Capitolo 17.2

Era completamente in me, spregiudicato, insediato dentro fino in fondo.

Issato sulle braccia, i muscoli della schiena tesi, lo sguardo famelico.

Squarciava.

Saiph!

Presi un respiro di salvezza, il suo busto tra le mie gambe, la sua mascolinità che mi allargava...

Riempita tutta.

Fu come accogliere non solo un ragazzo, ma la grandiosità dell'intero creato.

I miei desideri, la magia che albergava in lui, sembrava quasi di sentirli solleticare sottopelle, ora invasivi, scoppiettanti.

Le sue labbra sfiorarono appena le mie, morbide, in contrasto con quella parte di lui che, vigorosa, si era assestata.

Strinsi le sue mani fino a farmi male, la potenza del suo corpo di stella ancora quieta, ad abituarsi semplicemente a essere dove era.

I capelli d'oro ricaduti sulla fronte, gli occhi specchi di sola vita, Zeno aveva l'espressione migliore che avesse avuto dal nostro primo incontro.

Era presente, nel qui e nell'adesso, tuffato nella mia calda umidità, a ribellarsi al tempo, a possederlo con la sua energia.

Sapeva che un istante nasceva e moriva in sé stesso, senza sosta, ma noi, vivendolo insieme, potevamo farlo diventare eterno.

Dondolò appena, e il peso del suo corpo si concentrò tra le mie cosce, dandomi una botta di beatitudine che mi fece spalancare la bocca.

Si chinò a darmi un bacio flemmatico che prolungò quella sensazione e la fece scendere giù per la mia gola, fino al centro del mio animo.

Lui era dappertutto, sulla mia lingua, nella mia femminilità, mentre io rimpicciolivo e scomparivo per sentirlo di più.

Il mio respiro consumato nel suo palato, udivo il mio cuore battere impazzito il suo nome, farlo scorrere nelle mie vene, mischiarlo al sangue.

Ritirò le sue labbra, e catturò i miei occhi, radiosa speranza e torbida passione, muovendosi lentamente all'indietro.

Stava per uscire del tutto da me, ma vedermi ancorare le gambe ai suoi fianchi per impedirglielo, lo fece andare fuori di testa.

Riaffondò subito, un colpo secco che sentii perfino alla mia pancia, e che mi fece sussultare e rantolare senza ritegno.

Dii-o.

Sprofondò un'altra volta, più forte, come un asteroide che si scontrava con la terra, e la spaccava a metà affinché si potesse ricomporre in modo diverso, e io mi contorsi sotto di lui.

Rinculò di nuovo, irrigidendosi a dismisura, guardandomi dimenare per lui nel letto cosparso della sua sfavillante polvere.

«Ester, vieni con me.»

Penetrò la mia madida intimità a ritmo crescente, inasprendo le spinte, aumentando la graduale frizione tra noi.

Mi fece gemere senza controllo mentre si prendeva il mio tutto e lo faceva suo.

Tra le mie grandi labbra perforate da lui, sentii il centro pulsare di vita, raccogliere la gioia e il dolore dai suoi duri affondi, e gonfiarsi.

Era un pozzo pieno, poteva traboccare da un momento all'altro, e proprio quando udii suoni rochi uscire dalla bocca del ragazzo, capii che sarebbe esondato pure lui.

«Zeno, io...»

«Ora, piccola...ora...ah.»

Le sue natiche convogliarono la loro potenza, mi fecero scoppiare, e io gridai alla nostra costellazione, quando ondate intense mi travolsero sotto il suo andirivieni, e mi squassarono tutta.

Sibilò, e si lasciò andare anche lui, liberandosi dall'eccitazione, perdendo il controllo su di sé, esplodendo in basso come in tutto il resto del suo corpo.

Ribollendo di piacere.

Ora nucleo scottante di stella.

Si piegò convulso, godendomi stretta al suo petto, in quel ciclone che ci stava colpendo all'unisono, la sua bocca sul mio collo, a invocare in un lamento...

Solo vita.

Nient'altro.

                                                                           ✴


Ero in piedi su un terreno sassoso, grigio e polveroso, attorno a me nubi scure erano addensate in un'aria rarefatta, irrespirabile.

Tossii, ma fu solo istinto, perché in qualche modo stavo bene, e il caldo vulcanico che avvertivo sulla pelle non mi bruciava.

Mossi qualche passo, chiamando Zeno, facendogli sapere che stava accadendo qualcosa di strano, ma lui non mi rispose.

Ero in un luogo che non conoscevo, desolato eppure avvolgente, in cui non avevo timore a camminare da sola.

Finii su alcune schegge appuntite, rocce che quella nebbia gassosa mi aveva nascosto, ma non mi ferii come mi aspettavo.

Udii una voce lontana, non apparteneva nessuno che riuscivo a scorgere, confermò che doveva esserci qualcun altro oltre a me.

All'improvviso una sagoma si formò da un intreccio nuvoloso sulla via che mi stavo aprendo, e due globi di luce si accesero su di me.

Erano occhi di donna.

«Bentornata.» mi salutò Zeno, accarezzandomi un braccio con le labbra. «Hai riposato per bene vicino a me, eh?»

«Mmm.»

Mi stiracchiai, ripensando ancora a quello che doveva essere stato solo un sogno nebuloso.

Non avrei voluto che finisse, non proprio quando quel qualcosa o qualcuno si stava mostrando a me.

«Merito tuo. Ero in pace, finalmente.»

Fece una risatina, e si tirò su, rigirandosi sulle lenzuola stropicciate.

«Ti sei addormentata prima che potessi farti vedere.» continuò lui, sorridente come un raggio di luna che fendeva il buio.

Sollevò il mento diafano, la bellezza di un peccatore redento, e si sfiorò il collo con le dita, mentre io rimasi folgorata, stretta in una morsa di dolore che parve strapparmi il cuore dal petto.

«È...tutto nero.»

Presi a tremare sotto il suo sguardo limpido, interrogativo. L'avanzata del tatuaggio era inarrestabile, come lo erano...i miei sentimenti per quel ragazzo.

Oh, no.

No, no, no.

«Non è poi così terribile, sai.» mi rassicurò, notando una reazione diversa da quella che si aspettava da me. «Ti ho fatto provare davvero qualcosa, questa notte.»

«Zeno, io...»

Non posso farlo.

Non chiedermelo.

«Vado fiero dell'oscurità che si è aggiunta ora, Ester.» disse, mentre io scendevo dal letto, barcollando, come narcotizzata da lui.

«...non voglio farti del male.»

Lo dissi tra le lacrime, come un avvertimento di una decisione già presa, e distante dalla tentazione del suo corpo chiaroscuro, recuperai il mio vestito e quel minimo di lucidità che mi restava.

«Che cosa fai?» mi chiese, preoccupato per l'avventata serietà con cui mi stavo tirando indietro a lui, a un noi che aveva appena iniziato a esistere.

«Mi dispiace.» soffiai, mentre una voragine mi si ingrandiva nel petto a quelle parole. «Non possiamo più vederci, Zeno. Ti prego di non seguirmi, perché io non riesco piu' a sopportare di essere la causa del tuo nero. E se per colpa mia, attraverso quel tatuaggio, ti succedesse qualcosa? Ho...paura.»

Gli diedi le spalle, trattenendo i singhiozzi; non avrei mai voluto che lui mi vedesse così, volevo essere forte per entrambi, ma forse...chiedevo troppo da me stessa.

Non posso essere egoista.

Non posso stare con te.

Non se questo vuol dire...oscurarti.

Non mi voltai più a guardarlo, e lui non mi trattenne, quando sistemata, lasciai la sua camera e mi precipitai in strada, nella notte più cupa.


Ahi, massimo piacere e massimo dispiacere in questa parte. So che state gridando a Ester di tornare indietro, ma non può farlo. Non è facile per lei, quello che ha scoperto su Zeno l'ha sconvolta, e ora lei vuole salvarlo da quell'ultimo desiderio che lui deve farle esaudire: amare. Potete capirla, almeno un po'? E quel sogno che ha fatto...di che cosa pensate si tratti? Sarà importante, vi dico solo questo. Fatemi sapere cosa vi ha lasciato il capitolo, sono curiosa di leggere le vostre impressioni. A domenica prossima con l'aggiornamento!

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