Il Signore di Dunaneb
Colbec era il Signore di Dunaneb, una delle quarantacinque città stato che formavano l'impero a cui faceva capo il Signore assoluto Volcan. L'horcobolano però aveva una corporatura possente e questo portava i suoi sudditi a pensare che fosse l'unico in grado, su tutto Horcobolus, ad avere una concreta possibilità di strappare il titolo di Signore assoluto a Volcan. Colbec però non aveva mai preso in considerazione quella possibilità, e non per paura di non farcela, aborriva la violenza. Il motivo per cui aveva vietato alla sua tribù l'uso dell'energia oscura rilasciata dalle Essenze vitali. Per ottenerla queste venivano relegate in sfere e tenute prigioniere e se quella non era violenza, cos'altro? Ragion per cui aveva messo al bando l'uso delle sfere e per l'approvvigionamento di energia dovevano produrla con i vecchi sistemi.
Tenuto conto che l'aspettativa di vita non era breve, come quella degli Umani, loro potevano vivere, e in buona salute, fino a trecento cicli horcobolani, l'equivalente di cento Kadam, non era piacevole vivere tra stenti e privazioni dovuti a quella scelta. D'altronde, vivere in eterno era una scelta che poteva fare solo un pazzo, o chi aveva paura di trovare chissà quale mostro ad attenderlo dopo la morte. Vivere per sempre alla lunga annoiava e gli aethernani lo sapevano bene.
Pertanto, Colbec sperava di portare dalla sua parte chi ancora non aveva compreso che togliere la libertà a una vita senziente, per allungare la propria, fosse sbagliato. La sua strategia d'attacco era semplice, mettere in evidenza gli errori e gli orrori di una politica di espansione voluta e dettata da Volcan solo per il proprio tornaconto personale. Una scelta di vita scellerata in quanto non mirava a proteggere il futuro della specie, ma lo minava alle radici con la spasmodica ricerca di sempre più Essenze vitali. Poiché se il buco nero si fosse destabilizzato, la galassia in cui abitavano ne sarebbe stata turbata al punto che c'era il serio rischio di portare all'estinzione tutte le specie senzienti che la popolavano, dunque anche l'horcobolana.
Sfidare Volcan nell'arena sarebbe stata la scelta più facile e immediata per Colbec, ma avrebbe rischiato grosso, il signore di Horcobolus era un mostro sanguinario e non aveva la certezza di poterlo battere, anche se era altrettanto forte, se non di più. Però lui non poteva rischiare di perdere prima di aver messo in moto il movimento di liberazione. E poi poteva vincere in altri modi meno cruenti e pericolosi: se avesse portato dalla sua parte abbastanza Capi clan, le possibilità di farcela, e senza spargimenti di sangue, aumentavano in modo esponenziale.
Finora Colbec era riuscito a convincere il signore di Solimen e i Signori di Traudir e Fenir. Ma con soli tre clan dalla sua parte non l'avrebbe mai avuta vinta. Doveva portare dalla sua parte almeno la metà dei signori più uno. Poi, se avesse dovuto sfidare Volcan in un corpo a corpo nell'arena, non si sarebbe rifiutato: anche se avesse perso, per Volcan sarebbe stata comunque una sconfitta. Rimasto con una minoranza di Clan a sostenerlo, la maggioranza avrebbe reclamato nuove elezioni e a quel punto non sarebbe più stato rieletto.
Motivo che aveva spinto Colbec a imbarcarsi per Colimar, la città di cui il Signore conosceva molto bene. Erano amici di vecchia data ed era più che certo di poterlo portare dalla sua parte: Volcan incuteva timore in tutti, è vero, ma se riusciva a convincere Bersek che il Signore di Horcobolus non era poi tanto temibile, i Clan dalla sua parte sarebbero passati a tre. Ancora pochi per sperare di sopraffarlo, ma era il segnale che le cose stavano per volgere a suo favore.
«Hanno inviato una delegazione per scortarla, mio signore... cosa faccio? Vado o resto in attesa del suo ritorno?»
«Credo che sarò costretto a fermarmi per qualche giorno, perciò vada pure, la contatterò non appena terminata la visita di cortesia.»
«Come lei ordina, mio signore.»
Quando la navicella partì silenziosa, uno dei tre membri venuti ad accoglierlo si fece avanti e si presentò a Colbec. «Benvenuto a Colimar. Il mio signore si scusa per non essere potuto venire ad accoglierla, problemi sopraggiunti all'ultimo momento glielo hanno impedito. Io mi chiamo Abatraq e i due figuri dietro di me sono qui per far sì che nessuno ci importuni. Ogni tanto capita che qualcuno del ghetto si presenti qui allo spazioporto per fare le sue rimostranze ed è sempre meglio essere prudenti. Prego, se ora vuole seguirmi, una vettura ci porterà in centro città.»
Aperta la portiera, Abatraq attese che il Signore di Dunaneb si accomodasse all'interno dell'abitacolo per poi accompagnare la portiera senza sbatterla.
«E ditemi, Abatraq, come sta Barsek? Spero bene e... scusi, sono davvero curioso, ha sempre quel brutto vizio di riempirsi la pancia fino a scoppiare?» Colbec voleva sapere quanto Abatraq fosse vicino a Barsek: se confermava lo era.
«Sta bene, signore. Per quanto riguarda l'altra richiesta, non posso dire altro... Mi perdoni, signore, ma tutto quello che accade nelle mura della magione resta dentro.»
«Capisco e sono felice che la pensi così. Al giorno d'oggi è difficile trovare qualcuno di cui fidarsi, e questo sta a significare che dovrò vederlo di persona... e come sempre il suo signore mi dirà che non è vero che mangia troppo.»
Abatraq accennò lieve un sorriso e Colbec capì di trovarsi al cospetto di un horcobolano che non solo era vicino a Barsek per lavoro, ma doveva viverci insieme giorno e notte e divideva con lui ogni aspetto della quotidianità.
Dopo un breve tragitto nel nulla, solo deserto arido ovunque volgesse lo sguardo, Colbec vide apparire un puntino, che presto si trasformò in un agglomerato di abitazioni sparse a ventaglio ed entrati al suo interno si inserirono su una strada non troppo trafficata ai cui lati si susseguivano una dietro l'altra centinaia di umili abitazioni: quelle in cui risiedevamo la maggior parte degli abitanti di Colimar. Quelli che avevano deciso di non fare uso delle Essenze vitali e che per tale ragione dovevano procurarsi cibo ed energia con il lavorare sodo, come anche il suo Clan faceva da sempre. Ma non era una vita facile, l'impero osteggiava con ogni mezzo l'uso di energia alternativa: politica atta a portarli a scegliere di fare uso di quella rilasciata dalle Essenze vitali. Perciò insofferenza, inquietudine e rassegnazione gravavano sui volti di camminava per le strade assolate di una città lasciata al proprio destino. Camminavano come se non avessero una meta precisa e Colbec si ripromise che avrebbe fatto tutto il possibile per far cambiare le cose.
Quando la vettura uscì dalla linea di demarcazione che segnava il confine tra il ghetto e la zona popolata dai ricchi e potenti, apparvero le prime abitazioni residenziali, quelle di coloro che avevano scelto di fare uso dell'energia illimitata rilasciata dalle Essenze vitali e per questo potevano avere tutto ciò che desideravano senza limiti di sorta.
Mentre il veicolo correva per le vie della città, la cui opulenza dava il voltastomaco a Colbec, il quale pensava a come approcciarsi a Barsek, che aveva una paura spropositata di Volcan e convincerlo a passare dalla sua parte sarebbe stata una partita ardua da vincere. Ma non impossibile, bofonchiò tra sé speranzoso.
«Siamo arrivati, signore.» Arbataq era sceso e dopo aver fatto il giro intorno alla vettura aveva aperto la portiera dal lato opposto: «prego, se ora vuole seguirmi, le farò strada fino alle stanze del mio signore.»
«Grazie e... perdoni la mia curiosità, ma lei preferisce frutta e verdura quale alimento primario, o come la maggioranza ha optato per l'energia oscura rilasciata dalle Essenze vitali?»
Arbataq sogguardò Colbec sconcertato e poi, con tono serio e uno sguardo come a volerlo avvisare di stare attento a ciò che diceva, lo rimbeccò con un padre premuroso: «Come può pensare una cosa del genere, signore. Come tutti, anche io sono fedele al dettato del Signore assoluto di Horcobolus. Quindi non potrei mai contravvenire al suo volere.» Aveva detto ad alta voce l'ultima parte, così che lo sentissero le due guardie di scorta.
Colbec si rese conto di essere stato imprudente, oltre che sciocco, e cercò di ovviare alla mancanza di tatto mostrata. «Non volevo convincerla a nutrirsi di... insomma, ero solo curioso, tutto qui. Non avevo alcuna intenzione di interferire con il suo credo.»
Se Volcan finora non aveva raso al suolo Solimen, Dunaneb e Fenir, era perché non riteneva che fossero una minaccia per lui. Almeno, non nell'immediato. Quale Signore assoluto di Horcobolus, poteva accettare che due o tre Clan non fossero d'accordo con il suo pensiero espansionistico. Però se fosse venuto a conoscenza che Colbec ora si trovava a Colimar, niente e nessuno, su tutto il pianeta, avrebbe potuto convincerlo che la sua visita all'amico Bersek non fosse altro che un inizio di rivolta atta a detronizzarlo e sarebbe passato a distruggere tutte e quattro le città una dopo l'altra, a iniziare proprio da lì.
La magione di Barsek dominava la città sottostante ed era stata restaurata di recente in previsione di una visita da parte di Volcan. L'intera struttura era composta da tre piani, due semipiani, una scala d'accesso e un ascensore a beneficio dei pigri.
Di pianta quadrangolare, l'edificio in origine era strutturato all'interno in tre piani in pietra e altrettanti in legno, a cui si accedeva mediante una scala a chiocciola. Però ora della sua esistenza rimaneva solo una piccola testimonianza nella parte superiore.
Le aperture si presentavano con archi a sesto acuto alternati ad archi a tutto sesto. All'esterno di un corpo avanzato a difesa della porta d'ingresso, la quale racchiudeva un fossato e un ponticello in pietra che consentiva il passaggio di un visitatore alla volta. Ma al momento il muro del corpo avanzato era ancora in ristrutturazione, mentre il fossato e il ponticello erano stati interrati. Il primo piano della dimora lo avevano adibito a sala conferenze in un'ala, nell'altra invece trovava posto lo studio di Barsek.
Sugli altri due piani vi erano le cucine, la sala per le feste, le camere per gli ospiti, la servitù e infine i magazzini per le merci e le celle di detenzione. Insomma, nel maniero non mancava proprio nulla.
Arbataq attraversò per primo il ponticello, seguito da Colbec e dalle sue guardie misteriose, questo pensava di loro il signore di Dunaneb, tenuto conto che non avevano ancora aperto bocca.
«Siamo quasi arrivati, signore. Svoltato l'angolo e salite le sca-» Arbataq non ebbe modo di finire la frase, Barsek gli venne incontro.
Però il signore di Colimar aveva corso e si presentò a Colbec senza fiato. «Scusami tanto... amico mio... ho appena ricevuto una missiva da parte di Volcan... ecco, lui dice, e senza mezzi termini, che vuole vederci tutti e subito! Perciò dobbiamo partire per la capitale... E subito... sai anche tu che cosa potrebbe farci se lo facessimo aspettare. Sono certo che quel pazzo invasato raderebbe al suolo una delle nostre città per questo... ah, tranquillo, ho avvisato i tuoi ad andare, partiremo con la mia navicella. Goccia è l'astronave più veloce ed è pronta a partire. Vedrai, arriveremo a Phatos in men che non si dica.» E voltatosi verso Abatraq «non è forse così?»
«Sì, Vostra magnificenza. Senza alcun dubbio. Goccia non ha rivali in quanto a velocità e bellezza.»
Risaliti sulla stessa vettura che li aveva portati fin lì, neanche il tempo di imbastire una discussione arrivarono allo spazioporto.
Arbataq scese e s'incamminò di corsa verso l'astronave più bella che Colbec avesse mai visto e pensò che il nome che le avevano dato era azzeccatissimo: la struttura portante somigliava in tutto e per tutto a un'enorme goccia d'acqua e come tale il colore era di un azzurro vivo, quasi accecante.
I motori dell'astronave erano stati avviati e quindi si trovava sospesa a mezz'aria con la punta rivolta verso il basso. Non si vedeva alcuna apertura dall'esterno, se non quella d'entrata, ma Colbec sapeva che dall'interno si sarebbe visto fuori come se non ci fossero state paratie a proteggerli. Ma di solito la trasparenza non era totale, non sarebbe stata piacevole la sensazione di trovarsi sospesi nel vuoto per tutto il viaggio. Goccia era la quintessenza della tecnologia horcobolana e Barsek ne andava fiero.
«Perdonami, amico mio, tra poco saremo arrivati e... visto che non avremo il tempo per discutere del motivo che ti ha portato a farmi visita, ti prometto che lo faremo al ritorno e con tutta calma. Affrontiamo un problema alla volta, che ne dici?»
«Hai ragione. Sentiamo prima cosa ha da dirci Volcan... Sono preoccupato. Chissà quale sarà il motivo che lo ha spinto di punto in bianco a programmare una riunione di tutti i capi Clan al completo senza preavviso... Qualcuno di noi ci rimetterà le squame, me lo sento.»
Città: Phatos
Palazzo imperiale
La città di Pathos si poteva definire il luogo degli eccessi. Una megalopoli popolata da circa mezzo miliardo di horcobolani e Volcan faceva si che tutto funzionasse a dovere in modo che potessero divertirsi e vivere senza pensare a nient'altro. C'erano alberghi di lusso e case da gioco che accoglievano i più facoltosi i quali potevano sfogare i loro impulsi: femmine bellissime e avvenenti li accoglievano tra le braccia per soddisfare le loro voglie più libidinose: Pathos da quel punto di vista poteva definirsi, e a buon ragione, il crogiolo della perdizione.
Ma si potevano anche gustare cibi ricercati, come la carne e soprattutto il buon vino terrestre: anche se si nutrivano di energia oscura e non avrebbero avuto bisogno di quegli alimenti per sopravvivere, al piacere del buon cibo, accompagnato dal buon vino non riuscivano proprio a rinunciare. Una predilezione che Volcan conosceva benissimo ed era per questo motivo che riusciva a tenere al guinzaglio la maggior parte dei capiclan reggenti le città stato.
Il palazzo imperiale si trovava decentrato dal cuore pulsante della città e, giacché il Signore di Hocobolus amava attorniarsi delle cose belle dei tempi passati, quelle che raccontavano una storia, la sua magione ne era il simbolo per antonomasia. Magione immensa dove Volcan si era stabilito per successione e il complesso includeva al suo interno anche dei magnifici giardini: come il giardino dei fiori blu e l'area dei boschi sempre verdi.
Solo dopo che le guardie imperiali avevano controllato le loro generalità, i due capi Clan riuscirono a varcare i cancelli e, una volta all'interno, si trovarono di fronte alla fontana del Drago rosso: nome che le avevano affibbiato per via dell'imponente rettile che la sormontava e dalla cui bocca usciva uno zampillo d'acqua al posto del fuoco.
Passati oltre, proseguirono lungo un viale che li avrebbe portati all'interno della struttura, là dove vennero accolti da un lungo corridoio che serviva a mostrare ai visitatori i volti di chi aveva risieduto nel palazzo imperiale prima di Volcan. Una serie di ritratti riproduceva i vari signori assoluti di Horcobolus che si erano passati lo scettro. I quali si potevano ammirare da ambo i lati del corridoio ed erano posti in ordine cronologico, così come si era succeduti. Storia cronologica che più o meno conoscevano tutti gli horcobolani e quindi signori di Dunaneb e Colimar passarono senza volgere loro nemmeno uno sguardo di sfuggita.
Alla fine del corridoio c'erano le scale che portavano ai piani alti e i due salirono fino ad arrivare al piano su cui si trovava la sala del Consiglio. Fuori dalla porta c'era fermento, gli altri capi clan erano già arrivati e se non erano ancora entrati la colpa era dovuta a loro.
Infatti glielo fecero notare subito quando li videro: «Forza, signori! Mancate solo voi. Abbiamo tutti da fare e, prima ci sbrighiamo, prima ce la filiamo.»
«Datemi il tempo, signori... non sono più in forma come una volta. Voi intanto entrate, invece di parlare a sproposito.» Barsek era infastidito dal richiamo, e poi non vedeva di buon occhio nessuno di loro, pensava che fossero dei lecca squame della peggior specie.
Entrati per ultimi, Barsek e Colbec presero posto sulle loro rispettive poltrone. Così subito dopo fece il suo ingresso trionfale Volcan. Il Signore di Horcobolus però non si accomodò, restò in piedi e, dall'alto della sua statura, li guardò tutti dall'alto in basso uno dopo l'altro. E quando posò il suo sguardo sull'ultimo dei convenuti, prese la parola. «Era ora che arrivaste... Ancora un po' e... lo sapete cosa avrei fatto, perciò passiamo al motivo del perché vi ho fatti venire qui senza preavviso. Il fatto è che a breve sarò costretto a partire e mancherò per almeno... diciamo, ecco, circa otto Kadam... forse meno, il lasso di tempo deriverà da come reagiranno... Chi? Ma gli aethernani se non mi restituiranno ciò che mi è stato portato via. Non temete, non dichiarerò guerra ai Signori del tempo, terrò la coda tra le gambe... si fa per dire, per ora. Ma di questa svolta vi renderò partecipi a tempo debito.. è ancora presto.»
Tutti i presenti guardarono Volcan perplessi. Ma nessuno aveva il coraggio di controbattere e riprese a parlare, però il tono della sua voce da sobrio e pacato divenne cupo e roco. «Vorrei sapere perché sono sempre l'ultimo a sapere le cose.»
Tutti i presenti si guardarono l'un l'altro, come a dire perché dice questo a noi? Allora Volcan questa volta li additò uno dopo l'altro per poi il puntare il dito sul colpevole e passare alle spiegazioni con più veemenza. «Mi riferisco a te, Colbec. Quando ho saputo che eri giunto qui a Pathos, in compagnia di Barsek, mi sono detto quale fosse il motivo che ti avesse spinto a Colimar. Perché lì eri e sai cosa mi è balzato per la mente? Questo! Vuoi vedere che il Signore di Dunaneb ha incontrato il Signore di Barsek, e a mia insaputa, perché vuole portare alla sua causa uno dei miei sostenitori più fidati? E sai poi cosa mi è giunto all'orecchio, che hai detto a uno dei suoi collaboratori se preferiva nutrirsi di frutta e verdura. Bene. Anzi, male... ora cosa dovrei fare di te e delle tue idee da sobillatore?»
Il silenzio calò assoluto e alcuni capiclan smisero anche di respirare: in special modo Abacuq e Traudir, sembrava mancasse loro l'aria.
Colbec stava per scusarsi quando Volcan presa la pistola disgregatrice, la puntò verso di lui e tirò indietro il grilletto.
Il raggio di luce fuoriuscito dalla canna colpì in pieno petto Colbec, ma il Signore di Colimar non era fortunato come Bargund, Ataire e Sotrianic, il suo corpo non si era trasformato in particelle subatomiche, si capiva che lui era morto stecchito, il raggio aveva lasciato un buco nel suo petto da cui usciva un fumo nero e denso di un odore insopportabile.
«Questo è ciò che accade ai traditori. Dunque badate bene a quello che farete durante la mia assenza. Ah, al mio rientro nominerò un nuovo Signore di Dunaneb, fino ad allora farà le veci il sottoposto del defunto Colbec. Adesso devo proprio lasciarvi, ma prima voglio rammentarvi questo: anche se io non sarò presente, controllerò ogni vostro spostamento. Ho occhi ovunque, per cui comportatevi come se fossi presente se non volete fare la stessa fine di Colbec. In tanti anelano il vostro posto e non sarà un problema per me trovare qualcuno che vi sostituisca. Horcobolano avvisato mezzo salvato. Ora potete fare rientro alle vostre città e badate, non voglio sentire discussioni in merito alla morte del Signore di Colimar, lo farete dopo se proprio non potete farne a meno.»
Nessuno proferì parola e usciti ognuno prese la via per lo spazioporto e si imbarcarono sulle rispettive astronavi senza scambiarsi neanche una parola: avevano paura di esser visti da qualcuno vicino a Volcan che poi glielo andasse a riferire.
Barsek era furioso, non poteva credere che Volcan fosse arrivato a uccidere un Capoclan. E senza una ragione plausibile, se non che a suo parere complottasse con altri per togliergli il titolo di Signore assoluto di Horcobolus. Una scusa banale e per questo non riusciva a perdonarlo e mai lo avrebbe fatto. Colbec era come un fratello e la sua morte diventava la scintilla che riprese ad alimentare in lui un fuoco che non si era mai spento. Ne aveva le scatole piene dei soprusi che Volcan perpetrava su ogni specie e soprattutto della sua cattiveria gratuita. Per cui rese edotto Arbataq su quanto era successo, e senza tralasciare nulla.
«Volcan ha ucciso il mio migliore amico e ora ciò che desidero di più è fargliela pagare cara. Ma prima di muovermi in tal senso, devo sapere se tu sei con me, Arbataq... e devo dirmelo ora!»
«Ma certo che sono dalla sua parte, signore... io resterò sempre al suo fianco, qualsiasi cosa accada.» Presa la pistola disgregatrice, la teneva in un fodero sul fianco destro, Arbataq si voltò e sparò prima a delle guardie, che ferì a morte, poi all'altra e fece la stessa fine. «Le basta come prova, mio signore? Di sicuro sono stati quei due a spifferare tutto a Volcan.»
«Sì. Concordo. Resta il fatto che Volcan comunque non avrebbe dovuto uccidere Colbec, almeno non prima di aver sentito le sue motivazioni. Non ha avuto il tempo ad aprire bocca per discolparsi che lo ha freddato. Ma il mio amico non meritava di fare quella fine ingloriosa... soprattutto perché lui era uno dei buoni. E so anche perché Volcan lo ha eliminato, aveva paura che potesse sfidarlo nell'arena e perdere l'incontro. Però se Volcan crede che abbia fermato il suo pensiero, si sbaglia di grosso, continuerò io a portare avanti il suo sogno e per farlo combatterò finanche con lo sfidarlo e ucciderlo come avrebbe fatto lui. E tu, Arbataq, dovrai sostenermi in tutte le fasi di questa difficile scalata al potere.»
«Mi dica cosa vuole che io faccia per lei... senza riserve, mio signore.»
«Grazie per il sostegno. Allora per prima cosa torniamo a casa. Avevo fatto preparare per Colbec un rinfresco con frutta e verdura e mi dispiacerebbe sprecarla. La mangeremo noi e poi, dopo una bella dormita, procederemo con l'improntare un piano d'attacco. Dopodiché partiremo per testare se ci sono altri capiclan che vogliono unirsi alla nostra battaglia. Dopo quello che hanno visto fare a Volcan, sono sicuro che troveremo a altri disposti a spodestare una volta e per sempre la tirannide imposta da Volcan. E visto che lui ci ha fatto sapere che starà via per almeno otto Kadam, abbiamo tutto il tempo per convincerli.»
«Infine una buona notizia, signore.»
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