Capitolo 3.1

Stella e vita


Mi scrutò da capo a piedi, le labbra carnose ancora curvate in un mezzo sorriso.

Era così fuori dall'ordinario, quel ragazzo, che mise sul serio alla prova la resistenza del mio cuore, già agitato per quanto accaduto prima.

Indugiò su di me solo una frazione di secondo, o forse due, ma a me sembrò molto di più, e allo stesso tempo troppo poco.

Seguii il suo sguardo fino in basso, e lì mi accorsi di un dettaglio che non avevo ancora notato, nella rapidità dei nostri incontri.

Una macchia nera di circa due centimetri, un disegno impresso sulla pelle del suo polso, che ricordava la forma della lettera k.

«Comunque, grazie», mi uscì, in un soffio, riattraendo i suoi occhi, chiari come vetri di zucchero, nei miei. «Per essere intervenuto poco fa e aver...»

«Bruciato quei due?» continuò per me, vedendomi in difficoltà.

«Sì.»

Fece un passo indietro, sul cemento dissestato di quella losca via, e io cercai di calmarmi, facendo una serie di respiri profondi.

Zeno, eh?

Non era facile stargli di fronte, non riuscivo neanche a fingere con me stessa di non aver avuto la sua eterocromia dipinta dietro i pensieri costantemente, dopo il primo incontro, eppure lui aveva appena ammesso di essere pericoloso.

Deve esserci qualcosa che non va in te, Ester. Ha rovinato le braccia di due persone, e seppur lo meritavano, le ha infuocate in pochi secondi senza battere ciglio.

«Non mi chiedi come ci sono riuscito?» domandò, quasi ne fosse risentito.

«Avrei una risposta?»

Si voltò di profilo, a guardare un punto indefinito nel vicolo in cui ero inconsapevolmente finita, i capelli biondi arricciati da ali trasparenti di vento, e lo sguardo pensieroso.

«Non ora e non qui.»

Mi concentrai di nuovo sul suo e mio biglietto, come se le parole che avevo scritto da bambina potessero celare quel qualcosa che lui voleva e non voleva dirmi.

Avrei dovuto lasciar perdere, sarebbe stato più saggio, e forse più sicuro, l'odore di bruciato girava ancora intorno a noi, acre, ma non volevo finire a pensare a lui con rimorso.

«Allora quando e dove?»

«Sono i tuoi desideri, quelli, vero?» chiese, di rimando, indicando il nostro foglio condiviso, che tenevo ancora gelosamente in mano.

«Di quindici anni fa», precisai.

«Sono quelli i più forti di tutti», commentò, in modo inaspettato, rilassando i muscoli del viso. «Quelli veri, puri, che durano nel tempo.»

«I più forti?»

«Si è sempre un po' bambini dentro», si spiegò. «Anche quando la vita con gli anni porta a indurirsi, a chiudersi, e a nascondersi. La verità è che si è sempre quei bambini di una volta.»

Rimasi senza più frasi da dire, a riflettere sulle sue. Mai nessuno di cui conoscevo solo il nome mi aveva colpita in modo così totale nel giro di pochi minuti.

Un ragazzo di strada, visto due sole volte, mi stava portando a guardare in me stessa, a pensare alla mia infanzia e a come ero diventata.

«Adesso scopro che sei un filosofo», ironizzai, cercando di non dare troppo a vedere quanto fossi piacevolmente stupita, oltre che ingenuamente attratta. «O un insegnante in una scuola di bambini.»

Rise, senza smentire nessuna delle due ipotesi, e la sua risata mi sembrò un suono tanto malizioso da produrre in me una sua inopportuna e ispirante musica.

«Il primo dei tuoi desideri è il più facile: Voglio riempirmi gli occhi di Bellezza e di stelle», recitò, facendomi sentire le guance in fiamme.

«Ma che...?! Li hai imparati a memoria?»

«Sono solo tre, non è poi così faticoso ricordarli, sai?» fece notare, divertito.

«Qualsiasi sia la ragione per cui hai avuto quel foglietto, sappi che sei uno spione!»

«Spione?» ripeté, incredulo, scuotendo la testa con un sorriso di amichevole scherno. «Se non volevi che i tuoi desideri venissero letti, potevi evitare di abbandonare il biglietto su una panchina qualsiasi.»

«Ero piccola», mi giustificai, non sapendo in che altro modo ribattere a quelle iridi, che facevano scintillare perfino i calcinacci ammucchiati ai nostri piedi.

«Certo, certo.»

«Davvero, eh!»

Quel... Zeno, sapeva già quali erano i miei desideri più forti senza essere mai uscito con me. Era come se si fosse trovato nel cortile del mio cuore senza aver nemmeno avuto il bisogno di bussare.

«Ora rispondo a una delle tue domande», si decise. «Il dove è il Parco di Montececeri e il quando è sabato pomeriggio per le tre.»

Non si accertò nemmeno se a me andava bene, lo diede per scontato, come se già intuisse che avrei fatto qualsiasi cosa pur di essere libera quel giorno a quell'ora per lui. O... lo sperasse.

«Okay.»

Mi stavo comportando in modo sconsiderato. Stavo facendo una follia, un grande salto nella crepa di un vulcano. Avevo visto che Zeno poteva letteralmente ustionare, in qualche modo che non conoscevo e che di umano aveva ben poco, ma avevo accettato lo stesso un appuntamento con lui.

E non mi importava se sarei potuta finire bruciata, come quei malviventi, e se in fondo ne ero spaventata.

Avrei corso il rischio.


Forgiato nel fuoco del mistero, ardi nei miei pensieri, alzandoti dalle ceneri, per mostrarmi le tue mani roventi. Oh quanti passi incerti sto facendo con te, e quanti ancora ne farei.

«Ti sei mai chiesta quale sia l'origine del tuo nome?» domandò il ragazzo, dopo essersi offerto di riaccompagnarmi indietro per ricongiungermi alla mia amica.

Era una domanda insolita per iniziare una conversazione dopo essere rimasti senza argomenti, camminando insieme come due persone normali.

«A quanto ne so, dovrebbe derivare da Ishtar, una antica dea babilonese», risposi, mentre un malsano impulso mi guidava a cercare di sottecchi la curva delle sue labbra serrate, e il suo mento cereo.

Lui sembrò poco convinto, anche se sulle prime non disse niente, lasciandomi un indecifrabile silenzio che accentuò il mio imbarazzo e la mia agitazione.

Subito dopo, notai Emma e suo padre, che dovevano averci individuati da lontano, e stavano venendo spediti verso di noi, sollevati, come poche volte li avevo visti.

Ero certa fossero stati preoccupati che mi fossi persa, o che mi fosse accaduto qualcosa di brutto, come in effetti era stato, anche se non riuscivo più a separare il brutto dal bello, in questo assurdo e unico momento.

«A quanto ne so io», proseguì il ragazzo, fermandosi prima che ci potessero raggiungere, scaldandomi con uno sguardo diretto, serio. «Ester deriva da un termine persiano, e significa stella o astro.»

Il mio nome, una stella?

Ora che ci pensavo, lo avevo letto da qualche parte una volta, ma era stato tanto tempo fa.

«E il tuo, invece?»

«Pare che Zeno derivi da una parola greca che significa vita, vivere.»

Ester e Zeno.

Insieme, stella e vita.

Scrivo spesso con la musica di sottofondo. Le canzoni mi aiutano a entrare nei personaggi più facilmente. Un brano per questa parte è "Disciples - On my mind", curiosi di ascoltarla? È come se la musica mi facesse entrare in un'altra dimensione. Molto di quello che leggerete di mio lo devo a lei. Succede anche a voi? ❤

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