XLVIII. Tortuga: Cosa ci vuole per ammazzarti?
La mistura di clangori e squarci assordava tutti i presenti sul campo di morte che oramai la piantagione nel cuore di Tortuga era diventata.
Dopo il segnale di Lavy, tutti gli schiavi africani che aveva condotto fin lì assieme ad Ariana si erano lanciati a tutto spiano nella mischia, un'orda di rivalsa, di dolore da rivendicare. Ogni osso spezzato, ogni stomaco trapassato senza pietà dai rudi attrezzi da lavoro, coltellacci, rastrelli e forconi, erano la concretizzazione di un dolore a lungo lasciato inascoltato, uno che finalmente poteva raggiungere un violento sfogo. Una rabbia primordiale.
Nella rapida avanzata, tra le grida di entusiasmo dei loro alleati, miste a quelle di visibile sgomento provenienti dai nemici francesi, Lavy aveva visto prima la chioma d'avorio di Flicker stagliarsi nel caos della lotta, rimanendone sollevata, poi era stata attratta dal fruscio selvatico dei riccioli di Ariana mentre scattava di fianco a lei, diretta verso una direzione precisa. La piratessa scozzese non riuscì a stabilire quale fosse, ma comprese che era nei pressi del cancello principale. Forse aveva avvistato qualcosa di interessante?
Non se ne curò, e invece scattò senza pensarci troppo verso il suo quartiermastro per dargli manforte, impulsivamente. Le sciabole erano strette con saldezza nei suoi pugni, rivolte verso il basso, la punta delle lame ad accarezzare i radi ciuffi d'erba che in seguito i suoi stivali calpestavano.
Passò accanto a un corpo senza vita come tanti al suolo, ma dalla mole molto superiore alla media, e dal volto tanto sfigurato da essere irriconoscibile, quasi del tutto annientato dal probabile colpo d'arma da fuoco ravvicinato che aveva subito. Non ci fece molto caso, nella foga della corsa, così come non notò l'ascia bipenne abbandonata sul terreno poco più in là, vicinissima alla mano aperta e fredda del cadavere, ricoperta di calli.
Lavy fu subito ingaggiata da due marines, ma riuscì a evitare un fendente anticipandone la traiettoria, e si accovacciò, la schiena sempre dritta, i muscoli delle gambe a svolgere tutto il lavoro per sorreggerla in quella posizione. Fu agile come una belva selvaggia. Tramite un doppio tondo, roteò le lame e tranciò un piede con tutta la caviglia all'avversario, che rimase al suolo, ululando di dolore. La giovane proseguì nel movimento e, come fosse un allungamento stesso del suo braccio, indirizzò la sciabola destra all'insù, affiancando quella del secondo sfidante, lo superò in velocità tramite un balzo dal basso, e gli perforò la gola di lungo, l'arma dell'altro ferma a una ventina di centimetri da lei. Infine, terminò il lavoro estraendo una pistola e freddando il primo soldato menomato in precedenza, con un colpo in testa a bruciapelo.
Si concesse un secondo per riprendere fiato, gli occhi due comete di ghiaccio opaco.
Raggiunse così Danny in poco tempo, spalla contro spalla. Ekow e i suoi seguaci si stavano battendo con furore ardimentoso, lo scontro stava mutando le sue sorti con la stessa rapidità con cui era accaduto all'arrivo dei rinforzi francesi. Tutto grazie al numero più che cospicuo di schiavi che da anni lavoravano in quella piantagione, e che ora la stavano riempiendo di sangue vivo, un tempo spesso appartenente a loro dopo le fustigazioni punitive.
"Ci hai salvato il culo, capitano." ghignò appena lo spadaccino.
"Ho cercato di fare il più in fretta possibile." replicò Lavy, incapace a causa della frenesia di articolare troppo la frase e spiegare il suo operato all'amico nel dettaglio. "Tu stai bene? Quante perdite abbiamo subito più o meno?"
Flicker non sapeva come ribattere, non senza essere indelicato riguardo la morte del nostromo di bordo, Hector O'Brian. Così, decise di dirglielo e basta.
"Per quanto riguarda quello..." iniziò. Ma il suo tentativo fu stroncato sul nascere.
Uno spadone era stato calato all'improvviso in direzione della sua nuca, da un punto cieco per lui. Ma non per Lavy, che con la coda dell'occhio riuscì a percepire il pericolo.
"Attento, Flick!" gridò, e incrociò le sciabole dietro la testa del compagno, appena in tempo per evitare che la spessa arma di Jean-Baptiste Ducasse la falciasse. L'inglese non perse tempo nemmeno a ringraziarla, poiché approfittò subito dell'aiuto del suo capitano per voltarsi in un battito di ciglia, e dirigere una spazzata di katana sul fianco del nemico. Questo balzò all'indietro all'ultimo istante, scampando alla ferita letale.
Lavy però era già su di lui, tramite una corsa atletica seguita da un balzo verso l'alto. Calò le lame al volo su di lui, a mezz'aria, il crepitio delle tre spade incrociate nel tremendo impatto risuonò tutt'attorno con una nota dolente. Ducasse grugnì, la spalla che ancora pulsante per la menomazione infertagli dal leader ribelle poco prima. Una volta atterrata, la ragazza scattò verso sinistra, mentre Flicker fece lo stesso nella direzione opposta, in sincronia, ed entrambi attaccarono ai lati il marine. Il vice ammiraglio parò il tondo dell'uomo, ma non riuscì a evitare del tutto quello della guerriera, che gli procurò un taglio di striscio.
Infine, approfittando della lentezza dei movimenti dell'avversario e della battuta d'arresto causata dal colpo incassato, Lavy ruotò il busto come fosse snodabile, e la lama della sciabola destra tranciò due dita della mano mancina di Ducasse, sotto i suoi occhi strabuzzati. L'uomo riuscì a calciare via l'instancabile piratessa, e strattonò Flicker, non prima che quest'ultimo gli ebbe percosso il ginocchio con l'elsa della katana, provocandogli un dolore sordo.
Jean-Baptiste si allontanò in fretta, il sangue vivo colante dalle falangi tagliate, mentre copriva la fuga con un colpo di pistola alla cieca, e valutava l'idea di rinunciare all'assalto e ordinare la ritirata ai suoi.
I suoi occhi di cobalto incrociarono per un istante quelli più intensi della ragazza che l'aveva investito come un tornado insieme a quell'ondata di schiavi feroci. Quello sguardo esprimeva la stessa famelica brutalità che scaturiva dai colpi delle sue sciabole.
Mai avrebbe potuto immaginare che un pirata fosse in grado di incutergli paura.
Ariana, nel frattempo, inseguiva il suo bersaglio a grandi falcate.
Si trovava sulle strade di Tortuga, al di fuori dell'ingresso principale alla piantagione, e stava dando la caccia proprio al suo vecchio proprietario. Non appena Lawrence Prince aveva notato la figura della giovane donna corrergli incontro come una forsennata, con un gran ghigno a ornarle il volto appuntito, la paura si era impossessata del suo corpo, complice la realizzazione che nel trambusto della battaglia nessuno sarebbe intervenuto per difenderlo da lei. Così, era fuggito da dove era entrato insieme ai rinforzi pochi minuti prima. Ma il suo cavallo l'aveva disarcionato e ora lui arrancava, preda del fiatone, verso un carro oltre la strada immersa nella calura serale, in prossimità di un marciapiede gremito di edifici bassi e asimmetrici.
Mentre lo inseguiva, la mano posata sugli spadini spagnoli lungo i suoi fianchi, la piratessa dalle crespe ciocche castane pregustava il momento in cui l'avrebbe raggiunto, si sarebbe fatta rivelare l'ubicazione della chiave, e poi l'avrebbe freddato come il cane che era.
Nonostante i suoi feroci intenti, Prince era comunque vicino al carro appartenente forse a una delle famiglie più benestanti che abitavano lungo quella via, e in poco tempo riuscì a salirci e a spronare i destrieri per partire all'impazzata. Ariana digrignò i denti, ma non si perse d'animo. D'altronde, quando voleva qualcosa andava sempre più a fondo possibile per ottenerla, e raramente perdeva tempo a rifletterci per più di una manciata di secondi. Al contrario, sfruttava ogni mezzo che possedeva nell'immediato per riuscirci nel minor tempo possibile. E infatti, aguzzando lo sguardo riuscì a prefigurarsi un percorso da seguire per raggiungere il nemico nonostante il suo vantaggio.
Virò verso il marciapiede alla sua destra, e si approcciò a un montacarichi tra due palazzi di legno dalla forma squadrata, per poi attivarne il meccanismo con una pedata secca e fendere l'aria in verticale, fino a raggiungere l'attico di uno degli edifici, atterrando sulla superficie del tetto con un piegamento atletico delle gambe. Non perse ulteriore tempo e corse nella direzione in cui il carro stava avanzando. Aveva dovuto virare per una breve curvatura della strada, dunque aveva alquanto rallentato la sua avanzata. Il vecchio guardò per un attimo verso di lei, apprensivo, e Ariana rise, pervasa da un senso di potenza totale nei suoi confronti. Le dava soddisfazione essere temuta da feccia del genere, oltre che derubarla.
La donna balzò da un tetto all'altro, ora era esattamente sopra il mezzo, a un'altezza di circa sette o otto metri. Poteva farcela. Prese la rincorsa, insieme a un bel respiro, e saltò verso il basso, diretta sul carro.
Prince si girò, esasperato, ed estrasse la pistola. I suoi occhi grinzosi da rettile erano iniettati di sangue, puntati in quelli freddi e lucidi dell'altra, in caduta libera verso di lui. Il colpo di pistola partì, e Ariana sentì una fitta su un braccio, seguita da un immediato bruciore che solo l'adrenalina contribuì a mitigare sul momento. La traiettoria continuò ugualmente, mentre l'aria le sferzava le guance e inondava le sue palpebre, spalancandole a dismisura, finché non arrivò sul retro del veicolo.
"Che cazzo vuoi da me?!" gridò il vecchio, prima di sterzare tramite un movimento brusco che privò la ragazza dell'equilibrio, scaraventandola all'indietro fuori dal carro a tutta velocità.
Ariana grugnì e rotolò per alcuni metri sul terreno roccioso, ma per sua fortuna non sentì nessun osso incrinarsi. Solo un indolenzimento terribile in ogni singolo muscolo, e una fitta acuta in particolare su un fianco. Alzò comunque il capo, ed estrasse la sua pistola, prendendo bene la mira. Sparò, e il rumore meccanico della ruota anteriore che si staccava le risuonò nelle orecchie come una melodia celeste.
Il carro si ribaltò lateralmente lungo la strada, e un urlo serpeggiante riempì la zona, soppiantato dopo pochi istanti dal silenzio.
Tutto ciò che il nostromo della ciurma di Lobos si concesse furono un paio di profondi respiri, e un mugolio lamentoso per il dolore che le assaliva il braccio insanguinato e il fianco destro. Forse aveva qualche costola ammaccata. Ma non era il momento di pensarci. Avvertiva il respiro pesante, affannoso come quello di un maiale mentre si ciba, di Lawrence Prince, tra i resti legnosi del trasporto con cui aveva provato a sfuggirle. Si avvicinò, a passo lento ma deciso, e nel frattempo i cavalli si allontanavano, impauriti dall'incidente subito. Forse le dispiaceva solo per quelli, ma dopotutto stavano bene, e non aveva mai puntato a ferirli direttamente.
Prince alzò lo sguardo verso di lei, la sua figura mezza ricurva per le ferite che si sovrapponeva al cielo nerissimo e allo spicchio di luna che affiancava il suo viso, come se fosse un bianco spirito intonato al gelo delle sue iridi, e al tenue pallore della sua pelle. L'espressione di Ariana però era maligna e violenta come quella di un demone senza alcuna compassione.
Il terrore si impadronì dello schiavista. "Cosa ci vuole per ammazzarti?" sibilò, frustrato e al contempo disperato.
Ariana lo ignorò, e fu invece catturata da un dettaglio, per la precisione un oggetto che emetteva un soffuso luccichio nel buio della sera. Una chiave.
Sogghignò, estasiata. "Ma dai, e io che volevo torturarti un po' per farti sputare la sua posizione. E invece sei davvero così stupido da pensare che addosso a te fosse più al sicuro!" Si lasciò andare a una breve risata cristallina che squarciò il manto silente nel quale il paesaggio era tornato dopo lo schianto fragoroso di poco prima.
"V-vuoi quella, quindi? D'accordo, la puoi avere, però risparmiami la vita! Ti pagherò bene e non ti cercherò mai, te lo garantisco!" Prince si lasciò andare a suppliche e promesse molto simili tra loro, spesso concernenti offerte vacue e ingannevoli. Nessuna delle sue parole raggiunse le orecchie della corsara, dedita solo a raccogliere la chiave luccicante di fianco alla vittima.
Dopodiché, estrasse lo spadino con la mano sinistra e lo sollevò sopra la testa.
"Sai, non sei il primo che ammazzo in questo modo." Sorrise, pregna di euforia susseguente all'adrenalina ancora non del tutto dissipata nelle sue membra. Non ascoltò le ultime preghiere disperate dell'uomo, e calò l'arma verso di lui, colorandola di rosso, l'orbita trapassata di netto dalla lama sottile e appuntita come un aculeo.
Ariana si raddrizzò e strinse la chiave nel pugno, un'aria soddisfatta sul volto, il tremore nei muscoli a testimoniare gli ultimi residui dell'esaltazione che la avvolgeva. I suoi respiri tornarono regolari, il suo animo si assopì di nuovo.
E infine la quiete tornò a dominare tra le vie di Tortuga.
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