Il sacro Tasso
Sorto il Sole, Eriel si sciacquò il volto e poi, raccolte le sue cose, destò la Volpe e ripresero il cammino una di fianco all'altra fino a quando l'astro non raggiunse lo Zenit, prima di scorgere il sacro Tasso, i cui rami si levavano alti nel cielo plumbeo a preannunciare la pioggia imminente. Però la principessa rimase affascinata dall'immensa mole del sacro albero e non badò alle nuvole minacciose all'orizzonte, inserì una mano nella tasca interna della giacca e afferrò la pietra iridata: senza quel talismano non avrebbe potuto accedere al suo mondo Prima di alzarla al cielo, però, doveva salutare la Volpe e non riuscì a trattenere una lacrima, la quale rovinò al suolo con il frammentarsi in tante piccolissime gocce a irrorare l'erba circostante. Non poteva portarla con sé ad Allister e si accomiatò dalla bestiola con il darle un bacio sul naso umido e in cuor suo sperare di incontrarla di nuovo, magari con i piccoli, pensò eccitata dalla cosa.
Solo quando la creatura svanì, inghiottita dalla vegetazione, Eriel si incamminò verso un prato erboso sovrastato da una moltitudine di fiori dalle tonalità vivaci e da un profumo intenso. La fragranza quasi la stordì e si fermò ad ammirare un fiore i cui petali al tocco vibrarono e ne rimase attratta. Tuttavia non lo raccolse, lo lasciò alle Api, le quali ne avrebbero avuto maggior cura di lei e si mise a correre a gambe levate tra i fiori a braccia aperte fino a quando non inciampò su delle sterpaglie e cadde distesa nel posto più morbido di sempre, una piccola oasi di fiori l'avevano accolta tra i loro petali lisci e setosi. Si stava d'incanto e lei, se in quel momento le avessero chiesto di rimanerci per sempre, non le sarebbe dispiaciuto accettare. Perciò si soffermò per un bel po' a osservare i raggi del sole filtrare attraverso i petali azzurri le cui sfumature, per quanto l'uomo si sforzasse di imitare la natura, non sarebbe mai riuscito a eguagliare.
Lei avrebbe voluto restare ancora un pochino, ma una vocina nella sua testa le sussurrò di alzarsi e riprese a correre per fermarsi davanti alle enormi radici del sacro Tasso. E allorché prese dalla tasca la magica pietra iridata, le sovvenne il quesito che aveva dovuto risolvere per ottenerlo. Era apparso sullo scrigno e il testo citava: "Un tesoro non visibile a tutti è racchiuso in un guscio il cui fulgore è abbagliante e la sua forza immensa. Di cosa si tratta?" La risposta da lei data era stata l'Anima e subito dopo lo scrigno si era aperto a mostrarne il suo contenuto. Un Talismano che lei nascose mise in una tasca e faceva ritorno verso casa, quando al passare davanti al sacro albero, udì la solita vocina nella testa che le suggeriva di prendere la pietra iridata e di alzarla al suo cospetto. E quando lo fece conobbe gli Umani per la prima volta. .
Con il Talismano alto sopra la testa, Eriel attendeva che si aprisse il portale d'accesso. Il quale poco dopo apparve luminoso e lei, dopo averlo attraversato sicura, attese si chiudesse prima di inspirare a pieni polmoni l'aria di casa sua. Dopodiché estese le sue percezioni sensoriali e si incamminò verso la direzione da cui provenivano le vibrazioni dell'Anima di suo padre: il contatto tra loro si era ristabilito e doveva essere molto vicino. Però non gli andò incontro, voleva fargli una sorpresa e si nascose dietro alcuni alti cespugli, certa che lui l'avrebbe percepita e si sarebbe messo in cammino per raggiungerla.
Seduto sul grosso tronco di un albero abbattuto dal vento, Uriel rimaneva assorto nei suoi pensieri nel silenzio di una natura ancora insonnolita. Il Sole aveva appena fatto capolino e molti degli abitanti del luogo se la dormivano ancora. Dal giorno in cui la sua amata figlia aveva lasciato Allister, per conoscere meglio gli Umani, lui si trovava spesso seduto su quel ceppo a pensarla. La natura dal canto suo lo tirava su con i suoi odori e colori. Tuttavia non bastava a rinfrancarlo, desiderava rivedere il volto sbarazzino della figlia e null'altro riusciva a dargli conforto. Anelava così tanto di rivederla, che spesso se la immaginava seduta accanto mentre gli parlava della natura e delle sue bizzarrie. Proprio come adesso. Ma questa volta non poteva essere un'illusione, sentiva forte la presenza di lei e doveva essere molto vicina. Così quando un fruscio catturò la sua attenzione, lo fece ben sperare. Però a interrompere la quiete di una natura ancora sonnecchiante era stata una Lepre e si scoraggiò di nuovo. La bestiola era uscita allo scoperto per capire chi fosse il rompiscatole e allorché lo vide si defilò con il lasciarlo di nuovo solo e sconsolato.
Poi, al sentire netta e distinta la presenza della figlia, Uriel si avviò deciso verso la sua scia odorosa e si fermò proprio davanti a un cespuglio dove era rimasto incastrato un buffo e a lui conosciuto cappellino. Per cui questa volta non poteva essere il frutto della sua immaginazione, pensò rallegrato di averla trovata. Il berrettino apparteneva a Eriel e doveva essersi nascosta lì per fargli una sorpresa; d'altro canto lo faceva spesso. Ma al guardare meglio, il cappellino si trasformò in una grossa foglia e pensò di aver preso un abbaglio, in quanto finora non aveva fatto che immaginare d'incontrarla e l'aspettativa poteva aver creato quell'inganno.
Nel provare a mimetizzarsi tra gli arbusti, Eriel non si era resa conto di aver lasciato spuntare la punta del suo cappellino e il padre l'aveva scoperta. Ma giacché lei voleva fargli a tutti i costi una sorpresa, si era abbassata fino a farsi piccola, piccola. Ed era riuscita nell'intento. Uriel, pur se percepiva la sua presenza, non l'aveva notata e ora, sconsolato, stava per tornare a sedersi sul vecchio tronco.
Eriel, al vedere suo padre strusciare i piedi sull'erba, mesto in volto, uscì allo scoperto con un balzo per poi correre a gambe levate verso di lui. E Uriel, al vederla arrivare, sorrise. Il legame a loro proprio si era ripristinato e la figlia, dopo averlo abbracciato, fin quasi a soffocarlo, stava per dirgli quanto le fosse mancato, che lui la zittì con una mano sulla bocca, come solo un padre poteva fare. Dopodiché la guardò amorevole e, prima che lei potesse di nuovo aprire bocca: «Innanzitutto devi riposare, figlia mia. Soltanto quando ti sarai rimessa in forze parleremo di te e degli Umani. Sei stanca e... no! Non negarlo, lo vedo dal tuo volto. Ancor più che hai fame di cose buone e no! Non farlo. Non guardarmi con quegli occhi da cerbiatta, non riuscirai a farmi cambiare idea.»
Eriel non aveva insistito, tanto non sarebbe servito a nulla e, seppure controvoglia, acconsentì e si incamminò con lui mano nella mano verso l'amata dimora e, varcata la soglia ed entrata in camera sua, indossate le vesti a lei più consone uscì per presentarsi al suo popolo. Suo padre le aveva preparato un comitato di accoglienza e rimase sbalordita per quanti erano giunti a omaggiarla. Si erano presentati addirittura i re dei clan di Vandar, Nondor e Salar. Una presenza inconsueta e provocò in lei un moto d'orgoglio. Non aveva mai pensato che popoli appartenenti ad altre contrade potessero amarla al punto da inneggiare il suo nome.
Come da usanza accesero un grosso falò e si riunirono intorno per consumare quanto la natura aveva donato loro: latte, formaggi, frutta e verdura fresca. E mentre Eriel assaporava con gusto ogni portata a lei servita, gli anziani raccontavano aneddoti su quanto era accaduto durante la sua assenza. Del padre che si era rotto il naso e fino alla completa guarigione aveva evitato di farsi vedere in giro per la vergogna. Del fabbro che per negligenza aveva dato fuoco l'officina e, nonostante ciò, lo avevano aiutato a costruirne una più bella e confortevole. E delle nuove nascite, ora potevano fare affidamento su: Targon, Urwel, Sarah e Thorongil. E di tanto altro ancora in perfetta armonia con il loro credo. Ma allorché i racconti terminarono, come pure le portate, la principessa iniziò a preoccuparsi. Il popolo voleva sapere cosa lei aveva visto dall'altra parte e non poteva rifiutarsi. Quindi, vinta la timidezza, raccontò loro quanto le era capitato durante la sua lunga assenza da Allister.
Terminato il suo lungo racconto, Eriel voleva andare a fare una passeggiata nel bosco a schiarirsi le idee, ma Uriel la prese sotto braccio e la fermò: «Lo so, ora ti senti in forze. Tuttavia non è il corpo che deve riposare, piccola mia, bensì la mente. Solo dopo una bella dormita ti sentirai meglio e ne beneficerà pure la pelle. Vedrai, domani il tuo volto sarà più bello e rilassato.»
Come le aveva detto il padre, al risveglio Eriel si sentiva come rinata. Ma doveva tonificare anche il corpo e si immerse in una vasca colma d'acqua ghiacciata e ne uscì solo quando si sentì rinvigorita.
Dopo essersi asciugata, Eriel prese il vestito lasciatole sul letto dalla governante, il cui colore faceva venire in mente i piselli, e lo indossò per poi uscire e incamminarsi verso la sala del trono.
Non appena udì i passi della figlia, Uriel accantonò tutti i suoi problemi. «Cosa ti avevo detto? Il riposo ti ha fatto bene? Sei bellissima e... scusa, tralasciamo le cose ovvie e dimmi cosa è successo e che agli altri non hai raccontato.»
Eriel si avvicinò e, dopo aver abbracciato il padre, gli parlò dei suoi amici e delle serate speciali vissute insieme a loro. Li nominò tutti uno dopo l'altro e poi, con il cuore in mano, gli parlò di Silvius. Dei suoi sforzi per cercare di tenere i senza casa al sicuro. Tuttavia non bastavano a fermare Drol ed entrava in gioco lui e il popolo degli Elfi.
«Padre, ai Norberiani serve il nostro aiuto. Il tuo per l'esattezza. Sì, loro vorrebbero l'altro scrigno di cristallo in tuo possesso. Con il Talismano avrebbero la possibilità di scappare e salvarsi dal nefasto destino scritto per loro da Drol. Gli Umani sono cambiati, padre. Sono più responsabili e hanno iniziato a rispettare la natura. Invero non tutti, ma la stragrande maggioranza lo fanno e i pochi rimasti alla fine li seguiranno per non essere da meno. Per questo hanno bisogno del nostro supporto, morale e materiale. Perché se quel mostro non viene fermato per tempo, prima o poi si presenterà alle nostre porte.
Il re degli Elfi ne era ben consapevole, ma in cuor suo aveva ancora forti dubbi riguardo al rinsavimento degli Umani. Tuttavia, se quel Silvius si fosse dimostrato degno, glielo avrebbe consegnato volentieri. Poi, al pensiero che con quel dono avrebbe di nuovo perso l'adorata figlia, sul suo volto apparve un'ombra cupa: Eriel avrebbe dovuto seguire l'Umano e chissà se sarebbe mai tornata ad Allister.
«E sia. Portalo pure al mio cospetto il tuo amico. Ascolterò le sue ragioni. Tuttavia, se queste non mi convinceranno, potrà scordarsi lo scrigno. Adesso vieni qui e lasciati abbracciare, figlia mia.» Uriel la tirò a sé e la tenne stretta come se quello fosse l'ultimo abbraccio.
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