Uno scricciolo di regina

Ras-dal aveva bisogno di tranquillità per riflettere su come trafiggere il cuore del grande Glup prima di Imohar e quindi aveva trovato la scusa di andare a controllare se ci fossero altri vermi in giro.

La regina invece discuteva con Aisha. «Cosa c'è che non va, scricciolo. Parliamone, altrimenti come posso aiutarti?»

La bambina sorrise malinconica. «Niente, mia regina... ma se proprio vuole fare qualcosa per me, ecco... ho tanta fame, non sapevo mi sarei ritrovata qui dentro e non ho portato cibo con me.»

«Mi spiace, non ho nulla e... No! Anzi, sei fortunata. Ho ancora della frutta secca. Non è molta a dire il vero, ne ho sacrificato una buona parte per far uscire allo scoperto il Granchio-Ragno.» Tirò fuori da una delle tasche interne un sacchetto e dopo averlo aperto sorrise e lo porse ad Aisha: «Toh, prendi, è poca roba, è vero, ma calmerà i crampi allo stomaco. Resisti ancora un pochino, quando usciremo da qui farò mangiare a sazietà sia te che Berthold.»

Preso il sacchetto, la ragazzina versò tutto il contenuto in bocca e lo mangiò avida. E quando ebbe finito, Imohar la prese per mano e la portò con sé a debita distanza dagli uomini. «Devo parlarti di affari molto seri, Aisha... pertanto non distrarti. A breve-» non riuscì a proseguire, una corda cadde giù dall'alto e rimandò. A buttarla giù era stato Arthur, aveva raggiunto la cima e ora potevano salire per raggiungerlo.

Imohar però era preoccupata per quanto doveva fare Aisha per lei. Una volta in cima, avrebbe dato a lei il compito di trafiggere il cuore del grande Glup e non era sicura ne sarebbe stata all'altezza. E anche se ci fosse riuscita, le preoccupazioni non sarebbero cessate, dovevano uscire con le proprie forze questa volta. La pelle del verme custode era spessa e coriacea e creare un varco, come quello fatto nello stomaco, sarebbe stato faticosissimo e l'aria iniziava a scarseggiare. L'unico altro modo per uscire era quello di aspettare e sperare di avere aria a sufficienza, una volta morto, il Glup sarebbe salito in superficie e gli Aradmini a quel punto avrebbero aperto loro un varco dall'esterno. Certo, non sarebbe stato facile nemmeno per loro, però con molte più braccia alla fine sarebbero riusciti a creare un varco. Questo era quanto lei aveva ordinato a Tuareg di fare e il capomastro le aveva assicurato che ce l'avrebbe fatta. Ma gli Aradmini dovevano darsi da fare e in fretta, dopo la morte del verme-custode, l'aria avrebbe iniziato a rarefarsi e se non avessero aperto per tempo un varco li avrebbero trovati tutti morti stecchiti.

Ras-dal si era arrampicato per primo e dietro di lui i fratelli. Imohar lo avrebbe fatto per ultima ed era una scusa per parlare con Aisha in privato. Non si fidava di Ras-dal e Arthur se avesse sentito cosa intendeva farle fare le avrebbe impedito di usare la figlia per quello scopo.

«Ascoltami, Aisha! Quanto sto per dirti di fare non è un gioco. Una volta saliti lassù,» indicò con un dito la cima della parete «stammi vicina e quando ti dirò di agire tu non fare capricci. Ora è giunto il momento di mostrarmi che non sei più la ragazzina dispettosa che si diverte a prendere in giro i grandi. Ti dico questo perché se farai come ti dico, diventerai la nuova regina di Aradman, scricciolo. No, no, no! Non fiatare, non dire nulla e ascolta, non ho tempo per spiegarti tutto nei dettagli e quindi devi fidarti. E poi, un buon soldato per diventare un capo, quale tu sarai una volta usciti da qui, deve saper ubbidire.» Aisha si fece seria e attenta e Imohar ebbe l'ultima conferma: ci aveva visto giusto nel giudicarla pronta.

«Bene, hai inteso il senso e come pensavo farai molta strada. Non ti devi preoccupare, andrà tutto bene.»

«Sì. mia Regina, farò come mi ordinerà e senza tentennamenti o ripensamenti!»

«Questo mi aspettavo di sentire e sono felice. Ora mostralo agli uomini quanto coraggio hai, perché ne hai da vendere. Su, cosa aspetti? Dobbiamo salire.»

Arthur osservava la sua Aisha salire e, al vedere con quanta grazia e tenacia si arrampicava, non riuscì a trattenere un moto di orgoglio. Non era più una ragazzina e pensò, visti i risultati, fosse stato un bene gli avesse disubbidito. A Imohar invece scappò da ridere al pensiero che tra poco si sarebbe liberata del peso che gravava su di lei. Doveva partire e quale miglior successore se non Aisha. La ragazzina poteva sostituirla e sarebbe stata una regina migliore di quanto lei aveva fatto finora. E comunque ormai aveva deciso e non sarebbe tornata indietro.

La ragnatela sopra su cui si trovavano sembrava non avere fine e Imohar sperò di non incontrare l'essere o gli esseri a cui il Granchio-Ragno l'aveva destinata. Per loro fortuna le strisce erano abbastanza larghe e ci si poteva spostare sopra con facilità, ci si poteva pure saltare dall'una all'altra se volevano spostarsi più in fretta. 

Aisha seguiva Imohar come un cagnolino e non si allontanava da lei più della lunghezza di un braccio teso. Arthur, Berthold, Pretorio e Beone le avevano precedute e attendevano il loro arrivo per proseguire. Ras-dal era dietro di lei e Imohar si chiedeva cosa tramasse. Ma qualunque cosa fosse, lei gli avrebbe rotto le uova nel paniere, pensò.

Erano molto vicini al cuore del grande Glup e sentivano con chiarezza il suo soffiare lento, ad accompagnare, come una sorta di cadenza, i loro salti da una fettuccia tesa all'altra. Un ultimo salto e Imohar e Aisha si trovarono dinanzi ai cinque uomini. Ras-dal le era passato davanti e mostrava una certa sicurezza, come se non temesse più nulla ed era strano, si era detta Imohar con il tenere stretta in pugno la lancia.

Se tutto filava liscio come aveva previsto, tra poco avrebbe coronato il suo sogno di diventare re. Questo pensava Ras-dal mentre seguiva Imohar a testa bassa. Dal suo punto di vista la regina era stata solo fortunata, lo aveva preceduto e interrotto la sua ascesa al trono. Ora invece era il suo turno. Poteva riscattarsi e non le avrebbe permesso di uccidere questo Glup: se qualcuno doveva farlo, allora spettava a lui. Sentiva di essere il degno successore di Seiter. Certo, desiderava Imohar più di ogni altra cosa al mondo e non l'avrebbe uccisa, ma se gli avesse messo i bastoni tra le ruote, allora non ci avrebbe pensato su due volte a farla fuori. Gli aradmini avevano bisogno di un uomo forte al comando, non di una donna debole, come lei si era dimostrata essere finora. Quindi aspettava questa opportunità da tempo e non poteva lasciarsela sfuggire; un'altra non ci sarebbe stata e Imohar gliel'aveva servita su di un piatto d'argento. Lui era a due passi dal titolo e gli sarebbe bastato scagliare la lancia dritta al cuore del grande Glup ed era fatta. A quel punto il popolo aradmino non avrebbe potuto esimersi dall'acclamarlo nuovo re. La Legge era Legge e andava rispettata. A Imohar sarebbero rimaste due scelte: diventare la sua consorte o morire per mano sua.

Ras-dal veniva verso di lei con la lancia in mano e Imohar non poteva credere che lui volesse arrivare a tradirla. Eppure lo aveva intuito che qualcosa in lui stonasse. Tuttavia non aveva voluto dargli peso, aveva preferito pensare di aver preso una cantonata, ma da come lui la guardava, non aveva più dubbi che fosse intenzionato a privarla del titolo con l'uccidere il Glup prima di lei e doveva fermarlo, costi quel costi. Quindi chiamò Aisha e, senza aggiungere altro, le mise in mano la sua lancia: «Per questo momento si siamo allenate notte e giorno, piccola mia. Perciò ora prendila, scricciolo, e ricorda i miei insegnamenti... se lo farai non potrai fallire. Adesso corri piccola mia e senza voltarti indietro, fermati solo quando arrivi a portata di tiro e poi scagliala con tutte le tue forze dritta al cuore del grande Glup.»

«Ma, mia Regina, io non so se-»

«Cosa ti avevo detto? Niente ma, piccola mia! Va' e rendimi orgogliosa di te più di quanto non lo sia già.»

«Sì, però io...» Aisha non finì di dire la sua, Imohar la guardò come mai aveva fatto prima e lei partì a gambe levate lancia in pugno e sguardo fiero.

Aisha saltava come una lepre da un filo all'altro e, giunta a un passo del grande cuore pulsante del verme custode, alzò l'esile braccio e con tutta la forza, di cui poteva disporre una ragazzina,  scagliò la lancia dritta davanti a lei. 

Lancia che tuttavia partì tesa a centrare il bersaglio con uno schiocco sordo per poi sprofondare, senza trovare alcuna resistenza, nel cuore.

Un urlo disumano si levò subito dopo. Era quello di Ras-dal che, con le mani nei capelli, si dannava per ciò che la piccola gli aveva portato via da sotto il naso: il sogno di diventare re era stato infranto da una sciocca ragazzina e stava per impazzire dal dolore. «No! Cosa hai fatto, piccola guastafeste... non spettava a te e ti odio come mai ho odiato qualcuno in vita mia.» Le urlò contro. E stava per andare verso di lei con l'intenzione di strangolarla con le proprie mani, che Berthold lo fermò.

Ormai l'avevano visto tutti e Ras-dal non poteva di certo ucciderli per metterli a tacere, perciò non gli rimase che mettersi a piangere come un bambino a cui avessero tolto il gioco preferito.

Anche se ferito a morte, il cuore del grande Glup batteva ancora e, a ogni pulsare, dalla ferita fuoriusciva un liquido denso violaceo e brillante a illuminare tutto con una bella tonalità lilla.

Dovevano sbrigarsi ad andare via, centinaia di quei piccoli vermi tra poco sarebbero arrivati per riparare il danno da loro fatto, anche se non avrebbero potuto fare niente, il cuore si trovava troppo in alto e sarebbe stato impossibile arrivarci. Ma se anche ce l'avessero fatta, sarebbe stato inutile, aveva perso troppo sangue. 

Erano arrivati centinaia di quei vermi, ma quando il cuore smise di battere, si fermarono come se fossero morti e forse lo erano. Inoltre, la luce violacea iniziò a dissiparsi: il sangue aveva smesso di circolare e la luminescenza da esso emanata si affievoliva sempre più.

Tra non molto non si sarebbe visto più niente e, se i soccorsi non fossero arrivati per tempo, sarebbe stata la fine per tutti loro, pensò Imohar e ripassò il piano di fuga da lei studiato prima di entrare, mentre Ras-dal ripeteva a se stesso che il consiglio dei sette saggi non avrebbe mai approvato una ragazzina come regina. Lo ripeteva pur se era consapevole che non sarebbe andata a finire in quel modo.

Aisha pianse quando il cuore si fermò del tutto. Amava ogni essere vivente e il Glup in fondo lo era. Se solo i vermi-custode avessero accettato di condividere con loro le acque, questa tragedia non sarebbe accaduta. Ma purtroppo così non era e lei, con quell'atto orribile, era diventata regina del popolo Aradmino. La regina l'aveva scelta per quel compito gravoso e lei non riusciva ancora a comprenderne il vero motivo.

Imohar invece credeva che Aisha sarebbe stata all'altezza del compito e per tale ragione ora poteva partire senza troppi patemi. Comunque, se quanto detto dal vecchio nel sogno era vero, presto avrebbe consegnato a lei e al popolo aradmino un nuovo mondo in cui poter vivere senza dover per forza uccidere altri esseri per poter sopravvivere. Ma se non arrivavano al più presto i soccorsi, se lo potevano scordare, pensò Imohar e sperò il Glup fosse già affiorato in superficie. Oltre alla luce, anche l'aria aveva cominciato a scarseggiare.

Berthold era preoccupato per Ras-dal, non capiva perché il fratello maggiore se la fosse presa dopo aver visto Aisha infilzare il cuore del Glup. Inoltre il fratello fissava un punto fermo nel vuoto e ripeteva: "La prossima volta ce la farò." Come se fosse impazzito. Allora lui si avvicinò e, dopo averlo preso di peso sulle sue grandi spalle, lo portò con sé per non lasciarlo indietro.

Pretorio, dopo quanto accaduto, si era chiuso in se stesso e non diceva nulla. Lui sapeva sin dal principio quali fossero le vere intenzioni di Ras-al e dovevano solo aspettare cosa il fato avesse in serbo per loro una volta usciti: quelli del consiglio non sarebbero stati clementi.

Arthur guardava con sguardo fiero e orgoglioso la sua Aisha, era felice per il coraggio da lei mostrato e allo stesso tempo preoccupato che Imohar se la fosse presa a male per aver trafitto il cuore del Glup. «Sei stata grande, piccola mia. Avventata ma superlativa... non avrei saputo fare di meglio. Però mi chiedevo, perché? Perché l'hai fatto? Spettava alla regina uccidere il Glup e quando i sette saggi lo verranno a sapere cosa credi ti faranno? Ti puniranno, piccola mia, e io...»

«Non andrà a finire così, Arthur! Non accadrà mai. Almeno finché io resterò in vita. E poi sono stata io a dare l'ordine a tua figlia di abbatterlo e quindi lei non ha colpe. Tua figlia è pronta. Nessuno più di lei lo è mai stata. Dunque gioisci e inchinati al cospetto della nuova regina di Aradman.»

Arthur non se lo fece ripetere, si prostrò ai piedi della figlia e poi pianse. E le sue non erano lacrime di dolore, bensì di gioia incontenibile.

Quando il verme risalì in superficie, e questa volta a pancia all'aria, mille aradmini lo tirarono a riva con uno sforzo immane. Poi vi salirono sopra e da lì iniziarono a incidere la sua pelle per aprire un varco.

I piccoli vermi guaritori, così li avevano chiamati, emanavano una puzza nauseabonda e la poca aria rimasta a disposizione veniva viziata dai loro miasmi. Per cui si erano seduti spalle alla parete di fronte in attesa che qualcuno da sopra venisse a prelevarli e salvarli da morte certa.  

Imohar, con accanto Aisha, pensava stesse per giungere la loro fine: respiravano a fatica e si malediceva per aver messo la piccola in quella brutta situazione.

Gli aradmini si trovavano davanti al più grosso ammasso di carne molliccia di tutti i tempi. Alto quanto una delle più grosse dune, il grande Glup giaceva inerme sulla riva in tutta la sua stupefacente imponenza. Ora potevano vedere da vicino gli enormi denti affilatissimi che vi giravano intorno, i quali non servivano a masticare o tranciare le prede, ma per ancorarsi al fondale e dormire: una bocca enorme e con la quale il verme custode filtrava le acque delle oasi in cui sostava, quindi non la chiudeva mai o forse non poteva.

Alcuni ragazzini, i più temerari, giocavano nelle vicinanze con lo sfidarsi a chi riuscisse a entrare dentro e rimanerci il più tempo possibile. Sempre sotto lo sguardo vigile delle madri mentre gli uomini si trovavano sull'enorme corpo. Dalla bocca purtroppo non si poteva accedere, un'enorme massa di carne gelatinosa aveva ceduto e, data la lunghezza del verme, prima di arrivare al centro, là dove pensavano si trovasse la regina, ci sarebbe voluto troppo tempo e non ne avevano.

«Forza, rammolliti! Ci siamo quasi, manca poco, non fermatevi. O volete essere ricordati come coloro che hanno fatto morire la regina. Lo so, siete stanchi, però possiamo farcela... ancora un piccolo sforzo e potrete riposare quanto volete.»

«Ma, capo! Gli uomini fanno già del loro meglio e non so fino a quando resisteranno. Dobbiamo fermarci o trovare un altro modo. La pelle è troppo spessa e non riusciamo a perforare quel tanto da creare un varco da cui scendere.»

Chi dava le direttive era Tuareg, il capo mastro. E nessuno osava disobbedirgli. Sapevano cosa sarebbe accaduto loro se lo avessero fatto innervosire: una volta con un solo pugno aveva steso un cammello e da quel giorno nessuno osava più contraddirlo. Se si arrabbiava sul serio era meglio stargli alla larga e l'unica che riusciva a tenergli testa era Imohar. Quindi lui la rispettava non per il titolo, bensì per la sua forza.

«Ehi, tu! Laggiù! Dico a te, giovanotto! Muoviti scansafatiche, non stare con le mani in mano... vuoi che venga io a fare il tuo lavoro? Come al solito vi vantate di avere muscoli qua e là e poi riuscite a sollevare a malapena una pietra che la mia compagna alzerebbe con un dito.»

Il richiamo era diretto a giovane e di sicuro faceva battere il cuore a molte donne per via del suo bell'aspetto, soprattutto dei suoi pettorali e bicipiti voluminosi. Però non riusciva a tirare fuori la lama da lui stesso conficcata nella pelle del verme e, al sentire al voce possente di Tuareg, lasciò la presa e cadde con il suscitare l'ilarità dei suoi amici. Fino a quando il capo mastro guardò tutti severo in volto e smisero per tornare a lavorare: non avevano tempo per le risate. Dopo, forse, e solo se avessero tirato fuori la regina viva.

Tuareg aveva riso come tutti gli altri per poi farsi serio, non poteva credere ai propri occhi, il belloccio alla fine era riuscito ad aprire una breccia: aveva aperto un varco abbastanza grande da poterci passare pure lui e per Berthold non ci sarebbero stati problemi.

«Ehi, tu, ragazzone! Come ti chiami?» Urlò il capo mastro rivolto al giovane che guardava meravigliato il buco da lui fatto nella pancia del grande Glup.

«Talmud, signore... ma come può essere possibile?»

«Credo che tu ci sia riuscito perché ora il sangue non circola più e la pelle deve essersi ammorbidita. Perciò ascoltami... io e te ci caleremo attraverso quel varco e andremo a salvare la regina e cinque dei nostri compagni, intesi?»

«Era quello che intendevo fare, signore... come vede avevo già preparato la corda e se lei mi aiuta, mi calo per primo.»

«D'accordo.» Tuareg poi si voltò verso alcuni uomini poco distanti: «Voi tre venite qui a tenere la corda così scendo, e non muovetevi finché non vi darò il via con uno strattone per tirarci su.»

«Sì, capo.»

Talmud attese che Tuareg scendesse e poi insieme si incamminarono sul ventre molliccio e putrescente del verme-custode.

Imohar, Aisha e i cinque uomini oramai erano allo stremo, seduti con la schiena appoggiata alla parete e le gambe distese attendevano la loro dipartita silenti: parete dalla quale non scendeva più alcun liquido. 

L'ossigeno era agli sgoccioli e facevano tutti fatica a respirare. Ciononostante, Imohar con quel po' di fiato a disposizione parlò all'uomo disteso di fronte a lei: «Pensavi che te lo avrei lasciato fare, Ras-dal? Che non sapessi che mi avresti tradito alla prima occasione favorevole? Perché se lo hai creduto, allora sei un incapace ed è stato un bene che a uccidere il grande Glup sia stata Aisha. Tu non saresti stato all'altezza di guidare gli aradmini. Come ho fatto a sapere del tuo piano per spodestare me dal trono? Grazie a Pretorio, dopo che Arthur lo ha liberato, mi sono avvicinata e lui, al credere fossi tu, mi ha chiesto cosa avrebbe dovuto fare dopo che tu avresti ucciso il verme custode al posto mio e...» Imohar non aveva più fiato per continuare e perse i sensi.

Dopo di lei pure Ras-dal e poco dopo Aisha, Arthur, Pretorio, Beone e per ultimo Berthold.

«Ma quanto è lungo questo dannato verme, è da un po' che camminiamo e non si vede nessuno... siamo certi sia questa la strada giusta da seguire, capo?»

«Bella domanda, Talmud. Però dovremmo essere arrivati al centro e quindi nelle vicinanze dello stomaco del Glup... dove la regina mi ha detto di andare a cercarla e dovrebbe essere vicina, almeno credo.»

«Ha ragione, capo... vedo qualcosa laggiù, una specie di chiarore e potrebbero essere loro.»

Aumentato il passo, il capomastro e Talmud arrivarono nel punto dove la poca luce rimasta permetteva loro di vedere cosa c'era e non solo, sentivano il miasma rilasciato dalla catasta dei vermi morti. Poi, allo spostare lo sguardo, Tuareg notò i corpi distesi ed esanimi della regina e degli uomini, oltre a quello della piccola Aisha e rimase a bocca aperta. L'avevano cercata per giorni e non speravano più di trovarla e invece lei si trovava nella pancia del verme-custode.

«Dobbiamo fare in fretta, belloccio. Anche se l'aria passa attraverso la ferita aperta, non basta a tenere in vita tutti noi, soprattutto loro. Quindi tu ora prendi in spalle uno degli uomini, io invece mi occupo della piccola Aisha... ecco dove si trovava la figlia di Berenice, chissà come sarà contenta quando la vedrà. Scusa, non perdiamoci in chiacchiere. Ah. oltre a lei mi carico in spalla anche la regina. Una volta portati in superficie torneremo a prendere gli altri, Berthold lo prenderemo insieme pe ultimo, da solo non ce la farei.»

«Allora andiamo?»

«Sì. Talmud. E facciamo in fretta.»

Dopo che le cose furono messe in chiaro, circa il piano di Ras-dal di diventare re con l'inganno, i sette saggi lo avevano esiliato e Pretorio, che era a conoscenza delle sue mire, lo aveva seguito e insieme si unirono alla tribù degli Abheriti. Vivevano sulle montagne e nessuno aradmino li avrebbe più incontrati sul cammino.

Berthold era rimasto per proteggere la nuova regina e in privato lui chiamava per nome: i due erano diventati amici per la pelle e la piccola Aisha si confidava con l'omone per avere dei consigli, i quali arrivavano puntuali ed erano sempre affidabili.

Beone dopo la sentenza di esilio dei due fratelli aveva fatto perdere le proprie tracce e non si sapeva che fine avesse fatto.

Arthur invece era diventato il braccio armato della nuova regina e quando redarguiva i subalterni diceva loro di prendere esempio dalla ragazzina coraggiosa che aveva trafitto il cuore del grande Glup con la sola forza di un esile braccino.

Il verme-custode era stato sconfitto e gli Aradmini potevano, e a buon ragione, fermarsi nei pressi dell'oasi che avevano sempre sognato. I sette saggi avevano valutato ogni azione mossa da Imohar e deciso fosse tutto regolare. Dunque Aisha era diventata uno scricciolo di regina a tutti gli effetti e a tenere le redini del popolo aradmino ancora una volta sarebbe stata una donna.

Pur se ancora molto giovane, Aisha aveva la stoffa per comandare. E poi l'oasi era immensa e prima che le acque si intorbidissero, vista la mancanza del verme custode, lei avrebbe avuto il tempo di crescere abbastanza e diventare la miglior sovrana di sempre.

Dopo tre giorni di festeggiamenti, era arrivato per Imohar il momento di partire e, uscita dal velario e scesa giù dalla duna che la ospitava, trovò ad attenderla il popolo Aradmino. Si erano riuniti tutti per salutarla ed era stata dura per lei accomiatarsi da loro, soprattutto da Aisha. La piccola piangeva perché non voleva lei partisse. Ma doveva e le aveva elargito qualche consiglio su come tenere a bada gli uomini, dopodiché s'incamminò verso la distesa infinita di sabbia che l'aspettava desiderosa di fagocitarla e andò via senza voltarsi indietro.

Quando Imohar infine si voltò, l'accampamento non si vedeva più e un senso d'angoscia l'assalì. Poi volse lo sguardo all'orizzonte e, al vedere la stella del mattino sorgere, il volto si distese e sorrise: era l'astro che le indicava la via per arrivare fino all'uomo che le avrebbe aperto la porta per un nuovo mondo e lei non doveva fare altro che farsi guidare da lei per arrivare a lui.

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