Il cupo Mietitore

Morte aveva ricevuto l'ordine dal suo padrone e Signore di prelevare le Anime di quattro contadini che avevano scelto di vivere fuori dalla protezione del sacro Tasso. Per cui non sarebbe stato un problema prelevarle e ora, dall'alto di un promontorio, osservava il quartetto lavorare i campi: due uomini aravano il suolo con l'aiuto di un Mulo e un Bue e le donne buttavano semi nei solchi appena fatti. I contadini erano stremati e il sole metteva il suo carico con il farli sudare e assetare. 

Lui, invece, si era appostato dietro un'alta siepe, al riparo dai raggi cocenti; e quando i contadini rientrarono in casa, discese il crinale e si appiattì sotto una finestra da cui ogni tanto guardava per vedere cosa facevano i quattro. Una donna, dopo aver lavato le verdure raccolte, le aveva tagliate con un lungo coltello, mentre l'altra apparecchiava la tavola e canticchiava un allegro motivetto. Gli uomini, dopo essersi lavate le mani, si accomodarono in attesa che le donne servissero loro le pietanze preparate e quando queste vennero portate in tavola, prima di gustarle la più anziana giunse le mani per ringraziare del cibo e solo al termine lo divise in porzioni uguali.

Finito di desinare, senza nemmeno riordinare, i quattro contadini si spostarono nel retro; così era stato costretto a fare il giro per appostarsi dietro un'altra finestra e lì attese che si addormentassero. Solo quando le lanterne si spensero, si portò sul davanti e, aperta la porta, senza farla cigolare, entrò per poi fermarsi sull'uscio della camera da notte. I contadini dormivano placidi e quindi lui attese che Drol facesse la sua parte. Il Signore Oscuro non tardò a presentarsi nella loro mente, uno degli uomini iniziò ad agitarsi nel sonno, chiaro segno che lo tenesse in pugno. Tuttavia lui si fece avanti quando il malcapitato spalancò gli occhi terrorizzato e, slegato dal fianco destro uno dei cilindri di cristallo, glielo puntò contro e schiacciò il pulsante posto sopra di esso. Poi indugiò di nuovo e, allorché la spia da rossa passò al verde, capì che l'Anima dell'uomo si trovava relegata all'interno, da dove non avrebbe più potuto uscire salvo non fosse stata liberata da Drol. Quindi passò a mietere le Anime degli altri tre e, dopo aver appeso i relativi cilindri al fianco destro, a fare compagnia al primo, uscì tronfio con il fischiettare lo stesso motivetto intonato dalla donna mentre apparecchiava.

Un lampo accecante illuminò a giorno la Fortezza e Morte non poté fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo dopo una volta consegnate le Anime al suo padrone e Signore. Desiderava accoppiarsi con la cuoca e sperava che Berta non si negasse all'ultimo momento, altrimenti sarebbe stato costretto ad arrangiarsi da solo e non si divertiva più come una volta. Quindi, arrivato sotto le mura, non diede tempo al ponte levatoio di abbassarsi del tutto, che con un balzo felino passò dall'altra parte e, varcato l'enorme portone, salì le scale di corsa e si fermò davanti alla porta d'accesso alle stanze private di Drol. 

Tenuto conto che non gli era permesso entrare, Morte appese i quattro cilindri alla maniglia per poi scendere le scale incurante di cosa Drol gli avrebbe fatto se lo avesse scoperto. Però doveva rischiare il tutto per tutto. Berta si sarebbe concessa solo se le avesse portato in dono una bottiglia di vino pregiato e lui, allo scorgere la porta dietro cui l'avrebbe trovata, esultò con un ghigno compiaciuto per poi  recuperare la chiave dalla tasca delle brache e, inserita nella toppa con mano tremante e fatte tre mandate, stava per aprirla, che i cardini scricchiolarono sinistri e venne costretto a fermarsi per poi entrare pian pianino.

Dentro vi erano decine di scaffali con sopra accatastate migliaia di bottiglie di vino e facevano della cantina di Drol la più fornita del Regno. Ma solo dopo aver starnutito per ben tre volte a causa della polvere, Morte chiuse la porta con cautela per poi mettersi alla ricerca della bottiglia da lui stesso messa da parte tempo fa per le occasioni speciali; ricordava di averla lasciata sopra uno degli scaffali e infatti la trovò poco più avanti in bella mostra.

Presa con cura la bottiglia, Morte guardò l'etichetta per poi ridere sguaiato al pensiero del dopo. Quindi passò la lingua sulle labbra sottili e, riaperto l'uscio, con le dovute precauzioni, lo richiuse e si inerpicò su per la rampa di scale. Saliva con calma in quanto temeva di inciampare e se la bottiglia si fosse rotta, tanti saluti al dopo.

Arrivato in cima senza fare danno, dopo aver seguito un breve corridoio Morte si ritrovò davanti alla porta del suo misero alloggio: un locale angusto arredato con un giaciglio fatto di erba secca, un tavolo, due sedie a fargli compagnia e una credenza dove ripose la bottiglia per poi buttarsi a peso morto sul covile: alla cuoca piaceva il buon vino e quello che aveva recuperato sarebbe stato un ottimo incentivo per farla cedere e nell'attesa che lei si facesse viva, si soffermò a pensare a cosa vedevano gli altri in lui: un mostro. E giacché  aveva perso la memoria e non ricordava il suo nome, gli avevano affibbiato quello con cui lo chiamavano, Morte. Però non ci faceva più caso, un nome valeva l'altro e comunque cambiarlo non avrebbe fatto alcuna differenza. Con un nome altisonante non sarebbe apparso diverso agli occhi di chi non sapeva guardare dentro le persone.  Comunque il suo aspetto granguignolesco terrorizzava tutti. Dagli occhi blu che pareva volessero uscire fuori dalle orbite da un momento all'altro, al naso adunco e una fila di denti marroni. Per non parlare della gobba vistosa che si portava appresso. Quindi non poteva meravigliarsi se avevano preso a chiamarlo Morte, ne era la personificazione e non poteva biasimarli.

Berta tardava ed emersero nella sua mente altri ricordi: il primo incontro con il suo padrone e Signore. E se fosse avvenuto per caso o per destino, non l'aveva ancora capito. Restava un fatto, quella sera di un giorno qualunque, Drol gli cambiò la vita in peggio. Correva per sfuggire ad alcuni ubriachi che avevano deciso di punirlo in quanto secondo loro li aveva guardati storto, allorché nella foga di scappare non vide un altro tizio fermo sul marciapiede e lo urtò per poi cadere sul selciato. Tuttavia l'uomo non lo guardò con livore, anzi, gli sorrise benevolo, e non per canzonare la sua persona, le risate di scherno le conosceva molto bene. Non solo, l'uomo  allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi e in quel frangente non ebbe più dubbi che fosse diverso da tutte le altre persone e la prova concreta l'ebbe nel momento in cui gli inseguitori lo invitarono a farsi da parte, altrimenti gliel'avrebbero fatta pagare molto cara. A quel punto l'uomo allungò una mano e, dopo averne preso uno per il collo, lo scaraventò lontano senza sforzo alcuno. Dopodiché l'uomo afferrò il bavero gli altri due con lo scagliarli lontano, a tenere compagnia al primo e quel giorno, per la prima volta, si sentì apprezzato e si disse che se quell'uomo gli avesse chiesto di servirlo, avrebbe accettato senza se e senza ma. Così quando lui l'ebbe fatto, come se gli avesse letto nella mente, accettò di buon grado, ma con il passare dalla padella alla brace. Tuttavia non tutto era perso, la fortuna poi si girò dalla sua parte a evitargli di buttarsi giù da un dirupo. Durante una delle sue incursioni negli anfratti della Fortezza, trovò uno di quegli scrigni di cristallo dei quali si diceva ci fosse una chiave all'interno la quale dava accesso a un luogo dove Drol non avrebbe mai potuto entrare. Quindi, se fosse riuscito a entrare, avrebbe ottenuto la libertà persa quella maledetta sera di una giornata qualunque. Però non aveva ancora risolto il quesito posto a protezione dello scrigno che citava a chiare lettere: "Te ne sono stati dati sei alla nascita e sono tuoi di diritto. Ma solo uno dei doni a te concessi potrà servirti all'occorrenza... Non usarlo e mi aprirò a te."

La cuoca non arrivava e Morte, stufo di aspettare, stava per alzarsi per andare a vedere dove si fosse andata cacciare, quando la voce autoritaria di Drol lo bloccò.

«Stupido servo, dove sei?»

Qualora Drol lo chiamasse, era meglio affrettarsi: non amava aspettare e lui l'avrebbe pagata molto cara se tardava a presentarsi. Quindi, per evitare di essere strapazzato, Morte stava per uscire quando bussarono alla porta e un ghigno compiaciuto prese il posto del piglio severo. 

Doveva essere la cuoca e lui, aperta la porta, al vedere come si era conciata, il sorriso sul suo volto si smorzò per lasciare il posto allo sconforto. Berta indossava una gonna lunga fino alle caviglie di un blu intenso con sopra una blusa giallo ocra. Sul capo aveva un cappellino rosso vermiglio che sembrava più una cuffia da notte. Però lui anelava ad altro e prevedeva lei si spogliasse. Quindi si astenne dal fare commenti. Tuttavia doveva darle un buon incentivo per restare. «Come avrai sentito, devo scappare, Berta. Tu intanto mettiti comoda, festeggeremo al mio ritorno.» Poi, con tono più autoritario: «E non toccare nulla.»

Rimesso a posto il buffo cappellino, la donna replicò per le rime: «Sì, sì. Ho capito. Quante storie fai. Tu e i tuoi spocchiosi ammonimenti. Va' pure e non ti preoccupare, aspetterò paziente e sta' tranquillo, non toccherò nulla. Qui dentro è così sporco e pieno di polvere che il solo pensarlo mi mette angoscia.» E stava per rincarare la dose, che al notare la bottiglia posta sulla credenza, in bella vista, un largo sorriso apparve sul suo volto paffuto: «Ehi. Cosa vedono i miei occhi stanchi. E bravo il signor so tutto. A quanto vedo hai mantenuto la promessa. Alla fine hai portato da bere. Aspetta un momento, però. Se non ricordo male, il padrone ne aveva messo una simile in tavola e aveva detto agli ospiti trattarsi di un vino molto raro. Perciò, se ora venisse a sapere dell'esistenza di un'altra qui in camera tua, come minimo staccherà i tuoi genitali per poi appenderli al tuo collo come un serto di fiori. Questo accadrà, mio caro. Pertanto faresti bene a portarla dove l'hai trovata. Sei ancora in tempo e forse, dico forse, potrai raccontarlo ai tuoi amici e riderci pure sopra.»

Non voleva arrabbiarsi con la cuoca, tuttavia doveva usare polso fermo, altrimenti lei non lo avrebbe preso sul serio. «Basta. Lo so pure io cosa mi farebbe Drol se lo venisse a sapere. Però vedi, questa bottiglia l'avevo presa per berla insieme a te, mia cara. Dunque ti prego di aspettare il mio ritorno e, fino ad allora, non provare ad aprirla. Hai compreso quanto ho appena detto? Non aprirla.» Sillabò il concetto affinché lei ne afferrasse bene il significato. «Allora io vado e ricorda, solo dopo ci gusteremo il contenuto di quella bottiglia» e mostrò con l'indice della mano destra la credenza su cui si trovava «...e dopo, beh, dovresti arrivarci da sola, non aggiungo altro.»

Berta si aggiustò la gonna e poi, con una nota sarcastica nel tono: «Sì, aspetta e spera tu. E... niente, va' pure, ne riparleremo dopo, sempre se torni. Perché se non ti sbrighi, il padrone ti farà fuori e mi toglierà la soddisfazione di potermi negare a te.»

Morte ignorò la cattiveria deliberata di Berta, uscì e, chiusa la porta con cautela, iniziò a salire i gradini due per volta e allungava le gambe per quanto glielo concessero i muscoli. Però faceva una fatica immane e ansimava nel mentre sperava di cavarsela con una lavata di testa e di tornare prima che la cuoca cambiasse idea e lo lasciasse a becco asciutto.

«Dove sei? Mentecatto! Non farti venire a cercare.» Urlò Drol sempre più adirato e la sua voce, nel rimbalzare da una parete all'altra della Fortezza, sembrava più cupa e tetra di quanto in realtà fosse.

Morte non riusciva a ribattere, gli mancava l'aria e solo dopo essersi ripreso si giustificò: «No. Mio signore. Sono quasi arrivato. Mancano pochi gradini.» Ma fatti pochi passi, gli tornò il fiatone e iniziò a immaginare la scena di cosa gli sarebbe accaduto: Drol che se la rideva a guardare la sua testa rotolare sul pavimento ruvido e freddo della sala del trono.

Accantonata la brutta immagine del suo corpo senza testa, Morte entrò. Drol si trovava seduto sul suo trono. Almeno, così lo chiamava, però in realtà si trattava di una grossa seduta con braccioli e schienale rivestiti con della pelle lucida di colore rosso amaranto. Pelle tenuta a freno da borchie dorate e queste davano allo scanno quella parvenza di sontuosa regalità.

Drol lo guardava con aria malevola e Morte retrocesse di qualche passo per poi fermarsi e irrigidirsi in attesa di essere interpellato.

Allora Drol lo spronò a farlo: «Cosa aspetti... scherzo della natura mal riuscito! Non ho molta pazienza e dovresti saperlo.»

«Deve perdonarmi, mio signore. Il fatto è che io-»

«Dammi un buon motivo per cui non dovrei punirti.»

«...Che mi sono addormentato? Vede, è stata una giornata molto faticosa. Dopo essermi disteso sul giaciglio, giusto per riposare un po' le membra, gli occhi si sono chiusi da soli.»

«Non basta come scusa. E poi smettila di guardarmi con quella faccia da vittima incompresa.»

Doveva avvalorare la vanagloria di Drol, altrimenti sarebbe stata la sua fine e, per ovviare un nefasto destino, decise di sottomettersi senza troppi preamboli. «Ho sbagliato e accetto di buon grado la punizione, qualunque essa sia, mio signore. Anche la morte, se questa opzione la rendesse felice.»

«Esagerato. Anche se a dirla tutta non sarebbe una cattiva idea. Rilassati. Oggi vivrai. Tuttavia non metterti strane idee in testa, sei salvo solo perché ho ancora bisogno dei tuoi servigi.»

«Grazie per la sua infinita clemenza, mio signore.»

«Basta con le smancerie e apri bene le orecchie. A giorni dovrebbe arrivare un ospite speciale e vorrei fare bella figura. Perciò va' giù in cantina e prendimi quella bottiglia di vino molto rara... tu sai a quale mi riferisco, vero?»

«Sì, mio signore.»

«Allora cosa aspetti? Valla a prendere subito.»

Riprese a mancargli l'aria e il cuore iniziò a battergli forte nel petto. Però doveva mantenere la calma per non insospettire Drol e, tirato su un bel respiro: «Ottima scelta, mio signore. La sua ospite ne rimarrà deliziata. Ah, e non dimentichi di far respirare il vino prima di portarlo in tavola, sarà più corposo e profumato.»

«Sei perspicace quest'oggi e... dimmi, come hai intuito che si trattava di una donna? No! Lascia stare. Non mi interessa. Torniamo invece al vino. Non credevo fossi un esperto e mi lasci attonito. Davvero e... basta complimenti. Va' e torna con la bottiglia. E ricorda, chi rompe paga e spero per te non accada, non te la caveresti con una semplice lavata di testa.»

Chinato il capo, Morte arretrò fino alla porta con lo sguardo fisso sul lastricato, dopodiché si voltò su se stesso e, uscito, la chiuse con delicatezza, anche se avrebbe voluto sbatterla con forza per quanto era furioso. Il rancore poi venne sostituito dal terrore, aveva lasciato la bottiglia incriminata nelle mani di Berta. Tuttavia poteva ancora farcela a salvarsi da una fine ingloriosa: se si fosse messo a correre a gambe levate, forse sarebbe arrivato per tempo. Per cui discese le scale di corsa per arrivare prima che il danno fosse irreparabile.

Arrivato e spalancata la porta, al vedere riversa sul lastricato la bottiglia di vino, vuota, Morte gridò rivolto al soffitto: «No! Non può essere vero. Come hai potuto farmi questo? Sciocca di un'ubriacona!»

Berta se la ronfava sul giaciglio di lui ubriaca fino al midollo. Motivo per cui non aveva sentito le sue urla e Morte, dopo averla presa per le spalle, la iniziò a strattonare con forza per poi urlare, dritto nel suo padiglione auricolare destro: «Sveglia! Svegliati, Berta!» Ma la cuoca continuava a ronfare e a quel punto lui non riuscì a trattenersi dal darle un sonoro ceffone sulla sua guancia sinistra. Sperava, con quell'atto poco cavalleresco, di farla rinsavire.

Lo schiaffo, pur se bene assestato, non sortì l'effetto da lui sperato, servì solo a far aprire un occhio di Berta, che subito dopo richiuse. La bocca no, quella restò aperta a mostrare una tetra caverna buia da cui usciva un tanfo nauseante e non solo, un rivolo di saliva bruno gli sporcò il dorso della mano. Lui allora pulì la mano sul vestito di lei e poi la strattonò di nuovo: «Svegliati! Non ti punirò. Lo giuro.»

Nonostante le urla, la cuoca continuava a ronfare e Morte non sapeva come farla destare dal torpore dovuto all'ebbrezza. Drol voleva la bottiglia riversa sul pavimento e se ora lui voleva cavarsela a buon mercato doveva trovare una buona scusa. Se solo quella stupida cuoca lo avesse ascoltato, non si sarebbe trovato in quella situazione angosciosa, pensava disperato e riprese a strattonare le spalle di lei con forza. «Apri gli occhi una buona volta. Devi aiutarmi. Confesserai al padrone di aver bevuto tu il vino per sbaglio. Mi senti? Hai capito cosa devi dire? Ma cosa dico, non potrà mai funzionare e io sono un uomo morto.»

Mentre fantasticava su cosa gli sarebbe successo di lì a poco, Berta aprì gli occhi. Lui allora sperò che si fosse destata, ma lei li richiuse subito dopo per poi ruttargli in faccia. Così per evitare un altro rivolo di saliva sulla mano Morte si scostò di scatto e nel farlo notò nella credenza la bottiglia incriminata. Piena, Berta non l'aveva aperta, si era scolata l'altra bottiglia, quella in cui lui aveva messo del vino andato a male e con il quale condiva le verdure.

Adagiata sul giaciglio la cuoca, Morte la baciò sulla fronte per poi avvicinarsi e bisbigliare in un suo orecchio: «Scusa se ho pensato male di te, mia cara. Per ora ti ringrazio, devo andare, festeggeremo al mio ritorno e con un'altra bottiglia, questa purtroppo la vuole Drol.» Presa la bottiglia, la pulì per bene e uscì per andare a consegnarla al suo Signore e padrone.

Consegnata, Drol gli aveva assegnato un altro compito: trovare una certa Drusilla e portargliela al più presto. Perciò si era dovuto arrangiare di nuovo da solo: Berta non si sarebbe ripresa fino all'indomani e non poteva aspettare tutto quel tempo, doveva andare.

***

Drusilla era l'unica persona di cui lui poteva fidarsi. Questo pensava Drol mentre passava in rassegna gli scaffali su cui si trovavano esposti, e in file ordinate, i cilindri di cristallo al cui interno si trovavano relegate le Anime finora mietute dal suo fedele servitore. Erano migliaia, ma tra tutte mancavano all'appello quelle a lui richieste da un vecchio con la lunga barba bianca. Il vecchio per averle gli aveva promesso di renderlo immortale, ma i possessori di quelle Anime si erano rifugiati alla Cittadella e lui non poteva entrare nei loro sogni. Nelle adiacenze insisteva un albero sacro protetto da un incantesimo e la cui energia non glielo permetteva e quindi il suo servitore non poteva mietere. Però poi gli era venuto all'orecchio che i possessori di quelle Anime stavano per avventurarsi al di fuori della Cittadella e, senza più la protezione del Tasso a fare loro da scudo, sarebbe stato facile averle senza colpo ferire. La ragione per la quale aveva ordinato a Morte di invitare Drusilla alla Fortezza, anche con la forza se fosse stata necessaria. Serviva qualcuno che entrasse a fare parte del gruppo in partenza e recuperasse le loro Anime durante il sonno. Pertanto rimuginava su come convincere quella donna senza essere costretto a doverla intimorire, allorché una risata fragorosa lo riportò alla realtà e si voltò di scatto.

Dietro di lui e tutt'intorno non c'era anima viva e così doveva essere: Berta e Morte sapevano che non avevano il permesso di entrare in quella stanza e non potevano essere state le Anime sugli scaffali a ridere. Assurdo solo pensarlo e, nell'alzare lo sguardo, infine vide la causa, si trovava sopra la sua testa.

Sospeso a mezz'aria sostava il volto di una donna tre volte più grande del suo e lo guardava con piglio cupo. Tuttavia ciò che lo lasciava ancora a bocca aperta non era il volto, pur se a lui sconosciuto, ma che fosse riuscito a penetrare nella Fortezza senza invito. Dunque rifletteva su come avesse fatto ad accedere, allorché il volto iniziò a scendere, lemme lemme e, arrivato a un palmo dal suo naso, molte voci in una, e all'unisono, ruppero il silenzio.

«Abbiamo scelto di presentarci a lei, signor Drol, in una veste consona alla realtà in cui vive. Noi rappresentiamo i Signori del tempo e veniamo, innanzi a lei, e in questa veste inusuale, a rammentarle quanto manchi poco alla nostra pazienza per esaurirsi. Le avevamo chiesto, tramite un nostro pari, delle Anime specifiche e, nonostante l'aiuto a lei dato per catturarle, non è ancora riuscito a procurarsene nemmeno una. Ed ecco spiegato il motivo della nostra visita a lei poco gradita, serve a metterla sulla retta via. In quanto se non ci consegnerà, e al più presto, quanto a lei richiesto a suo tempo con un regolare contratto, ci troveremo costretti ad agire di conseguenza. Pertanto ora la invitiamo a riflettere bene, prima di controbattere.»

Il Signore Oscuro si sentì perso. L'avevano colto impreparato e non sapeva cosa dire nell'immediato. Eppure alla firma del contratto il tizio con la barba bianca non gli aveva dato alcuna fretta riguardo alla data di consegna. Allora perché questi Signori del tempo gliela mettevano? Però non poteva fare scena muta, doveva dire qualcosa a quel volto sospeso nel vuoto e lo fece sicuro di sé: «Non avete nulla di cui preoccuparvi, ci lavoro già da un po' e presto avrete quanto da voi richiesto, Signori del tempo.» In buona sostanza aveva affermato quello che con molta probabilità non sarebbe mai riuscito a portare a termine.

«Siamo lieti di sentirglielo dire, signor Drol. Ah, e non perda tempo con il mietere altre Anime. Potrà arricchire la sua collezione, e in tutta serenità, qualora avrà esaurito la nostra richiesta. Ha inteso, vero. O dobbiamo farle uno schemino.»

«Non è necessario. Ho capito. Però, scusate. Voi chi siete e perché volete proprio quelle dodici Anime e non altre? Ne ho a migliaia e potete averle tutte, se volete. Cosa dovete farvene di quel-»

«Basta! Siamo stufi di ascoltare le sue lamentele, signor Drol. Le è ben chiaro cosa deve fare e sapere chi o cosa noi siamo non è rilevante ai fini della buona riuscita di quanto spetta a lei fare.»

«E sia. Tuttavia non vi assicuro di riuscire a recuperarle tutte.»

«Forse lei non ha compreso, signor Drol. Nemmeno un'Anima deve mancare all'appello e, assodato questo, è giunto il momento del commiato. Però non si rilassi troppo, se al nostro ritorno non le avrà prese tutte, ci troveremo costretti a doverla eliminare, signor Drol.»

Non appena il volto di donna si dissolse nell'aria, Drol fece scorrere di lato il quadro che celava la sala di contenimento. E quando quello si bloccò con uno scatto, a indicare l'avvenuta chiusura, uscì per poi prendere il corridoio per le cucine: il vino buono grazie a Morte lo aveva recuperato e ora mancava solo il buon cibo. Berta preparava pietanze da leccarsi le dita e avrebbe fatto un figurone, pensò raggiante in volto. E infine, se fosse andato tutto come aveva pianificato, con l'aiuto di Drusilla sarebbe riuscito a prelevare la prima Anima.

«Berta! Ci sei? Possibile che tu e Morte non ci siete mai nel momento del bisogno?»

La cuoca si trovava rintanata in un angolo del suo regno a rinsavire dalla sbornia con il vino andato a male. Poi, all'udire la voce di Drol, aggiustate le vesti si alzò di scatto e andò subito a sciacquarsi la bocca. Però solo dopo aver calmierato l'alito con della menta fresca, si palesò a lui e, nonostante fosse ancora intontita, riuscì ad annunciarsi senza storcere troppo le parole: «Sono qui, mio signore. Preparavo il pasto della sera, come da lei ordinato. Però se desid-»

«Non sono venuto per questo, Berta. Volevo sapere se i tributi in alimenti sono giunti.»

«Certo, mio signore. Stamani hanno consegnato: carne, pesce, farina, latte, uova, zucchero e vino... e anche frutta e verdure fresche. Tutta roba di prima qualità.»

«Bene, allora metti da parte il meglio, a giorni dovrebbe arrivare a farmi visita un ospite di riguardo e voglio fare bella figura. Prepara una tavola come non se ne sono mai viste prima e, se oltre a me riuscirai a stupire anche la mia ospite, potrai entrare in cantina e scegliere tre bottiglie di vino a tuo piacimento.»

«Allora può stare certo che non la deluderò, mio signore.»

«Lo spero per te, Berta.»

Lasciata la cuoca alle sue faccende, Drol si diresse verso la sala del trono e, preso posto sul grosso scanno, appoggiò il mento sul pugno chiuso della mano destra e prese a riflettere sul futuro e su cosa fare affinché divenisse sempre più roseo e radioso per sé stesso.

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