CAPITOLO II

I bagordi della serata si erano infine esauriti e gli avventori erano tornati alle proprie case, mentre artisti e forestieri si erano rintanati nelle proprie camere per smaltire la sbornia o approfittare di un dolce incontro notturno. Astoria si asciugò il sudore che le imperlava la fronte con un panno, dopo aver ripulito l'ultimo tavolo.
Marion era sparita già da un po' e Tomu nascondeva dietro una delle sue grandi mani verdi l'ennesimo, cavernoso, sbadiglio.
«Allora io vado, Tomu» disse Astoria, intascando la paga per la serata «ci vediamo domani sera.»
«Aspetta,» la trattenne l'orco, con gli occhi lucidi per la sonnolenza «perché non dormi qui, stanotte? Ci sono ancora una o due camere libere.»
«Non preoccuparti.» Lo rassicurò la ragazza, posando la sua mano su una di quelle grandi spalle. Il suo palmo sembrava quello di un bambino al confronto.
«Va bene...» sospirò Tomu, «ma fai attenzione.» Il suo alito le investì il viso: aveva l'odore del tabacco aromatico e della birra di resina, così stranamente caldo e rassicurante.

Astoria infilò la porta d'ingresso, Fonderadici era immersa nell'oscurità, se non per le sparute lanterne che segnalavano l'inizio e la fine delle vie principali, pendendo da paletti di salice intagliato.
La ragazza si strinse nella mantella color antrace e con lo sguardo cercò la famigliare sagoma di stracci rattrappiti che era Anidai.
Non le ci volle molto per trovarlo: sedeva ricurvo in terra, con le spalle appoggiate contro la staccionata che delimitava il cortile intorno la locanda. Il sollevamento, lento e regolare, del suo petto le suggerì che il pover'uomo doveva essersi appisolato nell'attesa.
Astoria si guardò intorno, con aria circospetta, mentre gli si avvicinava. Per un attimo fu tentata di lasciarlo riposare, ma ragionandoci meglio risolse che era meglio svegliarlo.
"Fonderadici è un villaggio tranquillo, ma non è mai sicuro dormire al ciglio di una strada, dovunque si sia."
Gli prese una spalla, scuotendolo con quanta più gentilezza.
Lui aprì gli occhi, senza un gemito né un sussulto. Aveva iridi scure, in un paio d'occhi limpidi e vigili nonostante l'aspetto trascurato. I capelli, neri e lucidi per la sporcizia, gli scendevano in ciocche unte intorno al viso dalla pelle bronzea.
«Scusami se hai aspettato così a lungo, Anidai. C'era molta gente stasera e abbiamo finito tardi.» Disse Astoria, con un'espressione carica di premura.
«Non importa, madonna.» Replicò lui, con voce atona.
Astoria gli aveva ripetuto più d'una volta che non vi era alcun bisogno di chiamarla a quel modo. Si trattava di un titolo riservato alla Baronessa e alle sue consanguinee, ma il mendicante era rimasto sordo ad ogni protesta in tal senso.
"Sarà qualche strana regola del galateo Bushin, chissà."
Questa volta rinunciò a puntualizzare, ma continuò a camminare al suo fianco. Guardandosi la punta dei piedi, come se servisse a sfuggire a quel silenzio carico d'imbarazzo che c'era fra loro. Di cosa mai poteva parlare con un uomo che passava le giornate pensando a come sopravvivere? Dove, trovare degli argomenti in comune?
Incrociò il suo sguardo, svuotato di ogni vitalità, incrostato dalle placche del sonno, e a quel punto alla mente le tornò la novella che il menestrello del Nor aveva declamato nella locanda. "Anidai è un Bushin, di certo sarà interessato a una notizia del genere."
«Hai sentito la novità, Ani?»
Lui si voltò a tre quarti, senza arrischiarsi in una reazione.
«Il Gilmorgen è di nuovo fra noi, non è una bella notizia? La sua luce è tornata a illuminare il mondo, a preservarci da ogni male.»
Le palpebre di Anidai ebbero un fremito appena percettibile, le labbra scavarono un sorriso a bocca chiusa sulla sua faccia. Il barbone tornò a guardare davanti a sé.
Per un attimo Astoria temette che quello fosse il massimo che le sue parole avrebbero conseguito. Ma con una certa sorpresa notò che, invece, si era creata una piccola breccia nel silenzio.
«A casa, nella mia terra natale, a quest'ora staranno festeggiando.» Le sue labbra si erano piegate in una smorfia di tenera nostalgia. «Il risveglio del Gilmorgen è occasione di grandi celebrazioni nelle mie terre: carri e cortei in costume sfilano per le vie delle più grandi città, accompagnati da danze e dalle musiche della tradizione. Si beve e si banchetta fino all'alba e il cielo viene illuminato da fuochi color della neve, composti dai più abili piromanti d'ogni regione. Il Tempio in via straordinaria apre le sue porte e anche l'ultimo degli umili può avere l'onore di baciare le ginocchia del Bene reincarnato. Si dice che anche solo sfiorare un lembo di pelle di Gilmorgen porti fortuna per gli anni a venire. All'alba del giorno dopo falchi bianchi si alzano in volo e portano la bella notizia ad ogni enclave sul continente.»
Astoria sentì scaldarsi il petto da quelle reminiscenze.
«Deve mancarti molto la tua casa, in un momento come questo.»
«Madonna, non immaginate quanto.» Replicò lui, occhieggiando nella sua direzione.
«Hai mai pensato di fare ritorno, Ani?» Si arrischiò a chiedergli.

In passato, tanto lei quanto i suoi genitori, avevano provato a scoprire cosa avesse portato Anidai così lontano dalla sua terra, ma l'uomo era rimasto impenetrabile ad ogni indagine: non aveva concesso neanche un singolo cedimento, negli oltre dieci anni da che lo conoscevano.

«Ci penso ogni giorno, madonna.» Rispose lui,guardando la strada dinanzi a sé. «Di notte faccio sogni, sogni in cui la miafamiglia è lì, sulla soglia di casa e mi riaccoglie a braccia aperte, dopo unlungo cammino. Tuttavia la realtà è diversa... i miei parenti, nella vita reale,non prenderebbero con gioia il mio ritorno. Tutt'altro. Nel migliore dei casimi scaccerebbero con torce e forconi, intimandomi di andar via.»
«È per qualcosa che hai fatto?» Chiese Astoria, disperando comunque di avereuna risposta.
«Per qualcosa che ho fatto» rispose Anidai «o che non ho fatto. Dipende dai punti di vista... non sono comunque storieadatte per le orecchie di una fanciulla.»
Astoria tirò un profondo respiro. Era ciò che più la infastidiva nelle personee negli uomini in particolare: la convinzione che avere a che fare con lei,equivalesse ad aver a che fare con un vaso di argilla da preservare da ogniurto, quasi le mancasse la forza di volontà. La faceva sentire come una sortadi bestia, incapace di gestire le emozioni. Per un attimo pensò di dirglielo,mettere a nudo la propria irritazione. "Mettimi alla prova" gli avrebbe detto o"Sono più forte di quanto tu non creda". Ma a che sarebbe servito? Se non aguastare la fragile atmosfera di cordialità e spingere Anidai a richiudersi dinuovo in sé stesso?
Desistette. E allo steccato, che delimitava il cortile esterno della sua casa,lei lo congedò.
«Ti ringrazio per la compagnia, Ani. Passa da noi domani mattina, mia madre tifarà trovare una ricca colazione, per il disturbo.»
«Non mancherò, madonna.» Rispose, in un profondo inchino, prima di avviarsinell'oscurità della notte.
«Aspetta, Anidai.» Lo richiamò, dopo qualche istante. La mano già sul cancellodello steccato. «Hai dove dormire, per la notte? Puoi stare nel laboratorio dimio padre, se vuoi. A lui non darà fastidio e c'è un piccolo giaciglio in cuistarai comodo e al caldo.»
«Non preoccupatevi, madonna.» Replicò il Bushin, declinando con gentilezza«Starò bene.» E senza voltarsi sprofondò nelle tenebre.

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