Il grande saggio
Dacché Drol faceva sue solo le Anime dei sudditi del regno di Norber e non si interessava affatto di quelle dei sudditi dei Regni di Fargath, Gorath, Sharzana e Aradman, i Norberiani chiesero asilo ai reggenti di quei Reami. La richiesta però non venne accolta, per timore che il Signore Oscuro si interessasse anche alle loro Anime, li avevano minacciati di morte e, se un solo Norberiano si fosse presentato alle porte delle loro città, lo avrebbero giustiziato sul posto. Quindi si rifugiarono nella vicina foresta di Marghas, dove gli Elfi avevano abbandonato un villaggio e, una volta insediatisi, chiamarono la loro nuova casa Cittadella.
Per i senza casa, questo il nome affibbiato ai Norberiani, e per ovvi motivi, era stato un vero colpo di fortuna. La Cittadella sorgeva nel raggio d'azione di un sacro Tasso che emanava tutt'intorno una barriera magica che non permetteva a Drol di usare il suo potere. La si poteva vedere dall'alto di una collina e aveva la classica forma a cupola. Pertanto, chi vi sostava sotto e tutt'intorno, godeva del beneficio della sua protezione. Ma la cupola non avrebbe frenato per sempre il Signore Oscuro della Fortezza e i senza casa dovevano trovare, e al più presto, un altro rifugio sicuro, dove quell'essere spregevole non avrebbe avuto accesso alle loro deboli menti durante il sonno.
Il luogo esisteva e si trovava proprio all'interno del sacro albero, ma per accedervi ci voleva un Talismano, una pietra iridata custodita all'interno di uno scrigno di cristallo e uno di questi lo possedeva il re degli Elfi. Uriel però non aveva alcuna intenzione di consegnarlo agli Umani se prima non si fossero mostrati degni di meritarlo. Il motivo per il quale il grande saggio aveva convocato Silvius che, invece di precipitarsi dal maestro, temporeggiava fuori dall'uscio della sua piccola dimora collocata sul ramo di una grossa Quercia.
Nell'alzare lo sguardo al cielo sgombro da nubi, Silvius pensava che sarebbe stata una splendida giornata e quindi si diceva fosse un vero peccato sprecarla per sorbirsi il solito sermone. Poi, al volgere lo sguardo verso l'orizzonte, nuvole nere e minacciose gli annunciavano l'approssimarsi di un temporale e non lo sarebbe stata affatto. La conferma arrivò allorché una luce rossastra squarciò il cielo, e a cui fece eco il rombo di un tuono lontano ma insistente. La tempesta sarebbe arrivata a breve per scaricare il suo carico di pioggia e lui, se non fosse stato convocato, si sarebbe fermato a guardarla esprimersi in tutta la sua potente bellezza. Poi, al rifletterci sopra, sarebbero stati dolori per lui, l'ultima volta il maestro gli aveva calato sul capo quel suo grosso bastone nodoso e rientrò per vestirsi: un bernoccolo sulla fronte bastava e avanzava.
Presa la mantella e calato il cappuccio sul volto, Silvius uscì di corsa e, arrivato davanti alla scalinata, la imboccò. Giunto in basso, però, si rese conto di non avere le calzature adatte e, tornato indietro, tolti i mocassini e calzati gli stivali, ridiscese per inserirsi sul sentiero che lo avrebbe portato sotto l'albero su cui c'era la dimora del vecchio.
Il suolo non assorbiva più la pioggia ed era difficoltoso per lui camminare: gli stivali rimanevano avviluppati nel fango e per fortuna non incontrò nessuno sul cammino. Con quel tempaccio, chi poteva aveva preferito rimanere a poltrire e rimpianse di non aver potuto fare altrettanto.
Il vento costringeva la pioggia a venire giù di traverso e per ovviare al disturbo Silvius chiuse il cappuccio e ora solo gli occhi rimanevano allo scoperto. Cos imprecò fino a quando non giunse a destinazione e trovò ad attenderlo una guardia che sostava dinanzi all'ingresso
La guardia, non appena vide Silvius farsi avanti, si irrigidì e, preso dall'imbarazzo, lo accolse come se soffrisse di balbuzie. «Buon... giorno, signore. Beh... non direi... vista la pioggia. Ah, mi scusi... prego, entri e si metta al riparo, la mantella da sola non basterà a ripararla, oggi viene giù a secchiate.»
Doveva essere al suo primo turno di guardia, pensò Silvius, in quanto i più anziani si sarebbero messi al riparo e gli scappò da ridere. «Scusami. Devi perdonami, mi sono messo a fantasticare e... niente di serio. Dunque, come ti chiami?»
Il giovane sorrise per poi annunciarlo con impeto: «Alfonsin, signore!»
«Piacere, Alfonsin. Io sono Silvius e ti prego, non aggiungere più quel signore, rivolgiti a me come faresti con un amico e... scusa, parleremo della natura e di noi un'altra volta, non voglio fare aspettare il grande saggio.»
«A dire il vero al momento è occupato, sig... Silvius.»
«E con chi è? Se è lecito saperlo.»
«Artemide. È arrivata poco prima... ma la prego, entri, o si beccherà un malanno.»
«Grazie. Continueremo la nostra conoscenza dopo, sempre se ti va ancora, Alfonsin.»
«Certo, ho quasi finito il mio turno e non ho altri impegni dopo.»
Tolta la mantella, ormai zuppa, Silvius la pose su di una delle due sedie, gli unici arredi presenti nell'anticamera, e prese posto sull'altra. Nell'attesa rifletteva sul motivo di quella convocazione. Forse era giunto il momento di partire. Però non poteva essere, mancavano all'appello ancora alcuni Custodi della parola ed era improbabile. Così mentre lui rimuginava sulle possibili cause, nell'altra stanza il grande saggio e Artemide discutevano sul da farsi.
«No! Io cerco solo di farti comprendere che Silvius ha bisogno del mio aiuto e tu invece che io-»
«Niente da fare. Non mi incanti più, Artemide. Non posso farti entrare. È pericoloso e solo se non potrò proprio farne a meno permetterò alla tua Anima di trasmigrare in un altro corpo. Devi avere pazienza, ma se proprio vuoi sentirti utile, osservali tutti e poi riferisci a me se non seguono il programma, o ad Albert, se preferisci. Ma rammenta di non interferire in alcun modo sulle loro scelte, mi sono spiegato? Dobbiamo essere prudenti, devono arrivarci da soli a capire che... ma questo già lo sai ed è inutile che mi ripeto.»
Artemide non aveva alcuna intenzione di cedere e ripartì all'attacco: «Ti prego di ascoltarmi. Perché non la penso come te. Per me Silvius è pronto a conoscere la verità.»
«No! Il ragazzo non è affatto pronto... Ma perché continuo a parlare con te? Fino a prova contraria decido io chi lo è, chi lo sarà e chi non lo sarà mai. Dunque ricapitoliamo, ti è chiaro cosa non devi fare?»
«Sì.»
«Allora non farmelo ribadire.»
«Hai ragione. Tuttavia io penso si debba-»
«Basta! Non cambierò idea. Sai come la penso a tal proposito, perciò chiudiamola qui, è meglio.»
«D'accordo. Scusa, non volevo farti arrabbiare. Vado, ho alcune cose da sbrigare, però non è finita qui, continueremo la discussione dopo.»
«Come vuoi, tuttavia non cambierò opinione, sappilo.»
«Lo vedremo.»
Uscita con un muso lungo, al vedere Silvius il viso le si illuminò e gli regalò pure un bel sorriso. «Buongiorno, amico mio. Mi piacerebbe fermarmi, ma Il maestro ti aspetta e se non ti affretti son guai.»
«Sì, hai ragione e ah, con i capelli tirati indietro stai meglio, la luce colpisce in pieno il tuo volto ti rende oltremodo affascinante.»
Sapeva che quelli erano complimenti di circostanza. Silvius la vedeva come un'amica e lei, calato il cappuccio sulla testa, fino a coprirla del tutto, s'incamminò verso i gradini che portavano in basso con un piglio di malcelata tristezza sul suo bel volto.
Silvius salutò la biondina con la mano alzata e un sorriso per poi voltarsi ed entrare nello studio.
Il grande saggio non si rese conto della presenza di Silvius, osservava la pioggia cadere da una finestra e lui, chiusa la porta, rimaneva in attesa di essere notato.
La pioggia veniva giù da un cielo cupo e nero da fare paura e mai lui ne aveva vista così tanta cadere. Però non poteva fermarla e, al voltarsi, lo notò in piedi davanti alla porta. Però invece di salutarlo, il grande saggio si recò verso la grossa sedia posta dietro il tavolo da lavoro e, dopo essersi accomodato, appoggiò le mani sul grembo e prese a osservare Silvius serio mentre nel contempo rigirava i pollici con flemma misurata.
Il maestro era alto e magro come un chiodo e possedeva un volto scavato dal tempo e un naso grosso e bitorzoluto sotto il quale dei grossi baffi e una lunga barba bianca, che gli arrivava fino ai piedi, celavano una bocca sempre pronta a zittire chiunque dicesse delle corbellerie. Ma ciò che Silvius temeva più di lui erano i suoi occhi grigi e magnetici, con i quali lo scrutava senza abbassarli e temeva il peggio, soprattutto alla vista del bastone nodoso al suo fianco: se lui avesse aperto bocca prima di essere chiamato in causa, il maestro glielo avrebbe abbattuto con forza sulla testa. Motivo per cui non fiatò e, nell'attesa che gli esponesse i motivi di quella convocazione improvvisa, passò in rassegna il suo studio.
Uno scaffale colmo di libri albergava dietro l'enorme tavolo sul quale si trovavano, e in bella mostra, oggetti d'ogni sorta. Silvius si soffermò sul lume la cui luce dorata si posava su ogni cosa a mostrarla ancor più misteriosa. Come lo stiletto con il manico lavorato in madreperla e uno scrigno chiuso da un lucchetto e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di sapere cosa contenesse. Di lato invece vi era un calamaio colmo d'inchiostro nero e l'annessa piuma d'oca con la quale il maestro scriveva i lunghi discorsi da fare alle riunioni del Consiglio. Ma ciò che rendeva quella sala diversa da tante altre simili non erano gli oggetti insistenti, i quali avevano sì il loro fascino e pregio, bensì il disordine ordinato che regnava sovrano, come se monili e scartoffie avessero trovato da soli il posto naturale in cui stare senza dare fastidio agli occhi dell'osservatore.
Il grande saggio rifletteva su cosa dire a Silvius: con Artemide avevano discusso molto su quanto e cosa fosse meglio svelare e, di comune accordo, avevano scelto lo stretto necessario. Quel tanto da far sì ci arrivassero da soli e, sempre in armonia d'intenti, avevano optato per una versione alquanto verosimile che li spronasse a chiedersi se ci fossero altri mondi da visitare al di là della Cittadella. Poi le cose avevano preso una piega non prevista e si trovavano costretti ad agire prima di quanto loro avessero preventivato: il nemico comune si avvicinava sempre più a loro e avevano da accelerare i tempi. Per questo motivo aveva messo su una storia plausibile per far credere a Silvius che Drol fosse il nemico da eliminare. Dopodiché si era presentato al Signore Oscuro attraverso il volto di una donna sospesa a mezz'aria e lo aveva convinto a rubare le Anime dei ragazzi. Prelievo non necessario ai loro fini, serviva a spronarli a entrare nei mondi creati da loro stessi e di cui conoscevano l'esistenza solo per sentito dire. Sotterfugi necessari per tenerli uniti e farli ritrovare insieme in un unico luogo. Solo allora avrebbe detto la verità su chi erano e quale scopo loro avessero in un contesto più ampio e pericoloso di quello in cui finora avevano vissuto. Ma per far funzionare il piano alla perfezione, doveva mettere in campo altri giocatori e, siccome avevano poco tempo a disposizione e le cose da fare tante, dovevano accelerare la tabella di marcia.
«Scusa se ti ho fatto attendere, figliolo. Prego, non stare in piedi davanti alla porta, vieni pure avanti e accomodati.»
Al sentire la voce cavernosa del maestro, Silvius tornò in sé e, senza dire una parola, per timore del bastone, si accomodò su una delle tre sedie presenti e attese silente.
Non a lungo, subito dopo il grande saggio prese la parola.
«Devo parlarti di cose molto importanti, Silvius, perciò ascolta con molta attenzione, non lo ripeterò.»
«Dica pure, maestro. Sono tutto orecchie.»
«Dunque, ciò che sto per rivelarti è una faccenda molto delicata, per cui non prenderla sottogamba e soprattutto non distrarti, o ti ritroverai un altro grosso e doloroso bernoccolo sulla testa a fare compagnia all'altro.»
Silvius alzò la mano a toccare il rigonfiamento dovuto perché era intervenuto senza essere stato interpellato. E il maestro, al notarlo, non poté fare a meno di accennare un sorriso per poi tornare serio. «Scusa, dove ero rimasto? Ah, sì. Come sai, Drol si è arroccato alla Fortezza e da lì non ha intenzione di schiodarsi, almeno per il momento. E senza il rispettivo Talismano, nessuno potrà mai arrivare a lui per fermarlo. Ecco perché dobbiamo entrare in possesso di uno di quegli scrigni di cristallo di cui abbiamo parlato tempo addietro. Il mot-»
Silvius aveva alzato lo sguardo sulle travi sopra la sua testa per fare mente locale e il maestro lo guardò cupo in volto. «Se non sbaglio ti avevo detto di non distrarti... allora vuol dire che desideri proprio un altro ber-»
«No! Maestro. Continui, non accadrà più.»
«Ottimo. Allora... il motivo del perché tu e i tuoi compagni vi metterete in marcia per Allister, il Regno degli Elfi è quello di incontrare il loro re. Uriel è in possesso di due dei dodici scrigni esistenti e dovete fare in modo di convincerlo a darvene uno. A farvi da guida sarà la figlia, Eriel. La principessa Elfo conosce la foresta al di là della cupola meglio di chiunque altro e sarete in buone mani. Partirete non appena vi raggiungeranno altri due Custodi della parola e rammenta, Uriel vi consegnerà lo scrigno solo se riterrà che noi Umani ne siamo degni. Ah, solo il Custode della parola può aprire lo scrigno e, una volta ottenuto il Talismano, con esso potrete accedere nel mondo protetto dal sacro Tasso. Voi non perdete tempo nel nuovo mondo, proseguite subito con la ricerca dell'altro e, un mondo dopo l'altro, arriverete a quello dove si è rifugiato Drol e a quel punto lo affronterete.»
Il maestro aveva fatto una pausa per lisciarsi la lunga barba bianca e nel contempo riflettere su cosa poteva ancora dire a Silvius senza esporsi troppo.
«Non sarà affatto facile per voi entrare in possesso degli scrigni di cristallo, di solito chi li possiede non vuole cederlo ad altri. Dunque dovrete convincerli a lasciarlo nelle vostre mani. Non ha importanza come, ma dovrete farli vostri. Uno in meno, e ogni vostro sforzo fatto verrà vanificato. Perciò abbiate sempre cura di presentarvi ed esporvi come si conviene, a iniziare da quel che direte a re Uriel. Quindi tieni al guinzaglio il tuo amico Helias, con il suo caratteraccio potrebbe irritarlo e se il re non vi consegnasse lo scrigno avrete finito la ricerca degli altri prima di iniziarla.»
Il grande saggio non gli aveva riferito quanto invece lui aveva bisogno di sapere, pensò perplesso Silvius, ma sapeva che il maestro non gli avrebbe detto altro e si alzò impettito per dire comunque la sua: «Non tema, riuscirò a convincere il re degli Elfi sulla nostra buona fede e non potrà fare a meno di consegnarlo. Stesso impegno userò per recuperare tutti gli altri scrigni e, una volta arrivato alla Fortezza, metterò fine al giogo imposto da Drol. Può scommetterci la barba, maestro.»
«Questo è quanto volevo e speravo di sentire uscire dalla tua bocca, figliolo. Tuttavia, prima di partire voglio dirti ancora una cosa. Ecco, se a volte sono, come posso dire, riservato? Nel senso che non dico sempre tutto quello che c'è da sapere di questa annosa faccenda, e lo farò ancora se si rendesse necessario, è per il tuo bene e quello dei tuoi amici. Non posso espormi più di quanto finora ho fatto, quello che ti ho detto è sufficiente per adesso. Non c'è altro, va' e ricorda... tu sei più della tua immagine riflessa allo specchio.»
Silvius stava per uscire, poi il grande saggio lo chiamò e si fermò sotto l'uscio.
«Aspetta. Quasi dimenticavo... uno dei Custodi della parola sta per giungere alla Cittadella. Si chiama Bastet e sarà la futura regina di voi Norberiani. Un tipetto non facile da gestire e quindi volevo avvisarti di non essere troppo duro con lei. E non guardarmi come a dire "cosa mai potrebbe farmi". Perché ti farà perdere le staffe, stanne certo. Quindi quando lo farà voglio che tu la lasci fare, nei limiti del possibile. Tuttavia sarai sempre tu ad avere l'ultima parola e rammenta sempre anche questo, per la buona riuscita della vostra missione, l'armonia tra tutti voi dovrà essere quasi palpabile. Dunque, fatta questa precisazione, devi sapere che oltre alla principessa si uniranno a voi altri quattro Custodi della parola. Di questi il primo si presenterà alla Cittadella tra qualche giorno al massimo e i restanti li conoscerete lungo il cammino. Adesso non mi resta che augurarti buona fortuna.»
Salutato il grande saggio, Silvius si guardò intorno alla ricerca di Alfonsin. Non c'era e, alzato lo sguardo al cielo, la giornata volgeva al bello e non poteva chiedere di meglio. Quindi sorrise e, messa la mantella sotto il braccio, inserì le mani in tasca e si avviò verso la propria dimora con il prendere a calci ogni sassolino trovato sul cammino.
Il grande saggio osservava Artemide cupo in volto, ma il suo aspetto ombroso non bastò a farla tacere. «Voglio sperare che tu abbia riferito a Silvius la verità. Cavolo! Non riesco proprio a capire la tua continua e assidua reticenza a non farlo e sono perplessa da questa tua ottusa ritrosia.»
Artemide si pentì quasi subito per il suo tono irriguardoso, ma era troppo tardi per rimangiarsi tutto e la risposta di lui fu immediata e tagliente. «Detto cosa! Spiegati meglio, ragazzina impertinente!»
«Scusa. Però il ragazzo deve sapere della loro e della nostra esistenza, altrimenti non potrà combattere ad armi pari quei mostri e vedere noi come suoi amici quando la sua Anima tornerà a prendere possesso del corpo da cui è stata costretta a uscire per colpa del Primo Creatore.»
Doveva porre un freno ad Artemide, e ancor più a se stesso per evitare di ribattere in malo modo. Per cui contò fino a nove e la redarguì per l'ennesima volta: «Sono stufo dei tuoi richiami senza senso... E poi sta' attenta a cosa dici in questa stanza, qualcuno potrebbe ascoltare la nostra conversazione. E comunque, anche se Silvius fosse pronto, come tu dici, gli altri non lo sono.»
«D'accordo, sia fatta la tua volontà, maestro!»
«Proprio non vuoi capire. Ti ho già ribadito più volte che potremmo ottenere l'effetto contrario. Quindi c'è altro di cui vuoi parlarmi?» Il grande saggio si rese conto solo dopo di essere stato aggressivo, ma Artemide lo aveva fatto uscire dai gangheri e non era riuscito a trattenersi.
«No! E sta' pure tranquillo, farò come tu dici. E non ti preoccupare... nessuno può sentirci. Silvius è andato via e la porta l'ho chiusa per bene. Comunque anche tu in quanto a spifferare non scherzi.» Artemide si aspettava una lavata di testa, la quale non arrivò e ne approfittò: «Un'ultima cosa, perché ritieni che il ragazzo non sia ancora pronto a sapere la verità su se stesso e gli altri?»
«Se dico che non lo è, ti deve bastare. Non vuoi proprio fartelo entrare in quella tua testolina bacata, vero? Silvius non ha memoria del suo vissuto e stessa cosa vale per tutti i Custodi della parola. I ragazzi e le ragazze secondo quanto detto da Albert si trovano in una realtà virtuale creata sulla base delle loro paure più recondite. E noi non possiamo dire loro questa verità, non crederebbero una sola parola. Quindi dobbiamo portarli per gradi ad arrivarci da soli... Niente di particolare, sii la loro ombra, ma con discrezione. Ah, e ribadisco, per nessun motivo dovrai mai rivelare le nostre identità. A te spetta solo proteggerli a costo della tua stessa vita, capito?»
Artemide non aveva mai pensato di doversi immolare per degli sconosciuti, ma per Silvius avrebbe fatto di tutto e annunciò, fiera: «Sì, maestro, lo farò senza remore e pentimenti.»
Il grande saggio aveva imparato a conoscere ogni cambiamento nel suo tono di voce e quindi sapeva che Artemide stava per combinarne una delle sue. Ma non poteva fare niente per evitarlo, addentò una grossa mela matura e, dopo averla finita con gusto, invece di andare a riposare, come avrebbe voluto, si adagiò sulla grossa poltrona a riflettere: prima di partire per Aethernum, il suo pianeta natio, doveva rivedere il suo piano d'azione. Il quale prevedeva l'eliminazione dei predatori di Anime prima che il Signore assoluto di Horcobolus, Volcan, si impossessasse dell'Eternity e del suo prezioso carico.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top