XXXIX. Tortuga: Coraggio o paura?

Era di nuovo lì, in quei campi.

La soffusa brillantezza della luna sfiorava le punte umide delle foglie, la rugiada era posata sulla loro superficie scurita dalle tenebre della sera. Una leggera bruma offuscava l'ambiente, stringendo tutto nel suo nebuloso fumo onirico e illusorio. I campi si estendevano per larghi tratti davanti ai suoi occhi da bambino, rivolti però verso il cielo. Accanto a lui, la presenza alta e rassicurante di suo padre scacciava ogni timore legato alla spettralità che l'area intorno alla casa aveva acquisito, a causa del buio e delle tenui ombre proiettate dagli alberi lungo il perimetro, in una contorta ramificazione intangibile.

Sia il piccolo che suo padre erano seduti di fronte alle basse coltivazioni, a osservare il cielo come solevano fare nelle notti meno calde, in Costa d'oro, quando era possibile godersi la frescura e idratare la propria pelle.

Le immagini erano sempre sfocate, in quel ricordo. Il volto maturo e barbuto dell'uomo che il bambino guardava dal basso si mescolava col nero del cielo, come fosse un'illusione o un fantasma proveniente da un lontano passato, parte stessa di quel luogo e quel tempo, perfettamente in sintonia col paesaggio.

Poche parole prendevano forma, acquistando una parvenza di reale. Testimonianze pallide dell'esistenza concreta di quel momento nel passato.

Una domanda innocente, frutto della curiosità.

"Papà, che cos'è la libertà?"

Ma la risposta non aveva un suono. Le labbra si muovevano senza che nessuna parola scaturisse da esse, o potesse assumere sostanza. Così come molte altre stringhe di quella conversazione ormai persa nei meandri del tempo e della storia. L'effetto profondo dello scambio di battute, tuttavia, raggiungeva il cuore di chi riviveva la scena, la sensazione pulsava nel suo stomaco e irradiava il suo petto proprio allo stesso modo di quando ne l'aveva provata per la prima volta. Come in un sogno dove tutto era assurdo e sensato allo stesso tempo.

Una frase, però, stranamente fuoriuscì dal banco nebuloso dove ogni parola si perdeva, infranse il muro sordo che separava il ricordo dalla percezione reale e raggiunse le orecchie del bambino.

"A volte, appaiono persone che sembrano trasudare amore con la stessa naturalezza con cui il sole emana calore. Non lasciarle andare per niente al mondo, Ekow. Perché loro ti condurranno alla risposta che cerchi."

Dopo aver rimembrato le parole smarrite di suo padre, dopo aver riscoperto il suono della voce che aveva dimenticato negli anni, il sonno dell'uomo terminò, e si risvegliò nell'assoluto squallore in cui era intrappolato, all'interno della capanna comune a molti degli schiavi con cui condivideva la sua sorte dolorosa. Osservò per qualche istante la figura dormiente di Khady, distesa su un ammasso di paglia poco distante da lui, e ne benedisse il respiro sereno e sommesso, l'unico momento di pace e quiete a cui forse quella ragazza avrebbe mai potuto ambire. O uno dei pochi. Nel silenzio dell'alba, la cui luce dorata sgusciava dalla fessura quadrata nella parete lignea sulla destra, si tirò a sedere e si preparò ad affrontare un'altra giornata a piegarsi, inginocchiarsi e sopportare.

A sperare, probabilmente invano, che la voce di suo padre un giorno tornasse chiara nella sua mente, così da imparare di nuovo ad associare un concetto a quella che ormai era solo una vacua parola svuotata di significato dentro di lui.

Lavy e Nick passeggiavano di fianco a una stradina sterrata destinata al transito delle carrozze. Il lembo di terreno roccioso sul quale si trovavano era in leggero rialzo, a indicare che quello era il luogo dove si poteva camminare senza il rischio di essere un ostacolo per i mezzi. Di tanto in tanto, per l'appunto, dei destrieri che trainavano i carri in transito sfrecciavano loro accanto, innalzando leggere folate che scompigliavano le loro capigliature.

Erano fuori dal centro di Tortuga, nelle aree periferiche a nord-est dove erano situate la maggior parte delle piantagioni. Il calore era più elevato nell'entroterra rispetto alle zone più prossime al mare, e sia la ragazza che l'accompagnatore continuavano a sudare, le fronti madide e le lunghe chiome sfibrate. Avrebbero entrambi dato di tutto per un bel tuffo nell'acqua fresca della spiaggia in quel momento, ma c'era del lavoro da svolgere in vista del futuro assalto a cui avrebbero preso parte nel giro di due giorni.

Quando il colloquio con Kat era terminato, Lavy si era diretta all'esterno della locanda per riferire la situazione ai suoi uomini. Si era sorpresa di non aver trovato la ciurma di Lobos, con cui si era consumata la violenta zuffa di poche ore prima, e infatti Flicker le aveva spiegato che se n'erano andati altrove. Il loro capitano, Santiago, in particolare aveva affermato col suo tono gioviale: "Se Kat ha deciso di parlarle, avrà le sue ragioni. Noi non possiamo intrometterci, che li coinvolga pure. Sono braccia in più."

Così, dopo che Ariana aveva aggiunto con irritazione che si trattava anche di borse d'oro in meno per la loro ciurma, si erano dileguati verso la città.

Noncurante, Lavy aveva inviato Flicker insieme al tesoriere di bordo, Jonathan Barnet, dal ricettatore indicatole dalla bionda locandiera, dopo aver riferito ai suoi tutte le informazioni ottenute, per acquistare armi nuove e migliorie per la nave. Infine, aveva lasciato Kidd e Hector a farsi medicare le brutte contusioni sempre da Kat, che pareva avere un po' d'esperienza in campo medico, e aveva preso con sé Nick, diretta nella zona dove si estendevano le maree verdi che erano le piantagioni di Tortuga.

Mentre avanzava col compagno, in parallelo a un muretto di cinta in pietra solida sulla destra, la sua mente era ancora intrisa di dubbi. Soprattutto riguardo la rivelazione spiazzante che le aveva riservato Kat, su sua madre.

Un intero tesoro con sette chiavi sparse per chissà quali località tra le distese infinite dei mari, di cui solo una era quella reale, in grado di aprire il forziere nascosto. Tutto per lei.

O almeno così sembrava. Quello di Ginny forse era stato un desiderio egoista, ma non era detto che fosse un peso da trasportare senza possibilità di sottrarsi a esso, per Lavy. Non era certo che fosse un obbligo ritrovarlo. Ma la giovane piratessa non riusciva a fare a meno di pensarlo, era sicura che sua madre l'avesse lasciato da qualche parte apposta per lei, come una sorta di caccia da portare a termine, di sfida da accettare. Dopotutto, lei era sempre stata così, l'aveva sempre spinta al limite.

"Se vuoi essere come me, allora dimostramelo." Le sembrava quasi di udire quelle parole mai pronunciate da sua madre, ma che sarebbe stata benissimo capace di riferirle, se l'avesse avuta davanti. Se solo avesse potuto confrontarsi con lei.

Non era giusto. Non gliel'aveva mai chiesto, non si sentiva in grado di onorare tale eredità. Non più. Ginny Thomson: la donna che aveva prima idolatrato e imitato, poi messo in discussione, quasi odiato. Come aveva fatto a diventare così famigerata tra i pirati? Era come loro, spietata e senza scrupoli, attaccata solo all'oro?

Quando era partita, Lavy non aveva capito proprio niente di chi fosse. Ora che lo intuiva, non provava più un briciolo di quell'ammirazione. Provava solo invidia. L'aveva capito dopo lo scontro con Ned Low: non era forte come lei, non era furba come lei, non era una leggenda come lei, e non lo sarebbe mai stata. Non lo voleva nemmeno più.

Andava avanti per inerzia, oltre che per senso del dovere nei confronti di chi la seguiva. Perché avrebbe dovuto inseguire un tesoro lasciatole da uno spettro ingombrante che non venerava più, parte di un passato plasmato da un ideale insensato che aveva smesso di inseguire?

E poi, c'era l'altra metà. Quella che aveva fatto la sua fortuna, finora. Quella che aveva attratto uomini in gamba come Danny Flicker e Nick Stevenson. Un pallido riflesso della sua ambizione, l'intraprendenza condita di lucida follia, forse sinonimo di arroganza. Quella che l'aveva tirata fuori dalle situazioni peggiori, che le aveva permesso di mettere in difficoltà Low e i suoi nemici a Nassau. Ma anche quella che le aveva fatto compiere azioni avventate, e condotta alla notte in cui il suo sorriso spensierato era appassito per l'eternità.

Era giusto seguire ancora quell'indole? Era giusto alimentarla? Oppure doveva solo adagiarsi sulla propria paranoia, insicurezza e prudenza, che forse significavano mediocrità?

Lavy non sapeva se era in grado di raggiungere sua madre, dando retta ai tizzoni residui della forza d'animo che un tempo era la sua vela tra gli oceani. Non sapeva se era abbastanza. O se l'avrebbe condotta di nuovo alla rovina, stavolta definitiva.

Fatto stava che ardevano ancora, quei tizzoni. Li sentiva bruciare e infrangersi con la sua metà gelida che le suggeriva di ignorare quella leggenda e prendersi solo l'oro. Li sentiva divampare dentro di lei, gettando un vento rovente e impetuoso che conosceva bene, e urlava: "Sono Lavy Thomson, questa è la mia ambizione. Guardami, mamma."

Il dualismo la stava consumando. Osare o rinunciare? Coraggio o paura? Le lacrime minacciarono di bagnarle le guance, alla consapevolezza di non saper più definirsi con esattezza come un tempo. Di non sapere più chi fosse. Di non avere più una voce.

"Nick..." Si voltò d'un tratto verso il suo primo ufficiale, sorprendendolo che stava fissando con aria assorta i suoi capelli probabilmente da un po', accanto a lei.

Difatti, il ragazzo sobbalzò. "S-sì?" balbettò, prendendo a massaggiarsi i ciuffi ondulati con finta disinvoltura.

In altre circostanze, Lavy avrebbe trattenuto a stento un sorriso divertito per come appariva buffo quel suo atteggiamento timido, ma ora non riusciva proprio a godere di alcuna ilarità. Non sapeva nemmeno cosa dirgli, in realtà. L'aveva chiamato d'istinto, quasi a cercare una sorta di conforto rassicurante nella valle gelida dove a volte si smarriva, senza più riferimenti. Era questo per lei, Nick Stevenson? Lo erano anche Flicker e addirittura Hector? Il pensiero di dipendere da loro la spaventava. Si ripeteva che stava continuando ad avanzare per i suoi seguaci, ma se invece fosse lei ad aver bisogno dei suoi compagni, più di quanto essi avessero del loro capitano?

Era una scusa, forse, la sua. Un futile motivo che si imponeva per andare avanti, per trovare uno scopo alla sua vita. Per fuggire. Dal dolore, da Susan, da Fionnphort. Dalla paura di tornarci come assassina, e non come Lavy, la pescatrice intraprendente.

Sabers non era altro che uno scudo.

Una protezione contro un mondo a cui faceva finta di appartenere, ma nel quale in verità non riusciva più a piazzarsi.

"No, niente..." dissimulò. Decise di non dire nulla a Nick. Non sapeva nemmeno da dove iniziare, d'altronde.

Il ragazzo dal canto suo assunse un'aria tra l'accigliato e il preoccupato, ma non insistette. "Cosa intendi fare alla piantagione di Prince?" virò su altro.

La piratessa fu lieta di quel cambio d'argomento che spezzò lo scomodo silenzio che stava cominciando ad aleggiare tra di loro su quella stradina assolata. "Vorrei studiare coi miei occhi la conformazione della zona, gli ingressi, il livello di sicurezza... e individuare i magazzini dove tengono la maggior parte delle merci, così da sapere subito dove andare una volta iniziato l'assalto. In più, vorrei anche conoscere questi ribelli a cui ci uniremo. Magari possiamo ideare una manovra combinata, così da non esser loro d'intralcio."

Nick si fece pensoso, ma come spesso gli accadeva, rispose subito con quello che gli passava per la mente. "Ma questi ex schiavi vogliono solo ridurre al suolo tutto, no? Sicuri che ci lasceranno rubare ciò che vogliamo, sia a noi che all'altra ciurma, durante tutta quella violenza?"

"Proprio per questo voglio studiare un percorso veloce per introdursi e fuggire dalla piantagione, oltre a incontrarli di persona. È meglio sondare bene il terreno, prima di agire. Dopotutto, anche con Low ha funzionato, in parte."

"Ruberemo anche la chiave?"

La domanda di Nick scosse la ragazza come una saetta nel cuore della notte.

"Io..." esitò. "A dire il vero, non lo so bene. Non ci ho pensato. Secondo te avrebbe senso?"

Nick percepì subito il conflitto che attanagliava la giovane, e ne fu turbato. Non gli piacevano quegli occhi smarriti. Stava male quando lo sguardo del suo capitano diventava vuoto, perso in un punto indefinito davanti a sé, una patina opaca di vetro che la distaccava da qualunque cosa e ne intorbidiva i sensi. Sembrava quasi che stesse per scomparire dalla realtà da un momento all'altro, quando accadeva. E lui soffriva, comparando quell'immagine a quella che trasudava sicurezza e spingeva a seguirla con la sua forza immensa, unita alla sua gentilezza. Quella che l'aveva salvato da una vita da mozzo denigrato.

E che l'aveva conquistato.

"Credo che debba valutarlo tu, e che ne sei perfettamente in grado. Qualunque scelta farai, io la seguirò. Ma dimmi cosa ti disturba senza problemi, ti prego." replicò il primo ufficiale. "Ha a che fare con tua madre, giusto..?" azzardò.

Lavy annuì senza convinzione. "Non so se accettare di compiere questa ricerca, o lasciar perdere. Non so se sono quello che lei si aspettava da me." si limitò a riassumere il turbinio di riflessioni che l'avevano attraversata, sperando che lui potesse capirne almeno il succo. Comprenderla, senza giudicarla. Se c'era qualcuno in grado di farlo, quello era proprio Nick, lo sapeva. Ma non voleva nemmeno sovrastarlo con le sue indecisioni. Lei era sempre il suo superiore.

"Ascolta, Lavy." Il giovane uomo si fermò, portando indirettamente l'accompagnatrice a imitarlo. "Io ho conosciuto Ginny Thomson, quando ero piccolo, lo sai. Per un periodo sono stato con lei, mi salvò da una condizione pessima in cui versavo nella mia città natale... ovviamente, non posso dire di conoscerla come te, ma ricordo che tipo di persona era."

La ragazza aveva preso ad ascoltare, rapita. Pendeva dalle labbra del suo compagno, sapeva di averne bisogno in quel momento.

"Sorrideva sempre, e aveva la tua stessa decisione, anche se spesso era più diretta, senza filtri. Tante volte mi ha mortificato coi suoi rimproveri o le sue parole di scherno..." Strappò una risata smorzata a Lavy, e la cosa lo illuminò, così proseguì. "Però, era anche gentile come te. A modo suo, aiutava sempre chi era in difficoltà, e faceva sembrare tutto più facile, i problemi degli altri diventavano cento volte più semplici quando c'era lei. Una persona così non credo sia tipo da lasciare fardelli sulle spalle della sua stessa figlia allo scopo di sommergerla di aspettative. Io credo che ti abbia lasciato una scelta."

"Una scelta?" ripeté Lavy, il tono che diveniva più convinto.

"Sì, qualunque cosa abbia lasciato in quel tesoro credo fosse qualcosa che riguarda solo voi due, oltre all'oro accumulato negli anni, magari. Ma allo stesso tempo, non credo volesse che tu recuperassi il contenuto dello scrigno a tutti i costi, tant'è che non ricordavi nemmeno che esistesse, e questo significa che non te l'ha imposto negli anni." Nick sorrise con affetto e una punta di timidezza che lo rendeva brillante come il sole agli occhi della giovane di fianco a lui. "Immagino che fosse solo una sua personale speranza. Ma a tutti è concesso averne qualcuna, no?"

Lavy fu investita dalla positività del suo compagno da capo a piedi. Con poche parole e un sorriso pieno di empatia era riuscito a rasserenarla, e ad alleggerire un po' il peso che stava macerando da troppo sul suo stomaco.

Non rispose, ma guardò con intensità Nick, e ricambiò il sorriso con uno talmente pieno di gratitudine, affetto e fiducia che il suo viso illuminato dal sole che precipitava dai cieli parve brillare di luce propria. Un bagliore tenue, pieno di vita.

E Nick lo ammirò, quel viso, come se stesse contemplando l'infinità stessa dell'oceano incastonata nel chiarore dell'alba.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top