Preparativi
Doveva affrontare un lungo viaggio e prima di partire doveva fare provviste di cibo. Perlopiù frutta secca ed erbe aromatiche, tanto durante il tragitto avrebbero raccolto patate dolci e funghi commestibili e insieme a quelli potevano preparare un'ottima zuppa. Inoltre si era premurato di fare scorte di unguenti e garze nel caso si fossero feriti e, dopo aver stipato anche quelli, rimase giusto un cantuccio per l'otre colma di l'acqua fresca e non entrava null'altro, manco se avesse spinto. Quindi prese la bisaccia piena e, aperta la porta, Silvius uscì e sceso in basso si diresse verso il luogo previsto per la partenza. E mentre andava a passo spedito, rifletteva sul da farsi. Stavano per lasciare la protezione della cupola senza sapere con esattezza cosa avrebbero trovato durante il tragitto. Fuori dalla Cittadella esistevano altri mondi da scoprire che sarebbero stati sì, meravigliosi, ma allo stesso tempo pieni zeppi di pericoli sconosciuti. Pertanto aveva da pensare a cosa non fare per evitare di trovarsi nei guai fino al collo. Certo, in caso di pericolo si sarebbero aiutati a vicenda, ma riguardo alle scelte difficili da prendere quelle spettavano soltanto a lui. Il luogo in cui presto si sarebbero inoltrati, salvo Eriel, era per tutti loro un territorio inesplorato e un passo falso o una scelta sbagliata ne avrebbero pagate le conseguenze a caro prezzo.
Se poi lui teneva conto che oltre agli scrigni di cristallo e ai relativi Custodi della parola aveva da scovare il rifugio di una maga, di cui peraltro nessuno alla Cittadella aveva mai sentito parlare, il tutto diventava ancor più complicato da gestire. Dunque il viaggio si palesava essere già pieno di incognite da risolvere prima ancora di iniziare. Infatti le complicazioni erano arrivate puntuali. La premessa che gli diceva chiaro e tondo in cosa stava per impelagarsi: dopo quanto riferito a Soffio dalla Signora in rosso, era andato alla locanda dell'Olmo per interrogare Bernardo. Il locandiere di solito sapeva tutto di tutti, ma gli aveva riferito di non aver mai sentito parlare di una maga di nome Siria. Quindi la maga doveva per forza avere la propria dimora in uno dei mondi protetti dai sacri alberi ed ecco spuntare il problema. Però mentre cercava la soluzione gli arrivò l'illuminazione. Giacché la Signora in rosso aveva detto che avrebbero dovuto trovare la maga Siria prima di partire alla ricerca degli altri scrigni, e lei non era una Norberiana, il "prima partire" doveva intendersi da Allister, la loro prima tappa e quindi Siria era un Elfa.
Risolto il problema maggiore, Silvius passò sul da farsi prima della partenza. Oltre a Soffio, Lucylla, Helias e Amelia si erano aggiunti Bastet, Alisei e Drusilla. Però mancavano all'appello ancora tre Custodi della parola e si sarebbero accodati durante il viaggio. Ma lui non sapeva nulla sul loro conto, come riguardo a Bastet, Drusilla e Alisei, se non quel poco riferitogli dal maestro e solo un aspetto li associava tutti, erano gli unici che potevano aprire gli scrigni di cristallo e dovevano per forza entrare a far parte del gruppo.
Le inquietudini accompagnarono Silvius fino all'arrivo sul luogo dell'appuntamento. Però rimase in disparte, si fermò spalle al tronco di un Abete a osservare quelli arrivati prima di lui. Si chiedeva se fossero davvero pronti ad avventurarsi nell'ignoto e si diceva, dubbioso, che forse non lo erano tutti. Anche se non sapeva nulla sul loro passato, come del suo, li aveva frequentati abbastanza da capire che quei sorrisi erano di circostanza. Conoscevano tutti Drol e sapevano che avrebbe provato prima o poi a entrare nelle loro teste. Perciò sarebbe bastata una piccola distrazione da parte loro, dovuta all'inesperienza, a cui poi si fosse aggiunta la paura, e il più debole sarebbe caduto in uno dei suoi maledetti incubi. La paura andava domata, ma non sempre era facile tenerla a bada e Drol non aspettava altro. Per cui non si era risparmiato, li aveva avvisati più volte circa la minaccia che il Signore oscuro rappresentava e del pericolo che correvano se si fossero lasciati sopraffare da essa. Avere la Signora dei sogni nel gruppo non voleva dire salvezza certa, Alfonsin era stato solo fortunato e, anche se non tutti avevano capito davvero quanto fosse reale la minaccia rappresentata da quel mostro, era comunque fiducioso. Perché presto lo avrebbe affrontato per eliminarlo una volta e per sempre. Però per arrivare alla Fortezza dovevano partire e arrivare sani e salvi fino al luogo dell'incontro stabilito con Eriel. Quanto prima, ogni giorno passato alla Cittadella a poltrire dava a quel mostro più potere.
Intanto che rimuginava su come eliminarlo, la principessa Bastet andava su e giù impaziente di partire e Anat la seguiva a ruota per tranquillizzarla. Mentre Lucylla ed Helias si guardavano negli occhi come due innamorati e stessa cosa facevano Soffio e Alisei. Poi Silvius, al vedere Drusilla, si soffermò a guardarla. Non si fidava per niente di quella donna, ma a detta del maestro era un Custode della parola e non poteva mandarla via. Perciò passò oltre e vide Helias, l'impenitente parlava con una ragazza mentre Lucylla lo osservava accidiosa e lui non avrebbe voluto essere al suo posto, dopo. Helias non si smentiva mai, da quando lo conosceva non era cambiato di una virgola. E aveva pure un altro difetto, beveva troppo e dopo attaccava briga. Tuttavia un pregio lo aveva, se c'era da dare una mano, si faceva sempre in quattro per aiutare. Certo, a volte litigavano, ma bastava una pacca sulle spalle e le incomprensioni venivano superate. Ma ora non poteva fermarsi a pensare a questo, aveva una missione da portare a termine e tutto il resto passava in secondo piano.
Prima di inoltrarsi al di là del confine oltre il quale la protezione del sacro Tasso perdeva la sua efficacia, Helias, Alisei, Lucylla, Soffio e Amelia volevano dare un ultimo saluto alle persone con cui per tanto tempo avevano interagito.
Drusilla, Bastet e Anat attendevano che finissero, mentre Silvius cercava tra i tanti volti dei convenuti quello di Artemide: c'era la concreta possibilità che non si sarebbero più rivisti e voleva salutarla. Però non la vedeva e si pentì di quanto gli aveva detto; come della promessa fatta ai senza casa, quel "tornerò con la pietra iridata che darà accesso a tutti noi a un nuovo mondo libero dal giogo di Drol". In quanto non era del tutto certo di riuscire a mantenerla, come di rivedere Artemide per scusarsi. Poi, al guardare i volti degli astanti, non era il solo ad avere quel senso di rimorso, c'era stampata rassegnazione, come se il loro fosse un addio e non un arrivederci a presto.
Silvius non poteva più tergiversare e, anche se Artemide si fosse fatta vedere, non sarebbe andato a salutarla: se intendeva fare un bel pezzo di strada prima del tramonto, doveva muoversi. Quindi si alzò e gridò rivolto al gruppo: «L'ora è giunta, prendete le vostre cose, si parte.»
Solo quando li vide tutti in fila uno dietro l'altra, s'incamminò lungo un sentiero poco battuto, e senza voltarsi: se avesse visto Artemide, ci sarebbe rimasto male.
Dovevano destreggiarsi non poco a scansare arbusti e rami caduti, tuttavia il disagio non durò a lungo, uscirono presto dal folto della foresta e si ritrovarono su di un alto promontorio dove Silvius si fermò in attesa che gli altri lo raggiungessero.
Le prime ad arrivare furono Amelia e Drusilla e, al vedere lo spettacolo sotto di loro, rimasero a bocca aperta. Poco dopo anche Helias, Alisei, Lucylla, Soffio e Bastet, rimasero altrettanto stupiti. Da quel punto privilegiato, potevano ammirare una distesa di fiori dai colori sgargianti la quale perdeva fin dove l'occhio arrivava. E a fare loro da confine delle altissime montagne le cui cime abbagliavano la vista per il candore della neve caduta.
Saziata la vista e l'Anima, Silvius riprese il cammino per imboccare un sentiero verso valle. Gli altri lo seguirono senza dire una parola: affascinati dalla bellezza del posto, non volevano distrarsi. E poi le parole non sarebbero bastate a dare il giusto merito a una natura selvaggia che esprimeva tutta se stessa per dare piacere a chi la osservava senza nulla chiedere in cambio. Quindi per loro il minimo per ringraziarla era di ammirarla in ossequioso silenzio.
Durante la discesa incrociarono due cavalli. Gli equini brucavano il manto erboso sotto un Sole caldo e abbagliante e Silvius, nell'osservare il lento dondolare delle loro teste andare su e giù al fine di strappare l'erba fino alla radice, pensò che se ce ne fossero stati altri, avrebbero agevolato loro il cammino; ma forse non tutti sarebbero stati capaci di cavalcarli e rigettò l'idea di fermarsi a cercarne degli altri.
Arrivati a valle, proseguirono attraverso un prato fiorito e poi un tratto boscoso per finire in una radura al cui centro si ergeva un grosso casolare. Da tempo non ne vedevano di simili e Silvius iniziò a fantasticare su come sarebbe stato bello viverci con la bella Bastet. Però quando si voltò verso di lei, per tutta risposta la principessa, come se lo avesse intuito, si voltò infastidita da un'altra parte.
Silvius lasciò correre la scortesia, era curioso di sapere se in quella casa ci fosse qualcuno e si ripropose di fare quattro chiacchiere con la principessa alla prima occasione favorevole. «Cosa ne dite di vedere se è abitata? Potremmo chiedere agli occupanti della verdura fresca. Sul retro ho intravisto un orto e di certo ne avranno, daremo in cambio qualche unguento medicamentoso.»
«Ha ragione Silvius. Sarebbero l'ideale. Io e Soffio abbiamo raccolto dei funghi e delle patate dolci e potrei preparare per tutti una buona zuppa.» Gertrude aveva dato a Lucylla la ricetta per cucinare la sua famosa zuppa per ringraziarla di essere andata a chiamare la Signora dei sogni e le mancavano alcuni ingredienti che sperava di trovare lì.
Il casolare pareva solido e chi lo aveva tirato su aveva incastrato dei grossi tronchi di Abete con maestria. Per cui, oltre a sembrare resistente a ogni tipo di intemperia, niente avrebbe potuto abbatterlo, salvo il fuoco, pensò Silvius nel farsi avanti. Ma quando terminò il giro attorno al casolare capì che forse era stato abbandonato, nell'orto vi era solo erba secca e la porta d'ingresso risultava essere semiaperta. Lui allora l'aprì del tutto e, dopo averla bloccata con una zeppa di legno, entrò.
Silvius venne subito accolto dalla polvere, la quale aveva preso possesso dell'ambiente e da quel che vide prima di lui doveva essere passato Drol o qualche suo accolito. Al centro della stanza vi era una tavola apparecchiata per quattro commensali e dovevano aver finito di mangiare. Erano rimasti solo gli avanzi ammuffiti nei piatti e a fare loro compagnia due brocche e quattro bicchieri vuoti; e di due si capiva ci avessero messo del vino dal fondo macchiato di rosso.
Allo spostarsi in un altro ambiente, la parete di fronte era occupata da un grosso mobile con sopra un vaso contenente dei fiori ormai rinsecchiti. Le pareti a sinistra e destra invece venivano occupate da quattro giacigli, due per parte, dove si trovavano distesi i corpi inanimati di due donne e due uomini.
Silvius a quel punto non ebbe più dubbi su chi addossare la colpa e maledisse Drol con tutto se stesso. Aveva rubato le Anime a quei poveri contadini mentre riposavano dopo una lunga giornata di lavoro nei campi e solo per il proprio tornaconto; quale fosse non lo aveva ancora capito, ma glielo avrebbe chiesto non appena si fossero trovati faccia a faccia e, se la scusa si fosse dimostrata frivola, non lo avrebbe perdonato per nulla al mondo.
Stante non ci fosse null'altro da vedere, Silvius si voltò e dietro di lui c'erano tutti gli altri: lo avevano seguito e si guardavano intorno sconsolati alla sua stessa stregua.
Usciti da quella desolazione opprimente, Silvius si rivolse a tutti: «Avete visto anche voi di cosa è capace quel mostro di Drol e quindi sarete d'accordo con me che deve essere fermato, a ogni costo. Ma per avere successo, dobbiamo mettere da parte le nostre paure, altrimenti faremo la stessa fine di quei poveretti.»
Nessuno intervenne e, dopo aver dato una degna sepoltura ai contadini, riempite le otri con dell'acqua fresca, si lasciarono dietro le spalle il casolare per tornare sul sentiero e incamminarsi verso l'ignoto.
Non ce la facevano più a proseguire, soprattutto Amelia, la quale aveva preso una storta e proseguiva con fatica. Il dolore si faceva sentire sempre più e, tenuto conto che Silvius intendeva proseguire, Helias lo raggiunse.
«Dobbiamo fare una sosta e subito, amico mio. Amelia si è slogata una caviglia e se non la fascia al più presto peggiorerà. So che vorresti continuare, ma a questo punto direi di fermarci.» E dopo essersi avvicinato a un suo orecchio: «Dobbiamo fare una sosta, Silvius. Altrimenti te li metterai tutti contro.... compreso me.»
Helias aveva ragione, pensò Silvius e, alzata una mano per attirare l'attenzione: «Per oggi basta, ci accamperemo qui per la notte.» Avrebbe voluto proseguire, c'era ancora luce e potevano fare un altro bel tratto di strada. Ma se la caviglia di Amelia si fosse gonfiata ancor più, rischiava di doverla portare in spalle, oltre al doversi sorbire le lamentele di tutti gli altri e con ragione.
«Scusa, Amelia, avrei dovuto fermarmi prima. Ora cercati un posticino tranquillo al riparo dal vento e riposati, domani ti voglio di nuovo in forma.»
«Perdonami tu, Silvius... colpa di un buco non visto per tempo.»
«No, la colpa è mia. Se avessi rallentato il passo, non sarebbe accaduto.»
Accampatisi nei pressi di alcune grosse querce, stabilirono innanzitutto di accendere un bel falò. Il freddo iniziava a farsi sentire e poi Lucylla doveva preparare la famosa zuppa di Gertrude. Notizia che portò una ventata d'allegria, anche se alcuni non credevano lei ne fosse capace. Poi nell'annunciare che la cuoca le aveva svelato il segreto per prepararla simile alla sua, si divisero i compiti per aiutarla. Lucylla andò alla ricerca delle erbe necessarie per la buona riuscita e lo fece da sola: Gertrude le aveva proibito di rivelare ad altri le spezie che servivano a farla deliziosa e non voleva tradire la fiducia da lei concessa. Helias come sempre predisponeva il bivacco. Invece Soffio si era addentrata nella boscaglia con Alisei e avevano il compito di trovare delle pigne per alimentare al meglio il fuoco. Amelia non poteva muoversi e Drusilla si unì a Silvius, insieme raccoglievano legna secca da ardere. Bastet non aveva compiti da svolgere e, nell'attesa che tutto fosse pronto, si accomodò spalle a una quercia a osservare gli altri darsi da fare, mentre Anat era andata a caccia del suo cibo preferito.
Raccolte le erbe e la legna, mancava solo il fuoco. Però Helias e Silvius non erano ancora riusciti ad accenderlo e Bastet, al sentirli imprecare, non poté fare a meno di osservare i due con una nota di incredulità mista a sincero divertimento. Il motivo era dovuto a Helias, continuava a cozzare due pietre con violenza al fine di far scoccare la scintilla giusta, ma senza trovarla e Silvius gli ripeteva che sarebbe stato meglio sfregare due bastoncini di legno. E mentre i due litigavano su cosa fosse più veloce come metodo, entrò in scena Alisei trionfante con in mano un acciarino e la relativa pietra focaia: «Ecco, con questo sarà tutto più semplice, amici miei. Prego. I vostri rimedi, anche se funzionali allo scopo, sono ormai superati.»
C'era una nota di sarcasmo nel tono del marinaio, ma Silvius e Helias lasciarono correre e anzi, scoppiarono a ridere. Una risata contagiosa e ridevano di gusto pure Drusilla, Amelia, Lucylla e Soffio. Il motivo scatenante sempre Helias, non voleva ammettere che il suo metodo non funzionasse e continuava, testardo, a battere le pietre uno contro l'altra nella speranza una scintilla scaturisse ad ardere la paglia e infine avere ragione. Però non accadeva e infine si arrese: «Eppure ero convinto di farcela.» Così non riuscì a trattenere un'altra grossa e grassa risata.
La cosa più sconvolgente, però, è che tutto quel buonumore aveva portato Bastet a ridere spensierata e il fatto non sfuggì a Silvius. Rimase affascinato dalla spontaneità con cui la principessa si era aperta e si diceva che in fondo non fosse poi così rancorosa come lasciava trasparire
Grazie all'acciarino, il fuoco alla fine era vivo e scoppiettante e ora Bastet poteva sentire la legna ardere vivace e allegra mentre le sue lingue rossastre si sollevavano in alto a rilasciare miriadi di scintille lucenti e loro, nel salire al cielo, come a volerlo riscaldare al posto del Sole, nel venire poi giù parevano tante stelle cadenti, a riscaldare il cuore di chi le osservava e quindi anche il suo.
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