Capitolo 36.1
Mezzocielo
«Le voglio tutte, nonna.»
Con gli occhi cercavo di prendere quante più luci possibili di quella sera fredda e tersa, piegando l'esile collo all'indietro, per trovarne sempre di nuove.
«Le stelle sono tantissime. Non me ne lasceresti neanche una, piccola piccola?» mi incalzò lei, mettendomi un braccio intorno alle spalle; provai un gradito tepore e la voglia di condividere.
«Se ti piace, puoi avere quella grande laggiù», indicai con il dito, e la sua voce si modulò in un grazie dal timbro dolce, che mi spinse a essere ancora più generosa. «Anche quella vicina, quella dietro e quell'altra accanto.»
La nonna mi strinse a sé, la sentii sorridere, contenta, e d'un tratto avrei voluto confidare che per lei avevo cambiato idea, che gliele lasciavo tutte, ma lei non me lo fece dire, mi zittì prima.
«Siamo solo io e te, ora, possiamo fare a metà», suggerì, un compromesso a cui non avevo pensato, ma che stretta a lei, mi pareva la soluzione più giusta per noi. «Dividiamo il cielo proprio lì al centro, una parte è tua, una è mia, e la chiamiamo Mezzocielo.»
Immaginai subito una linea che passava dritta tra le stelle brillanti, solcando il blu scuro, spartendole equamente tra me e Iside, e accolsi con un sì soddisfatto la sua proposta.
«Così il tuo Mezzocielo sarà sempre vicino al mio.»
«Siamo d'accordo, allora.»
Il padre di Emma appoggiò i gomiti sul davanzale, aveva aperto la finestra da pochi minuti, la brezza disordinava i suoi capelli, più lunghi per non aver frequentrato un parrucchiere da tanto.
Seguii con lo sguardo ciò che stava osservando lui, i suoi occhi lucidi salivano i pendii delle colline, arrivavano fino alle montagne Apuane, camminavano tra gli uliveti, ballavano sotto il sole del mezzogiorno.
Erano cautamente risaliti dall'abisso del vagabondaggio, dalla vista delle strade urbane e fatiscenti, per accettare la possibilità di aiuto che gli era stata offerta.
«La stanza ha pure una vista aperta», approvò la figlia, posandogli una mano sulla spalla, mentre sorrideva a me, raggiante, e alla natura rigogliosa che avrebbe salutato e accolto Alfredo a ogni risveglio.
«E' mia, posso restare qui», disse lui, con voce esterrefatta e commossa, come se non riconoscesse ancora quella nuova realtà, come se temesse di non meritarsela.
«Sì, per il tempo che ti serve», aggiunse Emma, consapevole che il recupero di una sua stabilità interiore e di una indipendenza economica, avrebbe richiesto impegno, anche da parte del personale di supporto psicologico della dimora per senzatetto.
Montelupo fiorentino distava solo mezz'ora dalla città, era un borgo in cui si respirava aria di campagna, in cui la produzione della maiolica per la realizzazione di oggetti d'arte poteva essere conosciuta camminando per la Strada della Ceramica.
Si chiamava Mezzocielo.
Non avevo ancora detto una parola.
Forse avrei dovuto.
Per una coincidenza, il nome che aveva quel rifugio in cui eravamo, che assicurava un tetto a persone senza luogo fisso, per fare vedere loro soltanto una metà del cielo attraverso la finestra di ciascuna camera, mi aveva resa sensibile ai ricordi di quando ero una bambina con Iside.
Guardavo la mia amica e suo padre, insieme si ambientavano a chiamare casa quell'angolo di vallata spolverato di luce, e quelle pareti pitturate di bianco e azzurro, che richiamavano la morbidezza delle nuvole.
Erano la mia immagine di felicità, che mi fotografai negli occhi, con la speranza che non fosse solo riservata a quel momento, ma a tanti altri.
Non lo potevo sapere, nessuno poteva, ma Emma e Alfredo erano come un vasto e misterioso cielo, a volte sereno, a volte tempestoso, e anche se lontani chilometri, ero certa che lo sarebbero sempre stati.
«Sarai seguito per quanto possibile, e ah, mi hanno detto che avrete lezioni in collaborazione con la scuola di ceramiche di Montelupo», informò lei, e io capii da come l'uomo battè le ciglia, che la prospettiva lo incuriosiva. «Se diventassi bravo, forse potresti avere una opportunità lavorativa lì.»
Un mestiere attinente alle arti, un paesaggio rilassante, una routine tranquilla, erano ciò che il padre di Emma avrebbe potuto fare suoi con buona volontà, e un po' di fortuna. Sua figlia credeva ancora in lui, io credevo in lei.
«Mi ci vedi come artista?» domandò, dubbioso, girandosi e incrociando per un istante anche il mio sguardo ritirato, ed emozionato.
«Artista della tua vita, pa.»
✴
La macchina era ferma nel parcheggio della dimora Mezzocielo, Emma era al volante, aveva già messo la cintura, spostato lo specchietto, ma stranamente attese per farla partire.
Seduta accanto a lei, le lanciai un'occhiata incuriosita, e la vidi pensierosa, come se fosse stata sul punto di dire qualcosa, ma si fosse trattenuta.
Sospirai, passandomi una mano tra i capelli, prima di trovare la spinta di chiedere e iniziare una conversazione che non sapevo dove mi avrebbe portata.
«Che cosa c'è?»
Una domanda semplice, diretta, a cui la mia amica reagì guardando fuori un istante, per poi incrociare finalmente i miei occhi.
«Papà è stato trovato alla stazione da due persone che lavorano qui, hanno offerto aiuto in modo spontaneo anche ad altri senzatetto, ma sono stati indirizzati da... qualcuno.»
Emma non aggiunse altro, ma io capii da come sosteneva il mio sguardo che dovevo conoscere la persona che si celava dietro a quel generico qualcuno.
«Tu sai da chi?»
Lei annuì, sporgendosi un pochino verso di me, come se stesse per rivelarmi qualcosa di intimo che dovevo proprio sentire.
«Un ragazzo con iridi così eccezionali da far prostrare pure la notte, ha detto una donna della dimora. Una blu, l'altra verde.»
«Zeno?»
Al pensiero che fosse stato lui a darsi da fare per mettere in contatto Mezzocielo con i clochard di Campo di Marte, a cui già era stato attento fin dall'inizio, sentii una imprevista e meravigliosa pace, e un calore che mi accarezzò tutta, facendomi rilassare la testa sul sedile.
Mi sono sempre chiesta quanto grande dovesse essere il cuore di coloro che salvano la vita a chi è in difficoltà, quanto grande dovessi averlo io per essere come loro, ma solo ora mi rendo conto che è una domanda sbagliata. Non è mai stata la grandezza del cuore a fare la differenza, ma la volontà di averne uno, perchè Zeno... ne è privo.
«Per favore, ringrazialo, quando lo rivedi.»
Buonasera a tutti! Torniamo da Ester con una buona novità sul padre di Emma, e ancora una volta notiamo quanto Zeno sia dedicato a fare del suo meglio nel mondo terrestre, pur essendo stato creato su Saiph. Nella prossima parte, indovinate chi vedremo... ❤
Non mancano molti capitoli alla conclusione della storia, li sto programmando, di modo da andare più spedita con gli aggiornamenti e poter scrivere presto l'epilogo. Ancora vari misteri devono venire alla luce, vi consiglio di prepararvi ahah
Spero che questa parte, seppur breve, vi sia piaciuta. Fatemi sapere nei commenti le vostre impressioni!
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