Capitolo 35.2

Avrei preferito che le mie domande, giuste o sbagliate, fossero come petali di un fiore, per avere la possibilità di strapparle da me, in questo preciso momento, invece di continuare a inalarne il profumo, crudelmente ossessivo, nei pensieri.

Lo vedevo in ogni singolo ragazzo che entrava e usciva dalla casa di cura, ma nessuno aveva le sue spalle rocciose, il suo profilo lunato, la sua espressione accigliata, i suoi occhi scuri insidiati da demoni.

Avevo sprecato minuti a guardare l'ingresso a vetri, a cercare Elias in sconosciuti, fino a dare loro l'impressione errata, e a vergognarmene.

Non riuscivo ad andarmene, la stessa prospettiva di arrivare alla Bottega e trovarla rotta senza di lui, incompleta, non aiutava a muovermi.

Un signore sulla ottantina d'anni camminava lento, a braccetto con una sua familiare, era appena uscito dall'edificio, e si faceva dirigere da lei.

Sapevo che mi sarebbe passato accanto, ma ci mise molto di più di quanto credessi, e soltanto quanto mi fu vicino, capii che era non vedente.

Girò il volto rugoso nella mia direzione, e si fermò, opponendosi dolcemente quando la sua accompagnatrice lo esortò a riprendere a passeggiare.

«Che cosa stai aspettando qui?» mi chiese, invece, con una voce che sembrava poter aver scavato un altro mondo per raggiungermi in questo.

Un ragazzo che non c'è.

Colei che lo guidava scambiò un'occhiata di scuse con me, mi rassicurò a rispondergli con onestà alla spiazzante domanda che mi aveva fatto.

«Non lo so neanche io.»

Annuì, serio, come se avesse potuto aprirsi tutta la mia storia davanti a quelle sue iridi murate, che neanche sapevano quale aspetto avessi, dopo aver ascoltato una sola frase.

«Qualsiasi cosa tu cerchi, chiudi gli occhi per trovarla», disse, mentre un sorriso affettuoso appariva sulla bocca di quella che avrebbe potuto essere la figlia.

Chiudi gli occhi.

Mi fece rabbrividire.

Non risposi, non avevo parole che potessero avvicinarsi alle sue, neanche quando lui mostrò la volontà di proseguire, lasciando la mia strada.

Li chiusi, avvertendo i passi dei due distanziarsi, il calore del sole sulle guance, la frescura tipica della mattina pizzicarmi dietro il collo.

                                                                 ✴

Piazza del Limbo. Forse era il mondo che si prendeva gioco di me. Le ombre delle dieci erano avvitate alla schiena di Elias, il falcato della luna insabbiato tra i suoi capelli.

La facciata romanica della chiesa dei Santi Apostoli si rifletteva nelle sue iridi, dalla lucentezza della graniglia di marmo nero.

Sospirai, quando mi vide, e si fermò un attimo dal parlare con un negoziante di antiquariato della zona, che aveva chiuso la saracinesca per la sera.

Dovevano essere poche le possibilità che entrambi ci trovassimo per caso in quel medesimo rettangolo del centro storico della città, difeso dagli alti palazzi medievali, talmente minuscolo che non ero sicura una cartina potesse indicarne più di un punto.

Eppure eravamo proprio a una distanza di quattro metri, come se ci fossimo presi un appuntamento dopo il mio lavoro che nessuno dei due si era disturbato di comunicare.

Alla sua prima fuorviante occhiata, non ne seguì una seconda, la sua fronte si corrucciò, il discorso con il suo interlocutore riprese, come se vedermi non avesse fatto a lui quell'effetto per cui mi ero tormentata di strappi di fiori nella mia testa.

Era stato un imprevisto, non sarei mai passata di lì se Emma non mi avesse chiesto di mangiare fuori, invece che in famiglia, così da scambiarci opinioni sui candidati che erano arrivati in giornata a fare colloqui con sua madre.

Eravamo state sul Lungarno fino a poco prima, finché un'altra sua amica ci aveva raggiunte per salutarci e io avevo deciso di tornare a casa tagliando per le viuzze.

Il Limbo si trovava proprio nel mezzo tra dove eravamo state e la fermata degli autobus a cui mi dovevo recare, una piazzetta che era un cuneo nella pietra antica di Firenze, e che aveva la stessa riservatezza e inchiodante ipnosi di quel ragazzo che, con disinvolta ostinazione, continuava a non considerarmi.

Avrei dovuto fregarmene, guardarlo con la medesima nonchalance nella remota possibilità che si fosse girato di nuovo, ma non riuscivo a muovere un passo, la sua presenza spiumacciava nero, e poi un intossicante rosso, in quella arcaica piazza.

Colori inibenti di Orione, con la delicatezza di un volteggio d'aria, e il rapimento di un cielo stellato.

Quando la persona con cui era, poco dopo, lo salutò, affrettandosi ad andarsene con una chiamata in arrivo sul telefono, gli occhi di Elias rimbalzarono su di me, con una improvvisa potenza, facendomi trasalire.

Non eravamo ancora soli, ma a me sembrò che il suo volto eburneo e contratto, ombreggiato da lunghe ciglia, potesse non solo scomparire da un momento all'altro, ma far collassare in un fluttuante nulla ogni cosa che lo circondava.

Compresa la mia ragione.

Si mosse per venirmi incontro, i polsi chiari che oscillavano con leggerezza, le gambe fasciate in pantaloni chino grigio antracite, che lo slanciavano ancora di più, l'espressione dubbia sulle labbra.

«Non pensavo di trovarti qui», esordì, in un tono che insinuò il tarlo avesse preferito non dovermi approcciare, tantomeno a quell'ora.

«Nemmeno io», replicai, sentendomi piccola, minuscola, non appena mi fu davanti in tutta la sua altezza, coprendo alla mia vista perfino la torre campanaria.

Un momento di allacciamento tra noi, di statico studio dell'altro, in cui mi ci persi, in cui l'ago della mia bussola, dopo aver ruotato più volte sulla rosa, subì una brusca deviazione magnetica verso di lui.

Elias mi stava facendo scivolare lateralmente da qualunque altra rotta avrei potuto prendere quella sera, come se fossi stata su una imbarcazione che scarrocciava a causa di una silenziosa e arenante forza.

«Potrei fraintenderti, sai», disse, sulle sue, staccando lo sguardo dal mio, per riagganciarlo subito dopo, un dissidio con sé stesso che non aveva pausa. «Mi guardi in modo strano

Niente di quel ragazzo che mi stava di fronte era mai stato carne e sangue come lo ero io, il suo aspetto umano dissimulava lucenti costellazioni, chiodate dentro lo scuro delle sue iridi.

Era di Saiph.

«Strano... come?» temporeggiai, lo specchio della bussola a frantumarsi tra le mie mani alla sua ininterrotta caparbietà, al mio grande sbilanciamento, l'ago sempre fisso nella sua direzione.

«Come se mi volessi», esalò, la voce portata fino allo stremo e lasciata andare, la ferocia della seduzione nera nei suoi occhi intensificata a quella affermazione.

Sentii la pelle accalorarsi dalla sorpresa, il cuore pompare con imprevista e drammatica insistenza, le gambe vibrare sul posto.

Ero certa che Elias potesse notare il calore che mi rollava dentro mentre toglievo lo sguardo, che avesse ormai compreso di essere una pietra focaia.

Parve sconcertarsi e poi imporsi di non reagire, come se non si fidasse più del suo controllo sulla situazione, come non vedesse nient'altro che uno sterminio di cenere.

«Potrei farti pentire di questo silenzio, Ester.»

Tu... che cosa hai fatto alla Pianta del Bacio?

Non resistei a ricercarlo, a sfidare lo spasimo nei suoi occhi, ero soffocata dalle mie stesse emozioni, che non riconoscevo, che mi spaventavano, avevo la gola chiusa, calda e pulsante.

«Hai portato con te la Psychotria Elata, questa mattina», riuscii a liberare la voce, a farla ingarbugliare alle sue incredule orecchie. «Ma hai dimenticato di togliere da terra qualcosa di quel che ne è rimasto.»

Il rosso acceso e virulento di quel fiore sembrò spargersi nel modo in cui abbassò inequivocabilmente le iridi alle mie labbra, e il suo fisico sembrò attraversato da una scossa di indesiderata impellenza.

«Quindi, è per questo», commentò, allietato e disturbato al tempo stesso, e alla mia nuova mancata risposta, si ritirò con decisione in effumazioni che lo fecero svanire presto in trasparenze d'aria.

Mi voltai subito all'angolo opposto, non vedendolo dove era stato finora né da nessun'altra parte di quella isolata piazza, che adesso aveva più limbo di quanto potesse far intendere il nome, e mi confusi.

Aveva disorientato ogni mia certezza visiva, il buio della notte a dare ancora più senso di costrizione a quel minuscolo spiazzo incastrato tra antiche mura di pietra e il sovrannaturale.

La sua percezione mi arroventò, quando all'improvviso mi strinse dalla pancia e mi tirò all'indietro, fino a farmi sbattere di schiena contro la cancellata che chiudeva il giardino esterno della chiesa.

Soffocai un urlo di sorpresa, che si spezzò in un ansito di dolore misto a piacere, non appena sentii che era il palmo della sua mano quello che mi teneva ferma al ferro della recinzione, senza darmi possibilità di staccarmi.

Elias era alle mie spalle, a soffiare impazienza, ogni cellula del mio corpo avvertiva il suo, accostato alle sbarre da dentro il terreno inaccessibile.

Ci aveva messi entrambi in prigione, non poteva aderire perfettamente alle mie curve con il suo fisico, ma lo sentivo comunque pressare al cancello per avvicinarmi a lui.

Il suo respiro mi riempiva l'orecchio, scendeva fino all'organo tonante nel petto, lo sollecitava a muoversi ancora di più per lui, piombava infine nel ventre, su cui già erano le sue salde dita.

Il braccio con cui mi teneva a sé non era visibile, ma per quanto sapessi che era di un ragazzo del cielo, io riuscivo a pensare soltanto che era dell'Elias che avevo conosciuto in un giorno di neve, che aveva sempre guardato i fiori come io le stelle, che aveva pianto a Monte Isola.

Il pollice ruvido della sua mano libera si posò sul centro del mio labbro inferiore, schiudendomelo, facendomi sospirare vergognosamente al solo sentirlo indugiare dove era.

Scese poi al mio mento, umettandomi della saliva che era rimasta su di lui, e si portò sotto, passando sulla mia carotide dalla base del collo fino in fondo.

Mi fece tremare nella sua stretta, abbandonare il capo alla durezza del ferro, e ruotare gli occhi verso l'alto, a delinearne il viso nel contorno della luna, a ricordarne il pallore agghindato ai suoi capelli neri.

Risalì alla mandibola, mi prese da lì e mi girò con persuasiva delicatezza a lui, portando le nostre bocche a respirarsi a vicenda attraverso la cancellata.

«Perché non ti fai vedere?» sussurrai, e in un attimo ero di nuovo sulla terrazza del residence a Sale Marasino, a scoprirlo solo dove non avrebbe dovuto esserlo, a sentirlo dire che tutto ha una fine.

«Potrebbe arrivare qualcuno», rispose, la sua voce a originare piccole scariche di elettricità sulle mie labbra, elettroni rotanti da un atomo di tensione a un altro. «E tu, adesso, mi stai già vedendo come dovrei essere visto

Mi attorcigliai alle sue parole, e il rosso della Psychotria Elata tinse tutta la terra, mi parve di vederla fiorire e rifiorire dall'erba del giardino fino a diventare un campo ai suoi introvabili piedi.

L'aver sottinteso che non si stava facendo vedere per essere visto veramente da me mi stava agitando nel caos i battiti e i pensieri, come se ognuno di essi fosse alla disperata ricerca di quella chiave di accesso, che Elias per la prima volta non mi stava fermando dal trovare.

«Come un ragazzo della Costellazione d'Inverno?» replicai, soggiogata dalla mia stessa provocazione, che ammetteva il mio ex collega e le stelle in un unico nebuloso e favoloso insieme. «Troppo... distante

Non era solo questo, non aver più bisogno di rigare la sua pietra, a farmi chiudere lentamente gli occhi, a farmi fluttuare in un limbo indistinto e fremente, era il volerla sentire grattare anche se lui lo sconsigliava, riscaldarsi di una fiamma e scintillare per me.

Successe a una velocità non registrabile, i miei capelli si alzarono disordinatamente da un imprevisto giramento d'aria, si era liberato dalla sua prigionia, passando attraverso le sbarre, una gamba si spinse tra le mie cosce, facendomi sussultare, entrambe le sue mani non più su di me, il suo respiro adesso frontale, languido.

«Distante o vicino.» Aveva pronunciato quelle parole con dolcezza e intimità, continuando a farmele ascoltare senza più usare la voce, per proteggermi da quella parte di sé che avrebbe lottato per tirarsi indietro. «Riesci a sentire il mio vento e i miei desideri toccarti

Li sentii nelle sue labbra, morbide come zagara, che parvero innervare e irrorare la pelle della mia scollatura, avvolgersi attorno al mio cuore, facendo venire a nuova vita ogni suo ventricolo, inducendomi un involontario gemito.

Li sentii nell'identità che m'infranse, fino a lasciarne solo limbo in cui esistere di lui, in cui bloccarmi per battere nel suo vibrante silenzio, in cui rintronarmi per cogliere tutti i fiori rossi e i profumi che evocava.

«Non hanno fine, Ester, non l'avranno mai», ammise, roco, portandosi più giù, tirando, selvaggio, la mia maglia con i denti, e io rischiai di sovraccaricare i polmoni, di distruggermi i respiri contro quelli di un ragazzo che nessun passante in quella piazza avrebbe potuto vedere. «Perché neanche io ho fine.»

Tutto finisce. Tutto, eccetto...

Riaprii gli occhi, veloce come i ricordi del nostro dialogo a Sale Marasino, e d'improvviso, in stato di assoluto shock, realizzai quello che mi stava dicendo, quello che già mi aveva detto allora con quella eccezione, ma che io non avevo potuto sapere.

«Elias, quello che tu sei è...?» cercai conferma a quella grande domanda, ma non riuscii a finirla, altri riferimenti di noi due mi piovvero nella mente, istantanei come caduti da una stella, facendomi schiudere la bocca impastata.

«Ti devono piacere molto», commentai, seguendo i suoi gesti sicuri e al contempo così accorti. «Finora hai messo solo quelli.»

«Non sono i miei preferiti», rispose Elias, controllato. «Ma diciamo che li sento

«Che cosa intendi?» indagai.

«Gli anemoni sono chiamati "i fiori del vento", lo sapevi?»

I fiori del vento?

Aleggianti fumi apparvero davanti a me, arrotolandosi tra loro, modellando con intuitiva perfezione occhi fioriti nel buio, un fisico imponente e atletico che mi fermava a sé con entrambi i palmi sopra l'altezza della mia testa, serrati intorno al cancello.

«Tutto quel vento addosso», iniziò, con voce calma, quasi malinconica. «Mi è piaciuto, sai?»

«Ci chiamano Rih, nella nostra lingua», disse, guardando il punto poco sopra il mio seno in cui si era interrotto da quello che aveva iniziato a farmi, e prendendo, in seguito, con diretta fissazione, il mio sguardo.

Era quanto di più insidioso avessi mai confrontato, mi stava facendo cedere a modo suo, ancor prima di fare qualsiasi cosa, si stava dichiarando eterno e ramingo, proprio come Emar.

«Non sai che l'Ambrosia era l'elisir della lunga vita e dell'immortalità, vero?»

Ancora immagini passate, reliquie di pietra e profondità del Lago d'Iseo nei suoi occhi scuri, e sospirai.

«Vincere la morte», riprese, stringendosi nelle spalle, come a volersi ritirare dalle ombre, ormai dominanti. «Mi piaceva questo significato.»

Lui non moriva.

Parlava anche il Tarkh.

Era di Rosa dei Venti.

Vedere finalmente Elias, vederlo così vicino, sentirne il profumo di giardini segreti considerati inesistenti, con tanta intensità da farmi dubitare di non averlo voluto su di me fin dal primo incontro a lavoro, mi inebriò.

Arrivai con le braccia alle sue scapole, congiungendo tutte e dieci le dita, e semplicemente lo guardai così; la fragilità umana con cui lo vidi irrigidirsi di incredulità, sciogliersi, e di nuovo irrigidirsi di disperazione, mi portò a stringerlo al mio petto.

«Sei vento.»

«Sono vento stellare di Saiph.»

Buonasera a tutti! Sono emozionata, molto, questa parte rappresenta un culmine per il nostro Elias. Mi ci è voluto un po' di tempo, tanto studio e riflessione sull'ambientazione, sul come e dove, per arrivare a stenderla come è ora, ma posso dire che sono riuscita a dare a questo capitolo il taglio che volevo, il fantasy dell'invisibile e il rosa in suspence ancora più intrecciati,  il personaggio di Elias che viene fuori per quello che realmente è. E la ripresa di alcuni pezzi di suoi dialoghi passati, che vanno a incastrarsi finalmente qui, per dirvi quello che era giunto il momento di dirvi. Qualcuno di voi mi ha sorpreso, mesi fa, arrivando a condividere con me la sensazione che Elias fosse vento, e inutile dirlo, ho amato la sua straordinaria attenzione a ogni dettaglio che lo riguardava! Attendo nei commenti e/ o messaggi privati le vostre impressioni. A presto ❤

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