dietro di sé, con eccessivo garbo, e proseguì fino al letto, appoggiandovisi con un ginocchio per sdraiarmi meglio sulle coperte.

L'imbarazzo mi fece fingere di dormire, restai immobile con il cuore che correva per la vita, quando mi accorsi che lui non si era spostato, che continuava a reggersi con una gamba piegata sul materasso.

Era un attimo nascosto di lui, che mi stava facendo contrarre lo stomaco e distruggere il petto, una esitazione che forse non avrebbe mostrato, se avesse saputo che non stavo dormendo.

Ne vissi la fermentata profondità, lasciandola esistere sino a quando lui non si fosse mosso da quella posizione, sino a quando i miei battiti non fossero diventati così veloci, da comparire e scomparire come impazzite code di stelle.

Lo avvertii ritirarsi, il suo peso si baricentrò con accortezza all'indietro, e fu come se ogni momento del nostro passato e presente si stesse crepando per collassare in quello spostamento.

Non ressi la finzione, i miei occhi si riaprirono sul suo volto nero, di una desiderabilità macchiante, e si incrociarono con i suoi, brillii di doppia tonalità cosmica, mentre battevo dal morbido cuscino su cui mi aveva messa.

«Non volevo svegliarti», esordì, sorpreso, ormai sceso dal letto, senza aver fatto altro che stare vicino a me, mi osservava stabile dall'alto del suo fisico in piedi.

«Io non volevo dormire», sussurrai, e dal piacere che attraversò il suo sguardo al mio bisbiglio, seppi che aveva capito che il motivo era la sua partenza.

«Sono contento che lo hai fatto», disse, restando dove era, pur vedendo che io mi stavo tirando su con la schiena, per averlo più vicino.

«Il Nontiscordardime», iniziai, rendendolo interessato ad ascoltare il proseguo. «Hai insistito a crearlo con me, perché sapevi che te ne saresti dovuto andare, vero?»

Al silenzio, Zeno donò emozioni inspiegate, parole incastrate, e io feci lo stesso, tremando, e stringendo il bordo laterale di una coperta per ricordarmi che ero fortunata a essere sveglia.

«Perché sapevo che ciò che è importante resta, Ester», rispose. «Anche se è fatto solo di carta.»

Buonasera a tutti ♥ Spero stiate bene, il capitolo che avete appena letto è stato per certi versi rivelatore, ha dato una nuova sfaccettatura al personaggio di Emar, al tipo di conoscenza che si era instaurata tra lui e Iside in passato (sapevo che molti di voi erano curiosi), con un notevole spazio lasciato anche a quest'ultima. Ha, inoltre, dato indirettamente notizia che a tornare su Saiph non sarà soltanto Zeno, ma anche Elias (e qui temo che mi inseguirete tutte sotto casa, aiuto). Su questo punto, ovviamente, tornerò presto con il diretto interessato e non vedo l'ora, perchè come sapete, i capitoli che scrivo su di lui mi ispirano in modo particolare X_D Abbiamo collegato che il Quarto Territorio, di cui non vi ho svelato ancora il nome, sarà la prossima destinazione di Zeno. Curiosi? Fatemi sapere nei commenti le vostre impressioni, e/o se vi va lasciatemi un voto. Altri misteri devono ancora venire fuori

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