Primo contatto
Era nato e cresciuto su Terra 2, uno dei tanti pianeti simili alla Terra primigenia: il globo terraqueo dove il Primo Creatore aveva plasmato l'Umano da cui poi erano derivate tutte le altre specie senzienti che popolavano le migliaia di galassie sparse per l'Universo conosciuto. Pianeta di cui finora nessuno aveva ancora scoperto l'esatta ubicazione e Alejandro, al fine di continuare la ricerca intrapresa dal padre e prima ancora dal nonno, da due mesi saltava da un sistema planetario all'altro alla ricerca di astronavi lasciate alla deriva. Recuperava, insieme al suo equipaggio, quanto ancora poteva essere utilizzato per venderlo al mercato nero al miglior offerente. Doveva pur sopravvivere. Inoltre aveva da pagare gli uomini che lo seguivano da sempre in quell'assurda ricerca e infine il carburante per far muovere la Resiliente, l'astronave cargo su cui viaggiavano.
Ma lo facevano da un po' senza successo: le carcasse più promettenti erano già state depredate e, giacché non potevano tornare a mani vuote, continuavamo a entrare in un tunnel spazio-temporale dopo l'altro fiducioso che prima o poi si sarebbero imbattuti in qualcosa che avrebbe reso tutti loro ricchi abbastanza da smettere una volta e per tutte con quella vita e dedicarsi solo alla ricerca della Terra Primigenia.
Il pianeta aveva la sua ubicazione da qualche parte nella galassia a spirale barrata che ospitava anche Terra 2 e durante la ricerca univano l'utile al dilettevole: l'utile si definiva dopo la vendita dei pezzi recuperati e il dilettevole nel mentre saltavano da un settore della galassia all'altro al fine di realizzare il primo passo; in quanto crescevano, e in modo esponenziale, le loro possibilità di trovare il pianeta azzurro per eccellenza.
Il motivo per cui ora la Resiliente si proiettava a velocità sub-luce in un quadrante che, da quel che si diceva, era molto promettente.
Però quando Alejandro vide apparire sugli schermi olografici quel monolito immenso, restò a bocca aperta. Se la sagoma della Resiliente poteva definirsi assai stramba, pareva la chela di un granchio gigantesco, l'astronave là fuori, se così poteva definirsi, usciva fuori da ogni canone. Dire immensa era riduttivo e la sua forma ricordava tanto la punta d'una lancia. Ma ciò che lo lasciava ancora perplesso e frastornato era il fatto che quella cosa non avesse punti di attracco o aperture visibili a occhio nudo. Si presentava come un unico blocco triangolare la cui intera superficie, da ogni lato la si osservava, si mostrava liscia come la testa del suo nostromo. Inoltre, la luce non veniva riflessa sulla sua superficie, ma assorbita come se si trattasse di un buco nero in miniatura.
Sempre se si potesse definire miniatura un continente e quindi, nel caso i suoi occupanti si fossero mostrati ostili, non sarebbero stati in grado di difendersi.
La Resiliente era un vecchio incrociatore d'assalto lasciato alla deriva dopo la grande epurazione. Alejandro e i suoi uomini gli avevano ridato vita con il convertirlo a cargo merci e quindi avevano dovuto sacrificare ventisette dei cannoni a impulso. Ora solo nove risultavano attivi e avrebbero potuto ben poco contro quel mostro spaziale.
Tuttavia, per quel che intendevano fare con la Resiliente bastava loro a guadagnarsi da vivere. Anche se la maggior parte dei crediti finivano nelle tasche di gestori di bordelli, bar e case da gioco e, tempo tre giorni al massimo, si trovavano costretti a ripartire alla ricerca di altri relitti da saccheggiare, in un continuo peregrinare da un sistema planetario all'altro senza sosta.
Pertanto, quell'astronave immensa poteva essere per loro il colpo grosso che aspettavano da tempo: con quanto avrebbero trovato al suo interno ci si poteva guadagnare moltissimo, ma prima di abbordarla dovevano accertarsi che a bordo non ci fosse anima viva.
Alto il giusto e ben piazzato, Alejandro incuteva timore al primo sguardo. Stempiato e con un naso aquilino incastonato in un viso dai lineamenti marcati, oltre ad avere un corpo massiccio era dotato di un quoziente intellettivo superiore alla media. Ma ciò che l'equipaggio temeva più di lui era che riusciva a prevedere tutto prima che accadesse. Pertanto non si era perso in chiacchiere, se voleva impossessarsi della tecnologia che aveva fatto muovere quell'ammasso di materia ambulante, ciò che a lui faceva più gola, doveva entrare per primo. Per cui puntò le sue iridi azzurre in quelle piccole e nere del nostromo, un omone dal viso paffuto e dalla testa calva come un uovo, e con tono fermo e risoluto lo ammonì: «Perché quella faccia, Hernandez? Su, metti in movimento la Resiliente. Voglio che la accosti il più possibile all'astronave davanti a noi. Devo sapere se c'è qualcuno a bordo che la governa.»
«Scusi, capitano, ma siamo sicuri che si tratti di un'astronave? A me non pare proprio.»
«E cos'altro potrebbe essere? Di certo non è un asteroide. Come puoi ben vedere, la superficie di quell'ammasso di chissà cosa è liscia e levigata come la tua testa. E non credo sia stato il vento solare a renderla tale. Quella è la madre di tutte le astronavi... scommetto tutto ciò che possiedo che lo è... poca roba a dire il vero. Dunque fai il bravo e accosta. E tu...» Non riuscì a finire la frase, il fumo del sigaro, che stringeva sempre tra i denti, gli andò storto e dalla sua bocca uscì un rantolo sordo e grasso. Ma dopo aver sputato in un contenitore apposito ciò che sostava in gola, con voce gracchiante la finì: «... Apri un canale. Sentiamo se c'è qualcuno ancora vivo lì dentro. Dieci minuti al massimo, allo scadere, se non riceveremo risposta, la abborderemo. Se invece lo facessero allora chiederemo loro un bel po' di crediti in cambio del nostro aiuto. Avranno di certo dei problemi seri se da quando siamo arrivati non si sono mossi di un millimetro. E voi fannulloni» bofonchiò irritato verso tre uomini dalle facce torve e gli occhi che brillavano in previsione di un ricco bottino «andate a indossare le tute gravitazionali, vi voglio pronti a uscire nel caso non lo facessero.»
«Come già fatto, capitano.»
Il terzetto s'incamminò verso la camera attigua a quella stagna, dove si trovavano allocate le tute spaziali e le attrezzature per l'uscita nel vuoto siderale.
«Capitano! Ho provato su tutte le frequenze, però nessuna risposta, tutto tace. Tuttavia, dovremmo tenere conto che potrebbero non volere entrare in contatto con noi e mi chiedevo... ecco, scusi, ma se questo è il loro volere, non pensa che aprire un varco con la forza nel loro scafo potrebbe farli incazzare di brutto? Dovremmo pensarci su prima di fare cose di cui potremmo pentirci e, anzi, se ce la filiamo da qui, adesso che siamo ancora in tempo, sarebbe molto saggio. Non lo pensa anche lei, capitano? Se tanto ci dà tanto, potrebbero evaporare la Resiliente in un batter di ciglia.»
Alejandro guardò il suo subalterno con livore per poi redarguirlo severo in volto: «Ti rammento che questo è il nostro lavoro, nel caso lo avessi dimenticato. Pertanto è deciso, preparatevi tutti, la deprediamo.»
Così al ritorno dei tre uomini in plancia, pronti a uscire, Alejandro li fermò: «Non avrete mica pensato che lasciassi a voi tutto il merito. Aspettate, infilo la mia tuta e vengo con voi, ragazzi.»
«Io intanto cosa faccio, capitano?»
«Semplice, deposita la Resiliente con delicatezza sopra l'astronave, Hernandez.»
«Depositerò la Resiliente sopra di essa come una farfalla su di un bel fiore, capitano.»
Il nostromo planò con dolcezza. Usò solo i retrorazzi e, toccata la superficie, spense i motori a impulso. Mentre il comandante si preparava per l'uscita, Hernandez si soffermò sugli enormi schermi olografici. Però non c'era niente d'interessante da vedere, a parte una distesa liscia e pianeggiante a perdita d'occhio e di cui non vedeva la fine. Inoltre nessuna fessura o incrinatura lasciava presagire ci fosse un passaggio da cui poter entrare, ma allo spostare lo sguardo sugli strumenti di bordo, sorrise.
Ma solo quando il capitano tornò, tutto bardato, rivelò il motivo a tutti i presenti: «Ho una buona notizia, capo. Non sono necessarie le calzature pesanti e nemmeno il gancio di sicurezza. L'astronave possiede un suo campo gravitazionale e non vi alzerete in volo.»
«Ne sei certo?»
«Questo dicono gli strumenti e di solito non sbagliano. Comunque, fossi in lei, non uscirei là fuori a priori... è solo una perdita di tempo. Ecco, non c'è niente che possa interessarci, solo chilometri e chilometri di nulla e mi creda, preferirei trovarmi in un deserto assolato, piuttosto che sopra questo buco nero mancato.»
«Concordo, non c'è niente da vedere, è vero. Tuttavia a me non interessa il sopra, bensì il sotto... anzi, il dentro. Quello che custodisce all'interno, Hernandez. Abbiamo strumenti che possono trapassare la materia più dura come fosse burro e, per quanto possa essere resistente la corazza di questa astronave, non credo resisterà a lungo sotto la spinta di una lancia fotonica. Quindi non ti preoccupare, al massimo torneremo a mani vuote, la qual cosa non è una novità.»
«Beh, è lei il comandante... Però non dica che non l'avevo avvisata se qualcosa andasse male.»
«Tranquillo, se avessero voluto farci del male, l'avrebbero già fatto.»
«Comunque occhi aperti, il mio sesto senso dice di non fidarci.»
«Ascolta, se tutto va' come prevedo, torneremo a casa più ricchi di quanto avessimo mai pensato di diventare.» E rivolto verso il più grosso dei tre uomini, e non per la sua stazza ma la grossa pancia che si portava appresso: «Hai preso tutto il necessario, Dantès?»
«Sì, capitano. Con questa nuova lancia fotonica apriremo un varco quanto il culo di una balena su quella cosa là fuori.»
«Almeno un ottimista tra l'equipaggio ce l'abbiamo e... scusa, ma che ne sai quanto è- Come non detto. Lascia perdere, non lo voglio sapere. Siete pronti, ragazzi?»
«Sì, capitano. Come sempre, d'altronde.»
«Ci sarebbe da discutere su questo, ma non è il luogo né il momento adatto.»
Alejandro si fece avanti fino alla cabina di depressurizzazione. Dietro di lui c'erano i tre uomini e, una volta entrati, la paratia si chiuse dietro di loro silenziosa.
Come aveva assicurato il nostromo, potevano camminare senza saltare come canguri. Gravità che però non venne accolta di buon grado da tutti.
«Senza avremmo faticato molto meno, almeno io, capitano.» Sbuffò Dantès per poi ansimare come un vecchio mantice.
Se Alejandro aveva voluto con sé Tracagnotto, così chiamavano Dantés per via della sua enorme stazza, era perché lui sapeva usare a menadito la lancia termica: in mani sbagliate avrebbe potuto incepparsi e richiedere ore solo per reimpostarla con tutti i parametri necessari al suo buon funzionamento. Quindi, per evitare che gli venisse un infarto prima di portare a termine il suo incarico, non si allontanò di molto dalla Resiliente.
«Puoi posizionare la tua attrezzatura anche qui, Dantès, tanto qui sopra un posto vale l'altro, è tutto uguale ovunque si volti lo sguardo.»
Mentre gli altri si allontanavano, onde evitare che qualche scheggia impazzita danneggiasse la tuta, Dantés si mise all'opera: la sua tuta possedeva un campo di repulsione e non correva il rischio che si lacerasse.
Terminate le operazioni di allestimento, Dantès aveva calibrato la lancia in modo che il raggio incandescente impattasse man mano sulla superficie e, una volta sicuro, schiacciò il pulsante.
Una luce intensa e compatta fuoriuscì dalla canna dorata per poi impattare sulla superficie liscia e dura dell'astronave. Il raggio rovente, però, non penetrò; tornò da dove era uscito e ridusse la lancia in mille frammenti, che poi vennero scagliati a velocità fulminea in ogni direzione e sfortuna volle che alcuni pezzi lacerarono le tute dei tre uomini in più punti. Aperture da cui iniziò a fuoriuscire l'ossigeno a loro vitale.
All'interno delle tute i poveretti potevano sentire il sibilo sinistro che preannunciava il sopraggiungere della loro morte. De i malcapitati volevano sopravvivere, dovevano rientrare a bordo il più in fretta possibile. Ma pur se la resiliente era a pochi passi da loro, in quel frangente sembrava lontanissima."
L'equipaggio a bordo era stato allertato dal nostromo e si trovava tutto riunito in plancia di comando: una decina di uomini pronti a intervenire nel caso le cose si fossero messe al peggio.
Alcuni avevano predisposto le camere iperbariche e per fortuna non vennero utilizzate, il terzetto riuscì a rientrare in tempo utile.
Subito dopo aver tolto il casco, il capitano assalì Dantès: «Si può sapere cosa è successo? Eppure avevi detto che la nuova lancia era indistruttibile.»
Il trivellatore non diede peso alle giuste rimostranze del capitano. Rifletteva su come poteva essere possibile che la canna della nuova lancia fotonica fosse finita in frantumi. Ma ancor più che non c'era nemmeno un graffio sulla superficie dell'astronave dopo il terrificante impatto.
Alejandro si aspettava una delucidazione in merito e se Dantès non voleva farlo alterare più di quanto non lo fosse già doveva almeno aprir bocca.
«Non saprei, capitano. È la prima volta che vedo accadere una cosa del genere e sono sbalordito quanto lo è lei. Posso affermare soltanto questo con assoluta certezza, nessun elemento a noi conosciuto sarà mai in grado di scalfire la materia di cui è fatta l'astronave su cui ci troviamo. Mi spiace dirlo, capitano, ma dobbiamo rinunciare al bottino che ci eravamo prefissati. Salvo qualcuno dall'interno non ci inviti a entrare.»
Tolto il casco, Alejandro afferrò un grosso sigaro e, dopo averlo acceso e stretto tra i denti, si rivolse all'addetto alle armi con il soffiargli sul volto una boccata di fumo e ordinargli con piglio severo: «Prepara le batterie dei cannoni ionici. Voglio proprio vedere se la corazza di quella cosa resisterà a una potente bordata ben assestata.»
L'addetto alle armi si chiamava Demiurgo ed era un omino tutto pelle e ossa. Tuttavia non lo si doveva sottovalutare, conosceva le arti marziali e poteva mettere giù uomini tre volte più grossi di lui e con estrema facilità. Inoltre eccelleva anche con le armi da tiro e non mancava mai un bersaglio. Quindi iniziò subito a preparare gli strumenti che gli avrebbero permesso di fare centro anche se, vista la stazza, chiunque altro avrebbe potuto farlo con estrema facilità.
Dopo averli regolati a dovere, Demiurgo si voltò con un sorrisino che la diceva lunga su quanto fosse felice di quel compito.
«Le batterie a impulso sono state calibrate a dovere, capitano. Quindi possiamo iniziare i fuochi d'artificio anche subito, se lo desidera.»
La Resiliente si trovava a distanza di sicurezza dalla presunta astronave e l'omino non aspettava altro che Alejandro gli desse l'ordine di procedere. Che arrivò puntuale e preciso: «Fai pure fuoco, Demiurgo.»
Tirate a sé due leve, nove raggi rosa violaceo uscirono da altrettante bocche di cannone. Saette luminose che si allontanarono vivide per poi colpire la superficie dell'astronave con un bagliore paragonabile all'esplosione di una supernova.
Quando aprirono gli occhi, ciò che videro lasciò tutti ammutoliti.
Il silenzio però venne sostituito dalle urla di Alejandro: «Come può essere possibile che la superficie di quella cosa sia ancora intatta? Spiegatemelo. Vi prego. Almeno tu, Demiurgo... Dopo una massa di energia che avrebbe annichilito un intero pianeta, non è rimasta nemmeno l'ombra di una scalfittura. Eppure abbiamo concentrato la potenza di nove cannoni a impulso in un unico punto.»
«Non so spiegarlo nemmeno io, capitano. Però potremmo riprovare, cosa ne dice? Forse con un'altra bordata avremo più fortuna.»
«Hai ragione. La corazza di quell'astronave non potrà resistere a un altro attacco concentrato. Procedi pure con la ricarica e, non appena pronto, aprì pure il fuoco.»
Ci volevano alcuni minuti per la ricarica che Demiurgo utilizzò per osservare ciò che trasmettevano in tempo reale gli schermi olografici. Ormai non aveva più dubbi sul fatto che l'astronave oltre misura fosse stata plasmata da esseri senzienti molto più evoluti di loro. Quindi si chiedeva perché l'avessero lasciata alla deriva, ma senza trovare una risposta plausibile. Comunque era certo che a bordo non ci fosse nessuno, dopo un attacco di quella potenza, se ci fosse stato qualcuno si sarebbe di certo palesato.
Un trillo acuto scosse Demiurgo e tornò al presente. Le batterie erano cariche e a sua volta, con voce squillante, avvisò Alejandro: «Sono pronto a fare di nuovo fuoco, capitano... cosa faccio, procedo?»
«Dunque ci riproviamo. Molto bene, speriamo solo che questa volta Dio ci dia una mano.»
L'addetto alle armi ripeté l'operazione di riarmo e subito dopo altri nove raggi uscirono da altrettante bocche per abbattersi sulla superficie dell'astronave. Lo fecero con rinnovato vigore, ma il risultato non cambiò, nessuna scalfittura era apparsa sul quel monolito nero come la notte più buia.
«Arrivati a questo punto, è inutile sprecare altra energia con una terza bordata. La corazza di quella cosa è impenetrabile e non rimane altro che tornare alle nostre vecchie abitudini. Non concorda anche lei? Suvvia... non si abbatta. Non è colpa sua e nemmeno nostra se abbiamo fallito nell'intento. Quanto si poteva, e potevamo fare, è stato attuato con tutti i crismi. Dobbiamo arrenderci all'evidenza... troveremo altro su cui mettere le mani e arricchirci. La galassia è immensa, non mettiamo limiti alla provvidenza, capitano.»
Dopo averci riflettuto su un bel po', Alejandro ribatté con una punta di rammarico nel tono: «Ne convengo, però sappi che mi piange il cuore a lasciare dietro di noi miliardi di crediti senza un padrone.»
«Sono d'accordo, però non possiamo fare altro e piangerci addosso è inutile, non porterà nulla nelle nostre casse.»
«Hai ragione, andiamo via da qui.»
Alejandro era tornato sicuro di sé e, voltatosi verso il nostromo, il quale non aspettava altro: «Portaci via da qui, Hernandez, mi viene l'orticaria al solo guardarla quella cosa impossibile.»
«Era ora, capitano. Scusi... dove vuole andare di bello?»
«Ovunque, basta che tu metta più parsec possibili tra noi e quella maledetta astronave.»
Il nostromo non se lo fece ripetere, aperto un varco spazio-temporale, vi fece entrare la Resiliente e lasciò l'astronave misteriosa al suo imperscrutabile destino.
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