Una scoperta tira l'altra
Mentre percorrevano a ritroso il lungo corridoio, tacevano. Poi il silenzio venne meno davanti a un'enorme porta di vetro che dava su un immenso parco alberato. «Eccoci arrivati, Silvius. Ora stammi bene a sentire, anche se lo hai già visto accadere, qui avverrà molto più in grande.»
Varcata la soglia, Silvius si guardò intorno alla ricerca di qualcun altro del gruppo. Il posto era gremito da centinaia di persone e non sapeva se tutte fossero reali. Così al notare Soffio e Alisei passeggiare, e poco più in là Helias che beveva birra davanti a una enorme tavola imbandita, si rassicurò. Loro erano persone reali e non proiezioni provenienti da chissà quale strano mondo e, assodato di non essere il solo in carne e ossa, si avvicinò a una tavola apparecchiata sulla quale c'era tanto di quel cibo che se tutti i Norberiani si fossero trovati lì, in quel momento, non sarebbero riusciti a finire tutte quelle pietanze, anche se si fossero fermati lì per tutto il giorno.
«Era ora che ti facessi vedere, dormiglione! Questo luogo è davvero fantastico, amico mio. Hai visto quanto cibo? E non finisce mai... non è fantastico? Appena togli qualcosa, qualsiasi prelibatezza tu desideri, ebbene, il vuoto lasciato viene subito colmato da altro cibo equivalente. Ma tu già lo sapevi, vero? Beh, allora cosa aspetti a vuotare il sacco? Arcibaldo deve avertene parlato. Io ho provato a chiedere in giro ma ne sanno quanto me e per giunta a chi ho chiesto non interessa il come e il perché avvenga questa magia.»
«Sì, l'ho visto accadere in camera mia e Arcibaldo a tal proposito mi ha detto di non sapere come avvenga. Piuttosto veniamo a te... Helias. Ti ho visto bere e volevo avvisarti di non esagerare con la birra. Lo sai poi cosa accade e non mi va di portarti in spalla fino in camera tua.»
Dopo averlo guardato di sbieco, Helias ricacciò al mittente l'accusa: «Sei proprio un idiota, "amico". Grazie per avermi ricordato le mie mancanze. Ne farò tesoro. Pertanto se ora ti dicessi "bevo solo un paio di birre e subito dopo vado a nanna, mammina", ti farebbe stare meglio? Tuttavia si dà il caso che io non ne abbia alcuna intenzione e penso invece di berne molta di birra... fino a scoppiare e-» prima di dirgli cosa pensava di lui, lo guardò dritto negli occhi «...dovresti bere anche tu della buona birra, ti farebbe bene e questa, poi, è ottima. Pensa più a te stesso, invece di preoccuparti di me, amico.»
Insistere sarebbe stato solo fiato sprecato e lasciò che Helias facesse ciò che più desiderasse. Aveva fame e, teso un braccio e allungata la mano, Silvius prese un piatto vuoto e poi con due dita dell'altra cercò di afferrare un delizioso bocconcino di carne arrostita. Però lo lasciò andare l'istante dopo, bruciava, come se la pietanza fosse appena uscita dal forno e afferrò un coltello e con quello tagliò il pezzetto succulento per poi adagiare nel piatto. Così che la magia si ripeté sotto i suoi occhi: l'arrosto tornò con il suo bell'aspetto invitante, comprensivo del pezzetto con il quale si era scottato. Come se il taglio non l'avesse mai fatto e si voltò per vedere il comportamento degli altri ospiti. Però tutti prendevano quanto desideravano senza farsi tanti problemi, come se fosse la cosa più naturale al mondo vedere il cibo tolto ripresentarsi intatto. E tra i tanti che si servivano vide Drusilla e Amelia. Le due dopo aver preso quanto desideravano si incamminarono verso un tavolino con annesse due sedie e lì accomodarono a gustare il cibo in tutta comodità. Lui non ci aveva fatto caso, vi erano tavolini sparsi un po' ovunque e chi voleva godersi il cibo in buona compagnia ne approfittava. Infatti Soffio e Alisei si trovavano seduti a un tavolo posto sotto una grossa quercia e si scambiavano bocconi di cibo. E poco più avanti anche Bastet. La principessa si gustava il cibo da sola e con piacere. Almeno fino a quando non lo aveva visto e si scurì in volto per poi voltarsi da un'altra parte.
Ormai Silvius si era assuefatto ai modi burberi di Bastet e non ci pativa più, abbracciò con lo sguardo il tutto alla ricerca di Arcibaldo e per fortuna l'omone era tornato. Così lo aveva raggiunto per interrogarlo di nuovo. «Come e quando è iniziato tutto questo e perché?»
Da prassi ormai consolidata Arcibaldo se ne uscì fuori con la solita solfa: «Per quanto ne so io, da sempre, Silvius. E come ti ho già detto, non conosco chi lo fa accadere. Tutto qui dentro ha vita propria. Io, tu, e tutti gli altri qui presenti, siamo ospiti e non possiamo in alcun modo interferire, solo beneficiarne e sperare continui per sempre. Ascolta. Anche se volessimo, non potremmo fare nulla per fermare tutto questo, non ci sarebbe consentito. Tutto qui è eterno... però non come pensano in molti, un tempo infinito, bensì senza tempo. Una differenza sostanziale a detta del mio predecessore e io, ancora adesso, non ho afferrato la sottile differenza tra le due dicotomie.»
«Il mio maestro forse avrebbe saputo dare una risposta soddisfacente, Arcibaldo. Però non è qui e credo sia giunto il momento che tu sappia il vero motivo per cui siamo venuti, sempre se vuoi conoscerlo.»
«Certo! Ci mancherebbe, Silvius, Siamo o non siamo amici?»
«Allora mettiti comodo, devo partire dal principio, altrimenti non capiresti. Tutto è iniziato.»
Silvius iniziò con il raccontare la storia dei Norberiani, conosciuti come il popolo dei senza casa. Poi del luogo in cui si erano rifugiati, la Cittadella, il luogo abbandonato dagli Elfi. Così passò a parlare di Uriel, il loro re e di sua figlia Eriel. Dopodiché del grande saggio, dei Custodi della parola, degli scrigni di cristallo e del potere dei Talismani celati al loro interno. Concluse con il parlargli di Drol che voleva impossessarsi delle Anime dei Custodi della parola per evitare che questi ultimi accedessero ai mondi protetti da sacri Tassi e infine al suo.
Questa volta a restare a bocca aperta era stato Arcibaldo, anche se lui era già a conoscenza per sommi capi dell'esistenza dei sacri alberi e del Signore oscuro. «Quanto mi hai detto ha aperto ancora di più i miei occhi, Silvius e quindi mi chiedo se Drol abbia mai riflettuto su questa sua azione sconsiderata, cioè rubare Anime. Quando avrà preso l'ultima resterà solo e a quel punto chi lo adorerà? Con chi potrebbe dividere gioie e dolori? La bellezza di un panorama? Il profumo di un fiore o il sapore del cibo mangiato in compagnia? Non riesco proprio a capirlo e sì, a questo punto hai ragione tu sul fatto che quell'uomo deve essere fermato e credimi, se non fosse che io non posso muovermi da qui, mi sarei unito volentieri a voi per aiutarvi a sconfiggerlo. Detto questo, ho da confidarti in tutta sincerità un cosa importante... ecco, io non ti ho rivelato proprio tutto riguardo alla Piramide nera. Ma adesso, vista la tua fiducia nei miei riguardi, ho deciso di fare altrettanto e quindi ti mostrerò qualcosa di mai visto prima.» Preso un grosso respiro, l'omone buttò fuori di botto e si liberò del peso: «In cima alla Piramide nera c'è un luogo... scusa, le parole non bastano, bisogna vederlo con i propri occhi per capire.»
«Beh, allora cosa aspettiamo? Non vedo l'ora di scoprire cosa mi hai tenuto nascosto finora. Aspetta, avviso gli altri, vorranno vederlo anche loro... tranne Helias, a quest'ora sarà ubriaco marcio e non ce la farebbe a seguirci.»
«No! I tuoi amici non sono invitati. A dire il vero non dovrei portare nemmeno te e se ho deciso di farlo è solo perché ho bisogno di avere il parere di un amico fidato. E tu sei l'unico. Ma prima di portarti fin lassù, devo predisporre alcune cose. Tu nel frattempo preparati, passo a prenderti tra poco. Ah, e porta con te qualcosa di pesante, farà molto freddo dove andremo.»
Prima di andare a preparare le sue cose, Silvius voleva dirlo a Helias, il quale si trovava in compagnia di due donne a cui raccontava una delle sue solite storielle per farsi bello.
«Dovete credermi, mie signore. Un serpente gigantesco mi ha inghiottito e, una volta nel suo stomaco, a farmi compagnia c'era un Cinghiale con i suoi figlioli. E la bestia, al credere che volessi fare del male ai suoi piccoli, parte a testa bassa con l'intenzione di uccidermi con le sue enormi zanne. Però io non mi faccio prendere dal panico e, non appena arriva a un passo da me, lo scanso e poi con un balzo salgo sul suo dorso e da lì allungo le braccia e stringo il suo collo fino a quando la bestia non muore soffocata. Dopodiché strappo una delle due grosse zanne dal suo brutto muso e uccido il serpente per uscire vittorioso.»
«Tu sei davvero un uomo coraggioso, Helias.» Annunciarono in coro le due donne.
«E non è finita, mie care... ora viene il bello. Fuori c'era un altro grosso Cinghiale e io mi preparo per affrontare pure quello, quando i piccoli le vanno incontro e la bestia desiste dall'attaccare. Era la madre e va via con loro. Dal canto mio li lascio stare, a me interessava l'altro cinghiale e, dopo averlo eviscerato e scuoiato, con le sue carni abbiamo fatto festa per tre giorni alla Cittadella.»
«Hai finito di fare lo sbruffone? Devo parlarti, e subito.»
«Ah, sei tu, Silvius. Aspetta solo un attimo.» Prima di ribattere a tono, Helias si rivolse alle ragazze con fare mieloso: «Scusate, piccole mie, devo parlare di cose urgenti con un amico alquanto impaziente, però farò in un lampo.»
Strizzato un occhio, Helias prese da parte Silvius e lo assalì con veemenza: «Cosa c'è? Sei cieco? Non lo vedi? Sono impegnato. E non dirmi che vuoi unirti a noi... tanto non ti credo.»
Silvius aveva altro da fare e poi non aveva pensato nemmeno alla lontana di unirsi a Helias, anche se le due donne erano abbastanza piacenti. «E fai bene. Possibile che non capisci quanto ti rendi ridicolo? Comunque sono affari tuoi, a essere in gioco è la tua dignità. Se sono venuto a romperti le uova nel paniere è solo per avvisarti che devo assentarmi per un po' e quindi a rammentarti di non esagerare con la birra, altrimenti domani sarai un peso per tutti noi, ma soprattutto per me che dovrò portarti in spalla.»
«So come cavarmela, io. E poi chi sei tu per dirmi come devo comportarmi?»
Helias era già sbronzo, al punto da non essere più in grado di pensare in modo sensato e la risposta data lo confermava, pensò Silvius. Pertanto se insisteva correva il rischio di dover litigare e non era un buon momento. Quindi lo lasciò alla sua pochezza con la speranza che non venisse alle mani con qualcuno. «D'accordo, non aggiungo altro, ci vediamo domani all'alba. Buona serata.»
Giacché Lucylla aveva assistito a tutta la scena, Silvius la raggiunse.
«Scusa, sempre se non ti reca disturbo, potresti badare a quel testa vuota di Helias? Sono stanco e vorrei buttarmi sul giaciglio a riposare senza il pensiero che possa fare del male a qualcuno o farne a se stesso. Insomma, sai come finirebbe se non lo si ferma per tempo quando ha bevuto troppo.»
Il suo primo pensiero, al vederlo con quelle due ubriacone, era stato: "se questa è la sua decisione, allora peggio per lui." Dopo quanto si erano detti, Lucylla pensava che lui avesse messo un po' di buon senso. Ma dopo quella scena patetica si era resa conto di aver sprecato solo del fiato. Quindi, se non glielo avesse chiesto Silvius, lo avrebbe lasciato alla mercé di quelle due... non le era venuto in mente un solo aggettivo, che una signora, quale lei era, potesse proferire senza risultare volgare.
«Perdonami, Silvius, pensavo a quell'imbecille del tuo amico e... anzi, a quel... niente, non trovo nemmeno per lui un aggettivo che non mi faccia diventare troppo sboccata. Tuttavia sta' tranquillo, nel caso quell'imbecille dovesse uscire di senno, so come portarlo sulla retta via.»
Lasciata Lucylla, Silvius si diresse verso l'entrata della Piramide nera e, una volta salito fino in camera, presa dalla bisaccia una giacca e una maglia pesante, indossati, restò poi in trepidante attesa dell'arrivo di Arcibaldo.
L'omone non lo fece attendere, poco dopo bussò alla porta e, allorché Silvius l'aprì, Arcibaldo gli fece solo cenno con una mano di seguirlo.
I due percorsero un lungo corridoio e, arrivati alla fine, si fermarono davanti a una porta con uno strano simbolo impresso sopra. A Silvius sembravano due uova poste in orizzontale una accanto all'altra, ma quando guardò Arcibaldo per sapere quale significato avessero, aprì la porta e gli fece cenno di stare zitto con un dito sulle labbra. Poi tornò indietro e con un filo di voce lo incalzò a muoversi: «Vienimi dietro e attento a dove metti i piedi, Silvius.»
Arcibaldo proseguiva lesto su una stradina stretta e ripida fatta dello stesso materiale della Piramide nera. Il sentiero battuto si avvolgeva attorno a essa come il serpente attorno al vestito bianco indossato da Bastet. Questo pensò Silvius nel seguire l'omone senza fiatare fino a quando, raggiunta un'altezza considerevole, guardò in basso e gli venne un capogiro: non c'erano appigli a cui tenersi e, se fosse caduto da quell'altezza, sarebbe stata per lui morte certa. Ragion per cui si appiattì alla parete il più possibile per poi continuare a seguire l'omone che, al voltarsi e al vederlo titubare, si fermò e tornò indietro.
«Non temere, Silvius. Una volta mi è capitato di cadere e credimi, mentre venivo giù, pensavo fosse giunta la mia ora, quando giunto ad appena un palmo dal suolo una mano invisibile ha frenato la mia caduta per poi adagiare la mia persona con delicatezza sull'erba. Non è stata proprio una discesa rocambolesca, cioè spericolata e avventurosa e quindi non ti invito a provarci. Non la vivresti bene e sarebbe molto meglio se tu perdessi i sensi, in quanto è davvero angosciante.»
«Grazie per avermi reso partecipe della tua piccola disavventura, adesso mi sento più sereno.» C'era un velo di ironia e sarcasmo nel tono, ma Arcibaldo non ci fece caso e passò alle domande. «Ah, scusa, ma per quale motivo dobbiamo fare tutta questa strada a piedi? Dovrebbe essere tutto molto più semplice qui dentro, o mi sbaglio?»
«È vero e mi sono chiesto anch'io la stessa cosa, senza trovare una risposta. Pertanto pazienta ancora un pochino e ti farò vedere qualcosa che ripagherà tutta la fatica fatta. Ecco, la vedi quella porta lassù in cima? Ebbene, dobbiamo arrivare lì e non manca molto, un ultimo sforzo.»
L'altezza continuava a dargli le vertigini, ma ormai erano arrivati in cima e non c'era più il pericolo che vomitasse addosso ad Arcibaldo, il quale si era fermato davanti a una porta incassata nella cuspide della Piramide nera e, dopo aver pronunciato qualcosa sottovoce, la porta scivolò di lato a lasciare aperto un varco.
«Vieni pure avanti, Silvius. Però sbrigati, non rimarrà aperta a lungo.»
Lui non se lo fece ripetere e quando l'omone la varcò fece altrettanto.
Attraversata la soglia, l'aria fredda lo schiaffeggiò in volto e un brivido gelido gli corse su per la schiena. Ma ormai Silvius era avvezzo alle stranezze del luogo e non si stupì. Poi il freddo si era fatto pungente e, pur se lui aveva indossato giacca e maglia pesante, iniziò a battere i denti.
Attraversato il lungo cunicolo gelido, all'uscita Silvius rimase di nuovo a bocca aperta. All'interno esisteva un altro mondo, però non si chiese come potesse essere possibile, tanto qualsiasi cosa avesse pensato con molta probabilità sarebbe stata errata e alzò lo sguardo per ammirare una bellissima Luna e poi rimanere incantato dall'altra più grande e con un cerchio a cingerla. Uno spettacolo da mozzare il fiato e lui, trasognato, immaginava se stesso e la bella Bastet, mano nella mano, passeggiare sotto il loro chiarore.
«Cosa ne pensi, amico mio... ti piace il posto in cui ti ho portato?»
«...Cosa? Ah, sì, molto, direi da perdere il senno.»
«Questo non è niente al confronto di quanto tra poco ti mostrerò. Adesso ti porto in un luogo in cui molti mondi sono contenuti in uno e allo stesso tempo si trovano in un altro... come questo in cui ci troviamo. Infatti si trova in un altro che a sua volta è in un altro ancora e così di seguito, all'infinito. Lo so, è inconcepibile immaginarlo, però niente potrà cambiarlo e lo vedrai con i tuoi stessi occhi.»
Arcibaldo si inserì su un nuovo percorso e Silvius, nel corrergli dietro come un cagnolino, si trovò a pensare che per lui fosse diventata un'abitudine seguire qualcuno. Ma cos'altro poteva fare? Si trovava immerso in un contesto diverso da quello a cui era avvezzo e non avrebbe saputo come muoversi senza una guida. Tutto era nuovo e di fatto camminavano su di un tratto di strada che non si scalfiva e da cui non si alzava polvere se batteva i piedi sopra con forza. Una strada molto antica, viste le tante crepe a solcare il lastricato e lui, per saperne di più, si rivolse ad Arcibaldo: «Sai dirmi di cosa è fatto il suolo su cui camminiamo?»
«Non lo so, mi è stato detto solo che si chiama asfalto.» L'omone come sempre non aveva colmato la sua curiosità e non poté fare altro che seguirlo attonito fino a quando non si fermò.
«Ecco, siamo arrivati nel posto di cui ti parlavo, Silvius.» Arcibaldo si fermò nei pressi di uno specchio d'acqua formato dalle nevi sciolte che venivano giù a valle sotto forma di migliaia di piccoli rigagnoli luminescenti.
L'omone con la sua mole celava a Silvius la visuale e solo al suo spostarsi lui si fece avanti con gli occhi che pareva volessero uscire fuori dalle sue orbite mentre cercava di dare un senso a quel che vedeva.
Arcibaldo invece se ne stava qualche passo indietro con le braccia conserte sull'enorme addome e quel suo solito sorrisino che tanto a Silvius dava fastidio.
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