Capitolo 32.2

Ero ancora in dubbio.

Era stato di parola, portandomi fino a quello che lui chiamava Capo d'Ingresso, a Punta Sud di Rosa dei Venti, offerta che io avevo accettato, ma non riuscivo a superare che lo avesse fatto per redimersi da una sua azione nei confronti di Agata o Iside, o di entrambe.

Lo guardai di sottecchi.

Era un ragazzo moro che aveva l'eternità spalancata nelle sue pupille, una porta divelta verniciata di nero, il tempo non si permetteva di limitarlo, non osava neanche avvicinarvisi.

Un po' mi intimoriva, i lucchetti del catenaccio che per me erano ermeticamente chiusi, per Emar e la gente in quella zona di Saiph erano sempre stati aperti.

Nonostante ciò, niente dava parvenza di animarlo, come se essere su una retta di eventi che non aveva fine favorisse l'ascesa delle ombre, invece che il loro declino.

Mi fece segno di aspettare, mentre lui avanzava verso una cinta muraria monumentale, un unico blocco color dell'Abalone di madreperla, su cui si rovesciavano continue polveri, accumulandosi al suolo e rimestandosi all'aria.

Lo vidi sparire dentro un colonnato, scavato e curvato ad arte nella parte centrale, proprio davanti al mio sguardo, intento a capire quanto potesse essere esteso quello che doveva essere dietro.

«Da qui entriamo», mi comunicò, tornando al mio fianco in pochi veloci passi che esprimevano solerzia. «Passeggerai con me tra le tenute dei Rih.»

Annuii, accettando implicitamente; vedere qualcosa in più di loro, di dove vivevano, senza la sua guida poteva non essere altrettanto semplice.

Passai tra scultoree colonne, ammirando i materiali dell'universo con cui erano state modellate, e mi trovai a camminare su una luce che dal sottosuolo capovolgeva ogni regola terrestre, illuminando il Territorio dal basso all'alto e tutt'intorno, come se un sole fosse normale averlo sotto i piedi, da quelle parti.

Doveva essere il nucleo della stella a emanarla, silurandola con la giusta forza fino a salire ben oltre le abitazioni di Punta Sud, case iridescenti che avevano le loro fondamenta in rocce diverse e distanziate, che ne stabilivano l'eleganza della forma, la grandezza e l'altitudine.

Ero con Emar alle pendici di un villaggio nella Costellazione dell'Inverno, forse alla periferia di un centro cittadino, che si presentava su più livelli rocciosi, e con originali dislocazioni, la cui uniformità era data dalla tintura madreperlacea delle sue facciate, su cui la luminosità faceva evadere estetici riflessi.

L'aria sfregiava ancora con le sue polveri il circondario oltre le altissime mura, ma camminando in quella che pareva la strada di una fiaba senza titolo e senza epoca, tra alloggi che affondavano nella pietra stellare, nessuno di noi due se ne accorgeva.

«Faneh tabh nu», si rivolse a lui una ragazza dalle onde chiare, un mare di capelli che increspava la sua delicata schiena nuda, da cui doveva passare soltanto un filo di perle che teneva chiusa la sua fascia setosa.

Emar le diede un'occhiata breve, facendo un sorriso morente, composto, mentre lei si spostava dal nostro percorso con quello che pareva timore, finendo per guardare me con curiosità.

«Vrazh.»

Era così strano sentirlo parlare nella sua lingua, e pensare che era anche quella di Zeno, mi faceva avvertire una emozione in più nell'ascoltarla, come se chiudendo gli occhi potessi quasi immaginarmelo lì.

«Che cosa ti ha detto?» indagai, dopo esserci lasciati lei alle spalle, senza più considerarla, proseguendo a salire con piacevole lentezza per quella via abitata, che si stava affollando pian piano.

«Con grande rispetto. È un saluto molto formale, che a volte è usato dal Terzo e dal Quarto Territorio per noi del Secondo, e altre è comprensibilmente ignorato», mi spiegò, la sua espressione un viluppo di nastri che mi stringeva a lui. «Io le ho risposto: ciao.»

«Perciò lei non è di qui?»

«Non la conosco, ma no. Deve essere di Orobianco, e avere forse pochi mesi di creazione, chi lo sa. Noi di Rosa dei Venti meno sappiamo di loro, e meglio è.»

Sei estremo.

Mi fermai un attimo, e subito Emar si adeguò a me, guardandomi con occhi dissipati, che parevano avere qualcosa di indefinibile, di spento, nel loro forte verde.

«Orobianco?» lo incalzai, lasciando da parte la sua chiusura nei confronti di quella giovane sconosciuta che forse abitava dall'altra parte della stella, ma che era sempre di Saiph.

«Mi riferisco al Territorio del ragazzo che ha preso i tuoi desideri... oltre che te», precisò, le ultime allusive parole enfatizzate da una maggiore fissazione delle sue iridi nelle mie. «Il Terzo.»

Mi ero chiesta spesso come fosse il luogo da cui proveniva Zeno, quali persone avesse incontrato prima di essere pronto a iniziare il suo lavoro sul mio pianeta. Quelle domande, ora, avevano una collocazione. Orobianco.

«Chi lo abita?»

«Soltanto i Lie», rispose, muovendosi di un passo in avanti rispetto a me, esortandomi a riprendere il cammino che avevo interrotto. «Come lui, e come la ragazza che è venuta in visita a Rosa dei Venti e ci ha osservati, poco fa. Loro non esistono da sempre, sono stati creati, a differenza di noi Rih.»

«Creati per i nostri desideri», dissi, collegando che la giovane che avevamo incontrato sarebbe, prima o poi, arrivata sulla Terra per una specifica persona e sarebbe, poco alla volta, diventata nera.

Nera, per la realizzazione di un umano. Il colore della gioia più dolce, nella pelle sacrificata di un Lie.

«Sono proprio qualcosa d'altro rispetto a me, e alla gente di qui», specificò, lanciando occhiate distratte ai suoi simili, che di tanto in tanto si soffermavano nella sua direzione, probabilmente a causa mia. «Non si è mai visto un Rih con un tatuaggio delle Fonti addosso, se vuoi puoi controllare... nessuno di noi esaudisce desideri.»

Avrei voluto domandargli che cosa ci facesse allora vicino a Siro quella volta che mia nonna Iside li aveva visti in strada, e perché si fosse interessato della mia famiglia tanto da scrivere un biglietto di scuse, e per che cosa poi, ma tacqui.

Lui notò che mi ero persa una dimora alla mia destra, più pensierosa di quando eravamo passati da Capo d'Ingresso, ma non rallentò l'andatura, forse per evitare eccessive domande sui suoi proprietari da parte mia.

Guardandoli meglio, i suoi capelli, come quelli di tutti coloro che vedevo, parevano soffici alla luce della stella, e avere una tonalità di colore, per quanto somigliante alla nostra, inesistente sulla Terra.

La sua, caramelle di liquirizia sul mogano.

«So che conoscevi un Lie di nome Siro», mi sentii di tirare fuori dal suo passato con Agata, anche se poteva non gradire il mio rivangare, e io osservai un irrigidimento dei muscoli del suo pallido volto.

«Ho perso i contatti con lui», mi disse, con una ghiacciata malinconia su cui scivolai, su cui parve scivolare pure lui. «Da molto tempo.»

Bentornati a Rosa dei Venti con i misteri di Emar! Non sappiamo ancora chi sia con precisione, ma ci avviciniamo a capirlo. Su Siro, ci sono  ancora punti di domanda. Chissà se avete le vostre supposizioni a riguardo di questi due personaggi. Adesso che abbiamo introdotto i primi tre Territori di Saiph, stiamo iniziando ad avere anche un fantasy worldbuilding in questa storia, partita con un'ambientazione italiana. Spero che il breve tour sulla stella vi sia piaciuto, fatemi sapere nei commenti e/o messaggi privati le vostre impressioni, e lasciatemi un voto a supporto ❤

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