Capitolo 19.2

Un quarto d'ora dopo, il ragazzo si presentò alla mia soglia ripulito, le punte nerastre e bluastre dei capelli ancora bagnate di quell'acqua che da sotto il soffione aveva potuto ammorbidire ogni sua spigolosità.

Invidiabile.

Il colore bianco della sua camicia era un tocco di purezza sul fisico slanciato, il colletto ripiegato sulla sua pelle un simbolo di maschile delicatezza, ma quei bottoni in alto che non aveva chiuso...

«Tutto a posto?» domandò, distraendomi dalla porzione di petto nudo che stava proprio poco più su della traiettoria del mio sguardo vacuo.

«Sì, sì.»

Fin troppo.

«Prenotato?»

«Siamo in lista.» confermai, scendendo con gli occhi alla sua vita, dove la camicia finiva per nascondersi sotto pantaloni di tela scura.

«Ora

«Ora, cosa?» chiesi, provando disagio quando arcuò un sopracciglio nero.

«Della lezione.» specificò, appoggiandosi con una mano allo stipite della porta. Piegò il capo, incuriosito, facendomi evadere nel suo sguardo di nebbia e cenere, e aggiunse: «Cos'altro, se no?»

«È alle 16 di oggi.» risposi solo, sentendo la pressione nel silenzio che fece seguire, mentre spostò di nuovo il busto all'indietro, arretrando nel corridoio.

«Andiamo a lavorare.» chiuse.

                                                                     ✴

Seduta a gambe incrociate, avevo le increspature dell'Iseo negli occhi, e le ginocchia di Elias, nella stessa posizione, che sfioravano le mie.

Eravamo su una sola coperta, a guardare le foglie degli alberi sopra le due insegnanti arricciarsi per la brezza pomeridiana.

Il ragazzo era appoggiato distrattamente all'indietro sulle braccia, le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti, un maglioncino di lana sulle spalle.

Sentivo il suo respiro placido, come se essere nel verde di quel parco pubblico lo rigenerasse, dandogli nuova linfa vitale dopo ore di estenuante lavoro.

«Vi siete iscritti in venti.» iniziò una delle due donne, con un accento bresciano marcato, al microfono. «Per ora siete in quindici, ma io direi di iniziare lo stesso.»

«Sono d'accordo.» prese la parola l'altra, seduta vicino a lei, i tratti del viso segnati da almeno una cinquantina di anni tra i pescherecci di Monte Isola. «Pian piano si aggiungeranno gli altri.»

«Io sono Maria e lei Marina. In rappresentanza di tutta Carzano, vi diamo il benvenuto alla nostra sessione sui fiori di carta. Quello che oggi vi verrà mostrato non è solo un altro modo di vedere la Festa di Santa Croce, ma anche un'occasione per viverla in prima persona, attraverso il suo significato più radicato.»

«Ciascuno di voi ha carta, forbici, colla, scotch, spago, e i colori che vi abbiamo distribuito.» elencò sua sorella, passando gli oggetti uno a uno nella sua mano per mostrarceli. «Tutti avete gli stessi identici materiali, tranne uno, il più importante.»

«Azzurro, bianco e giallo, eh?» parlò Elias sottovoce, mentre giurai di avergli visto comparire un breve sorriso di stupore, scomparso subito dopo.

«Questo.» s'inserì Maria, posandosi una mano adornata di anelli d'argento sul lato sinistro del petto, proprio sul cuore. «È diverso per ognuno.»

«Il nascondiglio dell'arte.» definì l'altra donna, con gli occhi vivaci, ed Elias si tirò su, più concentrato di quanto fosse all'inizio.

«Volete sapere di che cosa sono fatti i fiori di carta di questo paese? Allora prendete per mano il vostro vicino, come sto facendo io con mia sorella. Avanti.»

Ci fu un attimo di sconcerto tra i partecipanti, si guardavano tra loro senza capire, io stessa mi sentivo confusa per la richiesta.

A sorpresa, Elias posò la sua mano sul mio ginocchio destro, a palmo aperto, in attesa che mi decidessi a mettere la mia nella sua.

Non cercai i suoi occhi, i nostri palmi si unirono senza contatto visivo. Sussultai, nel sentire le sue dita prendere il sopravvento e piegarsi negli spazi vuoti delle mie, fino in fondo.

«Ora possiamo dirvelo, il segreto dei fiori di carta di Carzano è la condivisione. Non esiste fiore appeso per le nostre strade che sia stato creato in solitudine. Dietro ogni pezzo, ci sono state le mani e i nascondigli dell'arte di due persone.»

«Non si è mai soli.» aggiunse Maria, distendendo il braccio verso ognuno di noi. «Questo è il vero senso della Festa, quello che esprimono i fiori di carta sotto cui si può passeggiare in questi giorni.»

«Non li guarderete più allo stesso modo, vero?» intuì Marina, con un sorriso comprensivo, rivolgendosi soprattutto ad alcuni nelle prime file. «Ora che sapete che ogni fiore comunica una sua storia, quella dell'incontro dei suoi due creatori.»

«Quindi lavoreremo a coppie?» sentii una voce giungere da dietro, insieme a dei passi incombenti.

Guardai Elias, e lui ricambiò la mia occhiata, in un sorriso a labbra chiuse, che portò poi sulle nostre dita affusolate, sorrette le une dalle altre.

«Sì, e Lei è arrivato giusto in tempo.» rispose Maria, suggerendo la posizione da prendere. «La ragazza laggiù non è più sola, così. Ora siete in sedici persone, divise in otto coppie.»

«Bene.»

Il nuovo arrivato mi passò accanto, portandosi dietro un alone di mistero che fece sussurrare alcune ragazze nelle file davanti, colpite dalla sua distruttiva bellezza, e dalle sue mani...nere.

Sgranai gli occhi, incredula, pensando che non era possibile, che lui non si sarebbe mostrato a questa maniera, non ora che era già... Strinsi per reazione la mano di Elias, e lui restò immobile, a subirmi inerte.

Il cuore fece un tonfo al suolo, non appena vidi il ragazzo ritardatario sorridere alla ragazza libera, e lei ammirarlo come se fosse quel dono del cielo che davvero era, nonostante la stranezza del colore del dorso delle sue mani, soffice manto di oscurità.

Zeno aveva un maglione a collo alto, marrone come l'autunno in cui ci eravamo conosciuti, abbinato ai pantaloni di una tonalità molto più scura, e a una giacca di pelle che aveva tenuto finora su una spalla, con noncuranza.

Si girò a guardarmi con una serietà che mi mandò in crisi, ma il messaggio della sua occhiata fu fuorviante, perché subito dopo si sedette di fianco alla ragazza, vicino, vicinissimo, e iniziò a scherzare insieme a lei.

Elias circondò le sue ginocchia con le braccia, poggiandovi il mento sopra, raccolto nelle sue idee, riflessivo e meditabondo.

«Tutti farete lo stesso fiore, in questa lezione.» si fece sentire ancora una delle due sorelle, mostrando la scatola con i tre colori. «Seguendo noi. Ma vi assicuro che al termine, vi sembrerà di aver fatto creazioni completamente diverse le une dalle altre, seppur con gli stessi strumenti e consigli.»

«Si tratta di uno tra i fiori più nobili.» anticipò Marina, sollevando un vero gambo verde su cui spuntavano tanto delicati quanto meravigliosi petali azzurri, intorno a un cerchio giallo. «Il fiore del ricordo, dell'amore e dell'affetto eterno.»

Non sta accadendo davvero.

Non è un...

«Lo sapevo.» sussurrò Elias, a metà tra il dubbioso e il timoroso. «Il Myosotis è sempre, e dico sempre, sovrastimato.»

«State per creare i vostri primi Nontiscordardimé.»

Mi sono chiesta come sarebbe poter fare un fiore di carta insieme a un ragazzo, da questa domanda è nata l'idea di questa parte. Elias ed Ester dovranno creare un Nontiscordardimé, che dite, ce la faranno? Zeno dovrà crearne uno con la ragazza appena conosciuta, che non sembra disdegnare affatto. Riusciranno ad aprire il nascondiglio dell'arte che si trova dentro di loro o si agiteranno tutti? Spero vi sia piaciuto, fatemi sapere nei commenti. Il nuovo aggiornamento sarà, udite, udite, domani sera!

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