Presa coscienza di sé, Artemide fece mente locale e, al constatare di avere ancora i propri ricordi, ebbe un moto di sollievo: il passato non era stato cancellato e il merito andava ad Albert. L'unica cosa che ora le premeva era di scoprire l'aspetto della donna e, giacché la maga si trovava seduta proprio davanti a uno specchio, guardò la sua immagine riflessa.
Il volto dell'Alter ego non era brutto come le aveva dato a intendere Vinicius. I suoi occhi erano di di un bel verde smeraldo, il naso aggraziato e bocca e labbra erano ben delineate. Pertanto non aveva da lamentarsi e poteva definirsi a tutti gli effetti una donna attraente. Però l'aspetto che le piaceva di più della nuova sé stessa era il fatto di essere una maga potente; e questo voleva dire che poteva fare incantesimi e magie. Questo ruolo sin dal principio l'aveva incuriosita e, ora che ci si trovava dentro da capo a piedi, non si pentiva di averlo scelto. Stava per aprirsi una parentesi ricca di enormi possibilità e fremeva dalla voglia di scoprire cosa le avesse riservato il destino in quel nuovo contesto. Ma ci avrebbe pensato dopo e tornò al suo aspetto.
La maga portava al collo una collana con appesa una gemma dal colore azzurro intenso. Questa pulsava come un cuore palpitante e sembrava voler esplodere da un momento all'altro. Al tatto, però, risultava fredda come la luce che emanava. Quindi passò al capo, coperto da un cappuccio che non le dava modo di vedere il colore dei capelli e, tiratolo dietro le spalle, questi erano di un bel castano chiaro per poi scemare al dorato sulle punte.
Lei aveva un aspetto giovanile e Artemide immaginò subito la scena di Silvius rapito dalla bellezza i Siria. Con qualche sguardo languido forse lui avrebbe accantonato Bastet; altrimenti poteva usare una qualche pozione magica... d'altro canto ora era una maga e poteva fare incantesimi. Almeno, questo era quanto le aveva assicurato Albert. Siria poteva farlo perché Albert le aveva dato vita in altre circostanze e quindi la maga aveva un vissuto. Pertanto lei si trovava all'interno della propria dimora che adesso sarebbe stata la sua fino a quando Silvius e compagni non l'avessero raggiunta.
Artemide si alzò per ispezionare la stanza in cui si trovava. Doveva essere quella per la notte in quanto c'era un letto a baldacchino con le sue quattro colonne intarsiate dalle quali pendevano sete fruscianti. Una cassapanca ricoperta anch'essa dello stesso tessuto e a destra un comò con sopra un vaso pieno di fiori freschi, il cui profumo aleggiava nell'aria a ingentilire le sue narici. A sinistra un mobiletto con sopra decine di boccette. Dovevano contenere essenze profumate e infatti lo erano, le etichette sopra ne annunciavano il nome. Ma al leggerne alcune, i nomi a loro date le erano del tutto sconosciute. Poi, incuriosita da un'etichetta, su cui c'era scritto: "Orphelia", l'aprì e, annusata, il profumo intenso la pervase e la trasportò in un luogo dove migliaia di fiori coloratissimi la accolsero per poi avvolgerla in un abbraccio. In quella stanza tutto serviva a compiacere chi l'abitava, pensò Artemide e, posata la boccetta, con l'aver cura di rimetterla al proprio posto, girò su se stessa pronta a visitare il resto della casa e, da quanto visto finora, l'avrebbe di certo lasciata senza parole.
Aperta la porta, s'incamminò per un lungo corridoio alle cui pareti, e da ambo i lati, vi erano appesi dei quadri a ritrarre solo volti di donne. Allora Artemide si fermò davanti a uno, il quale ritraeva il mezzo busto di una donna dal volto bellissimo e dall'età impossibile da definire, per poi passare a un altro ritratto e, anche in questo, il volto impresso apparteneva una donna molto bella. In tutto contò trentasei volti di donna e pensò dovessero essere state le proprietarie succedutesi nel tempo in quella casa. Ma a darle da pensare era il pittore, le aveva ritratte tutte con la stessa collana al collo, identica a quella indossata da Siria, e inoltre ognuna aveva un grosso uccello appollaiato sulla spalla sinistra. Uccelli predatori e tra tutti una delle donne la lasciò perplessa, sulla sua spalla aveva un enorme Condor e si chiese come avesse fatto a sopportarne il peso durante la posa. Tuttavia, il fatto davvero straordinario era che tutti gli uccelli avevano al collo una gemma azzurra identica a quella portata al collo dalle donne. Dovevano aver amato così tanto gli uccelli e ne avevano fatto loro dono, pensò Artemide. Ma forse il vero motivo era un altro e una vocina nella sua testa le sussurrò che presto l'avrebbe scoperto.
Terminato il lungo corridoio, l'aspettava una scala e, al vedere il corrimano, rimase incantata: era fatto di cristallo, come pure i pioli a reggerlo e lei, appoggiata una mano sopra, lo strinse con delicatezza per paura si rompesse. E mentre veniva giù dai gradini di marmo bianco, rivestiti da un tessuto color rosso amaranto, fu tentata di farlo di corsa, ma ci ripensò e continuò la discesa lenta con il contare i gradini: cinquantaquattro in tutto.
Al piano venne accolta da un ampio salone la cui vista la fece subito sentire a proprio agio. L'enorme sala era accogliente e lei, al guardarsi intorno, pensò che Siria doveva essere una di quelle donne ossessionate per la pulizia, al contrario di lei, il disordine fatta persona. Di fronte c'era un enorme camino la cui legna all'interno bruciava arzilla e, nel suo crepitare gioioso, donava al tutto un'atmosfera accogliente e calorosa. Inoltre facevano la sua bella figura quattro scaffali colmi di libri e al centro un grosso tavolo con sopra tanta roba curiosa.
Artemide invece andò verso il camino, le era parso di vedere qualcosa muoversi, e così era: la testa di un enorme Drago che sputava il fuoco senza mai fermarsi, il motivo per cui rimase incantata. Doveva essere la magia a dare vita alla testa di quel Drago e si chiedeva se Siria poteva farla, d'altronde era una maga. Poi, al pensarci sopra, giunse alla conclusione che così doveva essere e, avvicinatasi ancor più, toccate le fiamme che uscivano dalla sua bocca constatò, sorpresa, che esse non bruciavano. Ma era normale in quanto si trattava di un'illusione, si era detta però le lingue di fuoco all'interno del focolare bruciavano e si allontanò prima di scottarsi.
Lasciata la testa di Drago fiammeggiante, si portò verso la libreria e, raggiunto uno dei quattro scaffali colmi di libri, si fermò a guardare di cosa trattassero. Sperava di trovarne qualcuno sulla magia e su come usarla con profitto.
I libri erano stati posti dalla maga in base alla grandezza del volume e non al genere. Comunque erano tutti molto antichi e, come aveva sperato, con lo scorrere i titoli sui dorsi, la maggior parte trattavano le arti magiche e soprattutto come preparare incantesimi.
Fiduciosa, ne prese uno tra le mani, quello su cui c'era scritto: "Ottieni tutto ciò che desideri con una sola parola". Ma il grosso tomo era protetto da un incantesimo e non ci fu modo di aprirlo. Stessa cosa per tutti gli altri libri e se voleva aprirli doveva pensare come Siria. Ma Albert le aveva consigliato di usare con cautela la magia in quanto poteva essere molto pericoloso: a tale proposito si era impuntato poiché la magia in cambio soleva chiedere qualcosa in cambio e in alcuni casi la vita di qualcuno, si chiamava scambio equivalente. Pertanto lasciò perdere i libri di magia e, passata oltre, scoprì qualcosa di davvero curioso: uno strano oggetto attirò la sua attenzione e si avvicinò per capire cosa fosse. Alla vista però restò delusa, si trattava di un trespolo, ma poi le tornarono alla mente i quadri con i volti di donna e gli uccelli sulle loro spalle e capì perché si trovasse lì.
Questo però voleva dire che in casa dove esserci un uccello, quello di Siria, quindi dov'era? Lei non aveva visto uccelli svolazzare per casa e pensava a dove potesse essere, quando Artemide venne distratta da qualcosa di davvero unico che si trovava proprio di fianco al trespolo. Un libro con la copertina d'oro massiccio che fluttuava a mezz'aria sopra a un leggio.
Il grosso tomo era sormontato da decine di gemme di vari colori e lei, curiosa di sapere di cosa trattasse, si fece avanti per toccarlo e sincerarsi non fosse un'illusione. Ma così era, non appena le sue dita sfiorarono la copertina luminescente, il libro scomparve con il lasciarla sconcertata e dubbiosa. Se voleva farlo riapparire doveva immedesimarsi nella parte con il pensare come Siria, altrimenti correva il rischio che svanisse anche tutto il resto.
Allontanatasi dal leggio, ormai vuoto, si portò verso la grossa tavola posta al centro della stanza. Ricavata da un unico pezzo di legno, il grosso e capiente tavolaccio serviva ad accogliere centinaia tra ampolle e alambicchi. Le ampolle, di svariate forme, contenevano liquidi colorati, come pure gli alambicchi, ma sotto vi erano delle fiammelle a riscaldare i liquidi contenuti in essi. Così dal loro sobbollire ovattato emanavano una moltitudine di vapori colorati i quali, poi, rimanevano in sospensione a mezz'aria e lei capì che quello era luogo dove la magia aveva preso la residenza. Era come trovarsi in un grosso caleidoscopio e, come tale, i colori, nel roteare senza sosta, appagavano la vista dell'osservatore. A quella peculiarità, già bella di suo, si aggiungeva quella ancor più precipua dei raggi del Sole, i quali, nell'attraversare i vetri delle finestre, anch'essi colorati, restituivano una bellezza ancora più cangiante a tutto ciò su cui si posavano.
Insomma, erano intrugli atti a calmare il mal di pancia e pozioni per fare innamorare e lei strofinò le mani sorniona: se sapeva a cosa servivano, allora voleva dire che lei stava per far suoi i ricordi di Siria. Quindi apparve un largo sorriso sul suo volto, o meglio, quello di Siria, in quanto a breve avrebbe potuto preparare qualche elisir d'amore per fare innamorare Silvius. Ma l' idea malsana venne accantonata da lei subito, non era in quel modo che voleva conquistarlo. Per cui stava per andare, quando alcuni alambicchi sotto pressione iniziarono a fischiare e si fermò a guardarli incuriosita.
Alcuni, oltre a fischiare, borbottavano. Altri invece tintinnavano e sbuffavano dolenti. Un incessante ribollire che divenne un piacevole intermezzo musicale. Tanto da conciliare il sonno e Artemide a quel punto non ebbe dubbi sul fatto che la dimora in cui si trovava fosse pregna di magia e Siria ne fosse la custode indiscussa senza ombra di dubbio.
Artemide percepiva la magia farsi strada dentro di lei e, se ora avesse voluto, era conscia di poterla usare. Motivo per il quale si sentiva euforica e avrebbe voluto dare sfogo alle arti magiche all'istante. Si sentiva pronta, ma doveva farne buon uso, se l'avesse usata senza le dovute precauzioni, la magia poteva ritorcersi contro di lei. Quindi, prima di cimentarsi in quell'arte, doveva entrare sempre più nella testa di Siria. Solo quando avrebbe fatto suoi tutti i ricordi della maga il tomo sarebbe riapparso e lei, con il suo aiuto, sarebbe riuscita ad usare la magia al meglio e senza farsi male o peggio, farne ad altri. I ricordi di Siria, con tutto quanto sapeva fare, avevano cominciato ad affiorare nel momento esatto in cui lei aveva detto a se stessa di volerlo essere. Dunque, nel caso le avessero chiesto qualche pozione o unguento medicamentoso, avrebbe saputo come muoversi e quali intrugli usare per ottenerli.
«Era ora! Dormigliona! Il sole è alto nel cielo da un pezzo e tu non sei vestita di tutto punto e pronta a uscire, Siria. Ricordi cosa dovevamo fare? Ma perché non dici nulla? Di solito non smetti mai di parlare e... Sono io, Thalion!»
Artemide, al sentire fare il nome di Siria, si spaventò e si chiese se stesse per impazzire. In quanto non c'era nessuno in casa. Forse la colpa era da imputare agli effluvi colorati, pensò dubbiosa. Tuttavia la voce l'aveva sentita ed era giunta alla conclusione che il proprietario si trovasse fuori casa, oppure per davvero stava per impazzire e sapeva pure a chi addebitare la colpa, ad Albert: l'essenza pilota aveva sbagliato qualcosa nei calcoli e per colpa sua sentiva le voci nella testa.
«Calmati Artemide, ragiona prima di saltare a conclusioni errate.» Rimbrottò per fare il punto della situazione e poi riflettere sempre a voce alta: «Ha detto di chiamarsi Thalion e quindi si tratta di un uomo. Tu di loro non hai paura e se-»
«E chi sarebbe questa Artemide, ora? Ti senti bene, Siria?»
All'udire di nuovo la voce nella testa, pensò sul serio di stare per impazzire. Però prima di darsi per vinta decise di stare al gioco e dare corda a chiunque si trovasse nella sua testa.
«Chi è lei? Si faccia vedere. Non le farò del male.» Dopo aver atteso invano una risposta, per farlo uscire allo scoperto Artemide si presentò: «Sono una maga potente, sa? Perciò, se non si mostra a me, e all'istante, mi troverò costretta a venirla a cercare e quando la troverò la trasformerò in un grosso ratto.» Se chi la importunava si fosse mostrato, non avrebbe avuto problemi ad affrontarlo, era brava nel combattimento grazie a Donna Dorniana e non temeva nessuno. Inoltre poteva usare gli incantesimi di blocco e si sentiva pronta a praticare la magia difensiva a occhi chiusi. Però non aveva ancora chiare le parole da dire per farla fiorire e sarebbe stato inutile, e forse pericoloso, soprattutto per lei.
«Hai la febbre, vero? Non trovo altra spiegazione per il tuo strambo comportamento e... Aspetta, ora ricordo, l'ultima volta hai delirato per due giorni interi con l'asserire di chiamarti Lacerta e forse è per questo motivo del perché ora dici di essere Artemide. Stai di nuovo male, vero? Dai! Fammi entrare, Siria. Inizio a preoccuparmi sul serio.»
Doveva eliminare dalla sua testa le personalità di Artemide e Roxanne e pensare solo come Siria. Soprattutto agire come lei. Se quell'uomo sapeva leggere nella mente delle persone era fregata. Perciò doveva tenere sotto controllo i pensieri. Se Thalion percepiva che lei proveniva da un'altra realtà e aveva preso in prestito il corpo della sua amica Siria, sarebbe stato un problema da risolvere e lei non era brava.
«Va bene, ora le apro la porta, Thalion. Ma stia attento, posso trasformarla in qualsiasi animale in un istante.»
«Potresti. Ma non sarà necessario. Sono tuo amico, Siria... cioè, volevo dire Artemide, scusa.»
Tirato di lato il chiavistello e aperta la porta, una folata di vento improvvisa le arruffò i capelli, i quali le coprirono la vista con l'impedirle di vedere chi si trovava fuori sull'uscio. Però, spostato il ciuffo ribelle non c'era nessuno sull'uscio e Artemide uscì fuori.
La casa in cui dimorava Siria era attorniata da alberi di ogni sorta. Tuttavia, solo un albero attirò la sua attenzione: aveva messo radici accanto alla casa e la sua grossa chioma sfoggiava dei fiori di un bel colore viola acceso. Per cui si trovò a pensare che nelle calde giornate estive avrebbe donato ombra e frescura alla casa e soprattutto a chi la abitava. Poco più in là vide un laghetto le cui acque cristalline ospitavano alcuni cigni che si specchiavano in esso con grazia. Insomma, il luogo dove Siria aveva scelto di dimorare era incantevole.
Oltre ai cigni non c'erano altre forme di vita e Artemide urlò a gran voce il nome dell'uomo misterioso: «Thalion! Ora sono stufa, non ho più l'età per giocare, o meglio, non mi va di farlo con lei, perciò esca allo scoperto e facciamola finita. Altrimenti potrei non rispondere più delle mie azioni... e lei sa cosa accadrà, vero?»
«Non c'è bisogno di urlare. Non capisco, davvero, Sir... Artemide. Oltre ad avere una vista sviluppata posseggo un udito fine. E poi scusa, perché non usi il pensiero per parlare con me? Lo facciamo sempre per comunicare tra noi. Cos'è questa novità? Ah, devi perdonarmi... dimenticavo, non stai bene.»
Col pensiero? Ma certo!
Era stata una sciocca a non averlo intuito subito e lo accontentò: «Dove si trova di preciso, Thalion? O meglio ancora, si mostri, facciamo prima.»
«Devi stare proprio male per non avermi visto entrare. Ti sono passato di lato e mi trovo dentro casa. Su, forza, voltati e guarda. Dovresti vedermi. Sono sul trespolo, come sempre e... lasciamelo dire, anche da malata sei comunque bellissima. Aspetta, prima di continuare la discussione, vai al tavolo e afferra la boccetta azzurra, poi aprila e bevine il contenuto tutto d'un fiato. Starai subito meglio e potremo uscire e fare quanto avremmo dovuto già da un po'.»
Entrata e presa la boccetta, Artemide la esaminò: serviva ad abbassare la febbre ma lei non l'aveva. Tuttavia ne bevve un sorso, tanto non le avrebbe fatto alcun male, ne era certa. Dopodiché pose la boccetta e al voltarsi vide sul trespolo, prima vuoto, un Falco con tanto di becco adunco e artigli affilati e rimase a bocca aperta.
Il grosso Falco la scrutava con il girare la testa prima da un lato e poi dall'altro per capire se ci fosse ancora qualcosa che non andasse e Artemide non poté fare a meno di notare che al collo l'uccello portava una collana simile alla sua la cui pietra azzurra, legata a essa, pulsava. E quando lei la guardò, s'illuminò ancor più e in quel preciso istante seppe tutto sul conto di Thalion. Così ne dedusse che il potere delle pietre azzurre permetteva loro di comunicare via telepatica. Ragion per la quale cercò di non pensare come Artemide per non insospettirlo e e ne parlargli lo fece nel modo più naturale possibile.
«Scusami per averti fatto preoccupare, Thalion. La colpa del mio atteggiamento bislacco è da attribuire agli effluvi usciti dalle pozioni che preparavo. Non te lo avevo ancora detto, ma voglio miscelarne alcune per aiutare un gruppo di amici che presto incontreremo. Ora però mi sento meglio, perciò possiamo uscire come avevamo preventivato.»
Thalion osservava Siria senza dire nulla e, siccome Artemide non riusciva a captare cosa gli passasse per la testa, capì che le schermava i pensieri di proposito. Quindi provò anche lei con l'insultarlo e, visto che il Falco non aveva fatto una piega, pensò sollevata che ora non avrebbe più dovuto sforzarsi di tenere a freno la personalità forte e battagliera di Roxanne e quella più compassionevole e sempre pronta ad aiutare di Artemide. Ma fino a quando a non avesse imparato a padroneggiarlo come si deve, doveva porre attenzione a ciò che le passava per la testa se c'era lui nei dintorni.
«Lion, scusa, ma tu sai chi è Drol?» Artemide si stupì di averlo chiamato così e non Thalion, poi le venne in mente che Siria di solito lo chiamava così.
«Sì, ne abbiamo discusso più volte. Perché me lo chiedi? Forse sta di nuovo per farne una delle sue, quel farabutto senza arte né parte?»
«Per ora niente, ma in giro si dice che lui abbia intenzione di conquistare Allister per sottomettere al suo volere anche il popolo degli Elfi e-»
«Non credo gli sarà mai possibile. Il sacro Tasso protegge la nostra realtà e non lo farà mai entrare. Resta il fatto che non possiamo permettere a quel mostro di andare in giro a fare quanto più gli aggrada e dunque dovremmo mettergli un freno, con le buone o con le cattive, se fosse necessario.»
«Hai ragione, Lion, ma non oggi, a tempo debito, prima devo incontrare le persone che ti dicevo, altrimenti non potremmo mai arrivare alla Fortezza dove si trova rintanato quel verme disgustoso. Comunque per oggi basta pensare a lui, ho voglia di uscire. Perciò ti chiedo ancora una volta... usciamo, amico mio.»
Thalion non era del tutto convinto che la sua Siria fosse tornata del tutto nel presente, era strana, ma non entrò nel dettaglio e lasciò scemare la questione. Comunque palesò i suoi dubbi e senza mezzi termini: «Questa storia non mi convince per niente, Siria, tu non mi hai detto tutto come fai sempre. Tuttavia voglio soprassedere anche questa volta e credere che la colpa sia dovuta agli effluvi dei tuoi intrugli. Perciò, andiamo? Oppure hai cambiato idea?»
«Sapevo che avresti compreso, amico mio e... su, non guardarmi in quel modo, se non ti dico tutto è solo per il tuo bene.»
«Lo so ed è per questo sono al tuo fianco. Però una cosa potresti dirmela, chi sono gli amici che devi incontrare?»
«E perché vuoi saperlo?»
«In quanto credo di averli avvistati a non più di tre giorni di cammino da qui. Ne ho contati dieci in tutto, cinque femmine, quattro maschi e una specie di grossa tigre e non crederai a quanto sto per dirti, ebbene, quella creatura resta in costante contatto con uno, o una del gruppo come facciamo noi. Però non sono riuscito a capire con chi di preciso, la folta boscaglia me lo ha impedito. Tuttavia ho percepito che si tratta di una femmina. Ho visto anche Matilda e, giacché le sue uova stanno per schiudersi, non vorrei scegliesse qualcuno del gruppo per sfamare i nuovi nati.»
Artemide sapeva che si trattava di Bastet e la sua amica Anat, ma non poteva mica dirlo a Thalion. «Tranquillo, una delle donne del gruppo è un'Elfa e conosce meglio di chiunque altro i pericoli che cela la foresta proibita. Quindi eviterà loro di fare incontri spiacevoli. Sono certa che se la caveranno, credimi. Comunque, per sicurezza, cosa ne dici se li raggiungessimo? Di sicuro apprezzeranno il nostro aiuto.»
«Come vuoi, sai quanto amo l'avventura e non chiedo di meglio, però aspetta un attimo, recupera delle provviste di cibo... cinque giorni sono lunghi, diciamo quattro, visto che vengono verso di noi.»
Salita su e infilati degli abiti comodi, Artemide aveva poi messo in una tracolla del cibo e, scesa in basso, Thalion prese il volo per portasi in alto in attesa che uscisse. Però lei non si aspettava di vedere con gli occhi di Lion ed ebbe subito le vertigini. Il Falco le trasmetteva per via telepatica quello che osservava dall'alto con i propri occhi così lei vedeva se stessa camminare sul prato fiorito, il quale spaziava al di là degli alberi e fino al confine ultimo dato dalle montagne le cui cime, ricoperte da ghiacci, nel riflettere la luce del sole negli occhi del falco l'abbagliarono.
Ancora con gli occhi chiusi, Artemide fece suoi altri ricordi di Siria e quei luoghi le divennero conosciuti. Così, nell'osservare un fiore mai visto prima, nella sua mente apparve il nome: Rapsodia blu. Inoltre, profumi e rumori contribuirono a farle riaffiorare sempre più ricordi e si fermò a riflettere su quella circostanza piacevole e allo stesso tempo strana.
Thalion nel frattempo volteggiava sopra la sua testa in attesa che lei si mettesse in cammino e, visto che Artemide sapeva come bloccare i pensieri, l'uccello non poteva leggere cosa le passasse per la testa. Comunque, anche se avesse potuto, avrebbe percepito che lei cercava di evitare di vomitare e inoltre che si chiedeva come potesse essere possibile che dopo aver volato su di un'astronave da una galassia all'altra stesse così male per aver visto con gli occhi di un altro dall'alto verso il basso: soffriva di vertigini e non se ne era mai resa conto.
Per sua fortuna, quando s'incamminò, con l'usare solo la propria vista, la nausea passò, ma di fronte l'erba alta, la quale non le permetteva di vedere oltre il proprio naso, venne costretta a sbloccare la mente e a quel punto Lion non mancò di redarguirla.
«Perché mi hai escluso dai tuoi pensieri? Credevo ti piacesse osservare quanto vedo io dall'alto!»
«Scusami tanto, non mi sento ancora al meglio e come hai preso il volo ho avuto le vertigini e ho dovuto interrompere il contatto. Sono sempre io, Siria. Perciò smettila di tormentarmi, Lion.»
«Lo so! Dal momento che mi hai chiamato Lion non ho avuto più dubbi. Bene, adesso seguimi e non ti preoccupare, ti avvertirò per tempo se ci fosse qualcosa di pericoloso lungo il cammino.»
«Come sempre, amico mio. Dunque fammi strada.»
Parlava e ragionava come Siria, anche se ogni tanto deviava con il pensare come Artemide e si meravigliò di non farlo come Roxanne. I suoi stati variavano sulla base delle situazioni in cui incappava. Meno male che aveva imparato a bloccare il flusso dei pensieri e almeno poteva tenere a bada Lion. Non sapeva cosa le avrebbe fatto se avesse scoperto che lei in realtà non era la Siria che lui conosceva. Ma accantonò quella possibilità e passò a pensare a come mettere in pratica un incantesimo semplice. Ne aveva la capacità e non vedeva l'ora di pronunciare una formula per vederne la realizzazione nella realtà. Creare le cose dal nulla doveva essere spaziale. Come far sgorgare dal nulla una goccia d'acqua. Non doveva fare altro che pronunciare la formula, la quale apparve nella sua testa e lei la pronunciò senza pensarci su due volte: «Luter olafto rube.» Il cui significato era, "l'acqua giunga me".
Davanti al suo naso si materializzò una piccola sfera di un azzurro intenso e altri non era che acqua purissima. Artemide però si spaventò dall'apparizione e la goccia d'acqua cadde sull'erba con l'evaporare l'istante successivo. C'era riuscita, aveva pronunciato una formula magica e da essa si era materializzata dell'acqua pura. Artemide non stava nella pelle dall'emozione. Adesso ne aveva la certezza e fremeva di provare altre formule per capire cos'altro poteva fare. Ma non era il momento adatto, Lion di sicuro si sarebbe insospettito e rinunciò a sperimentare.
Lasciata dietro le spalle la foresta rigogliosa, Artemide si trovò davanti a un mare di fiori a coprire una distesa di erba rada senza fine. I fiori, mossi da una leggera brezza, sembrava danzassero come a volerle dare il benvenuto. Lei allora chinò il capo e li ringraziò per poi alzare lo sguardo al cielo. I raggi del Sole l'abbagliarono e lei riparò gli occhi con il dorso della mano e, tra le dita socchiuse, notò in lontananza un puntino nero stagliarsi nel cielo azzurro: Lion.
Artemide riuscì a seguire il falco fino a quando non sparì tra alcune nuvole basse e ora davanti a lei aveva il vuoto. Affacciatasi per vedere in basso, tornarono le vertigini e un conato di vomito l'assalì di nuovo, ma ricacciò indietro la sensazione sgradevole e si riaffacciò. Aveva vinto le vertigini e sotto di lei c'era una nebbia che di poteva tagliare a fette per quanto era densa e fitta. Si vedevano solo le punte degli alberi più alti fare capolino e mentre lei cercava un modo per calarsi giù, nella sua testa si materializzò una formula. Artemide sapeva che con quella avrebbe aperto un portale fino in basso, ma se non si conosceva bene il luogo dove ci si voleva spostare era sconsigliato usare quella magia di trasporto e rinunciò. Non aveva assimilato ancora del tutto i ricordi della maga e non voleva rischiare, anche se sentiva di esserci già stata lì sotto. Tuttavia sapeva esserci un sentiero che portava in basso e seguì quello con la speranza che Lion non s'insospettisse per quella sua scelta.
Giunta a valle, proseguì la marcia senza intoppi mentre Thalion volteggiava nel cielo. Però non lo vedeva per via della nebbia, sentiva la sua presenza per via del loro legame telepatico ed era tranquillo, quindi non c'erano pericoli imminenti.
Filava tutto per il verso giusto e lei doveva solo abituarsi alle altezze per dire di non potersi lamentare per come finora le cose si erano evolute. Ma quanto prima sarebbe riuscita anche a superare quel piccolo problema, la nausea: dai ricordi di Siria aveva scoperto che esisteva una pianta che le avrebbe fatto bene e bastava trovarla. L'unica cosa a cui doveva davvero sempre fare attenzione era a ciò che avrebbe detto in presenza di Lion.
Il viaggio intrapreso per stare vicino a Silvius era iniziato e Artemide non vedeva l'ora di riabbracciarlo con tutta se stessa. Anche se in quel frangente non avrebbe potuto dirgli che Siria in realtà era lei. Poi si incupì al pensiero che lui scoprisse che lei non era nemmeno Artemide, ma Roxanne, un'assassina prezzolata. Ma questa verità gliel'avrebbe detta lei quando lui si sarebbe destato dal lungo sonno e quindi fino ad allora si sarebbe goduta ogni istante accanto a lui nei panni di Siria, anche se illusori e fallaci.
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