XLV. Tortuga: Paranoia
Gli scoppi polverosi delle canne appartenenti a fucili e mortai sul campo di battaglia giungevano come un'eco distante alle orecchie di Lavy, ovattati dalla distanza che aveva interposto tra lei e il nucleo incandescente della guerriglia. Come aveva concordato in precedenza coi suoi, non appena tutti si erano riversati nella piantagione di Prince, lei si era diretta spedita verso la zona dove sorgevano gli alloggi principali, la lussuosa tenuta del negriero che possedeva il territorio nella sua interezza.
Era rimasta attonita per un attimo alla vista dei marines francesi già organizzati, pronti ad attenderli, e in numero ben più cospicuo di quanto avesse potuto aspettarsi. Tuttavia, aveva ritrovato la lucidità altrettanto in fretta: subito si era impegnata a gridare direttive a Flicker, e a intimare a ogni suo uomo di combattere senza fermarsi. Grazie ai ribelli il loro numero era elevato e, a quanto pareva, i loro nemici non erano stati in grado di definire una stima numerica precisa sul loro gruppo.
Questo aveva condotto Lavy a tre certezze, realizzate in appena pochi secondi: la marina aveva avuto poco tempo per prepararsi in fretta e furia, erano stati avvertiti da qualcuno, e infine, per forza di cose, tra di loro c'era un traditore.
Nel mentre che correva insieme a pochi suoi compagni per aiutarla nel saccheggio della tenuta che aveva deciso di effettuare ugualmente, la ragazza rifletteva riguardo ogni possibilità su chi potesse essere la spia. Prima dell'assalto aveva passato in rassegna il suo equipaggio, e non mancava nessuno, tantomeno tra quelli che erano con Selkis. Ciò non significava che l'infame non fosse tra loro, rimuginò, le informazioni erano state di certo consegnate alla marina nei giorni precedenti. Però, questo avrebbe significato esporsi al pericolo di uno scontro frontale, dove nulla è scontato, anche per qualcuno che teoricamente non aveva nemici da nessuna delle due parti in quel preciso momento. Credeva fosse meno probabile che il corvo portatore di sventure provenisse da lei.
Anche i ribelli non le sembravano i più plausibili. Non li conosceva bene, ma se erano tutti ex schiavi, sotto la guida di un leader carismatico come Amon, non c'era da mettere la mano sul fuoco riguardo un loro coinvolgimento. Salvo congiure interne.
Tutto ciò la portava a una realizzazione, come un gorgo che attira una fregata nell'abisso oscuro dell'oceano. Era un dubbio alimentato da ciò che i suoi occhi avevano captato negli ultimi minuti dettati dal caos. Un disordine dove era semplice lasciar passare inosservata una stranezza.
Se nella ciurma di Lobos mancava Ariana, allora poteva essere stata lei a informare i nemici.
Lavy serrò le labbra e spalancò le narici, sbuffando come un toro. Sentiva la blusa soffocarle i fianchi e la pancia, umida per l'aria della sera mista al sudore stimolato dalla tensione dello scenario, appiccicata alla sua pelle. La cappa blu di sua madre le cascava fino alla bassa schiena, nella tonica zona lombare, mescolandosi ai capelli e aumentando doppiamente il caldo snervante che avvertiva. Ai suoi lati, si susseguivano null'altro che metri e metri di campi coltivati e canne da zucchero alte quanto lei e anche più. Percorreva il vialetto terroso coi suoi uomini, e lo stress le provocava una feroce irritazione.
Non doveva lasciare che la sua disputa con Ariana Salinas offuscasse il suo giudizio, voleva essere ragionevole, ma gli indizi la conducevano verso quella direzione. Solo che non capiva ancora il perché. Non le era sembrata una persona che tradisse facilmente i suoi legami più stretti. Come Santiago Lobos ed Enrique Las Zancas. Quasi provava delusione per quell'evenienza. Quasi sperava che non fosse come lei pensava.
Anche se era sempre meglio di un ammutinamento tra le sue fila.
Ciononostante, non escludeva affatto che questa eventualità non fosse reale. Dopotutto, l'aveva capito ormai, dopo quell'incontro con Lafonte a Nassau in cui aveva dato di matto, era impossibile che non avesse perso credibilità agli occhi di nessuno. E in fondo sparire nel nulla era come dichiarare ad alta voce di essere un traditore, quindi perché Salinas avrebbe dovuto farlo? Doveva guardarsi le spalle anche dai suoi compagni, e questo le trasmetteva un amaro disagio, un'ansia pungente.
"Veloci, ci siamo quasi." spronò gli altri, che la seguivano a passo svelto e di tanto in tanto si scambiavano commenti allarmati per la presenza della marina in quel luogo, quando il piano prevedeva che avessero via libera.
Era importante che li mantenesse concentrati, focalizzati sull'obiettivo. E che tacessero, cosicché lei potesse pensare.
Scorse, oltre la fine del viale, laddove l'elevata vegetazione si interrompeva per cedere il posto alla distesa di campi dall'erba corta cinti dai viottoli di pietra, l'abitazione di Lawrence Prince. Larga e a due piani, sormontata da un tetto spiovente, rubava la scena nel paesaggio che orbitava attorno a essa. Di fianco sostava un grosso carro e, più in là, a circa cento metri sulla destra, era situato un fienile immerso nell'atmosfera silente di quella zona lungi dagli scontri. Lavy si concentrò sulla tenuta dello schiavista, che con ogni probabilità era stato avvertito e non si trovava lì.
Si chiese se Prince avesse portato la chiave altrove con sé, e se Ariana non fosse proprio alla sua ricerca. Se era lei, la traditrice, le probabilità che le cose stessero così erano alte, forse avevano persino negoziato. Ma di certo un uomo che aveva sottratto un tesoro del genere a dei pirati non intendeva rivenderglielo. La posta ipotetica contrattata tra loro sarebbe stata di diversa entità, e Ariana avrebbe dovuto trovare un altro modo per impossessarsi di quella maledetta chiave.
In ogni caso, Lavy doveva garantire almeno delle ricchezze da depredare ai suoi uomini, e nella casa lussuosa dinanzi a loro erano ancora presenti senza ombra di dubbio. Non c'era stato il tempo materiale per portare via tutto, e Prince contava sulla vittoria dei marines per scacciare i pirati e proteggere i suoi beni. Lavy sperava solo che anche la chiave di sua madre fosse tra quei possedimenti difesi dalle guardie di Tortuga.
All'improvviso, Lavy notò una figura ammantata dal telo ombroso della sera, proprio di fronte all'ingresso, con una manciata di altri corsari come i suoi che recavano con loro vari sacchi colmi di oggetti. Sotto i riflessi lunari, riconobbe quei ricci castani e quei movimenti felpati, quell'andatura ondeggiante eppur decisa.
"Ariana..." sussurrò.
Lei parve accorgersi del suo arrivo, e si voltò nella sua direzione. Le volse un ghigno felino a metà tra la beffa e l'intesa.
"Tocapelotas!" la accolse a braccia aperte. "Ti ho battuta sul tempo, ovviamente, ma è inutile che cerchi qui dentro. A quanto pare qualcuno ci ha fottuti, el viejo comamierda si è portato la chiave con sé."
Lavy arrotondò le labbra secche. Non era stata lei a tradirli. Da un lato, non sapeva perché, ne era sollevata. Era contenta che non fosse tipa da tradire i suoi legami, e che la vaga somiglianza che aveva notato tra loro fosse plausibile. Dall'altro lato, ora c'era di nuovo la possibilità che il traditore provenisse dalle sue fila.
"Hai idea di chi possa essere stato?" tentò.
"Non saprei, tu hai un'idea?" insinuò Ariana, in tono perentorio. Dubitava della presa che aveva sulla sua ciurma, capì l'altra.
"Ne so quanto te, genio. Mi dici come fai a essere già qui, poi? Non ti ho nemmeno vista nella palude."
Ariana sogghignò ancora. "Sei stata tu a introdurti di nascosto qualche giorno fa, no? Ho solo dovuto copiarti insieme a questi gentiluomini qui. Non sai quanto è vantaggioso non essere un capitano e fare a meno di dover guidare la mia ciurma e così via! Tranquilla, comunque, vi abbiamo lasciato qualche avanzo, non ci entrava tutto nei sacchi."
Lavy si limitò a sbuffare, e indicò la tenuta ai suoi con un gesto sbrigativo del braccio, in modo che si dirigessero al suo interno per razziarla. Aveva intenzione di farli uscire con la refurtiva così come Ariana era entrata, scavalcando le mura di cinta. Mentre le guardava, le balenavano in mente i ricordi del suo incontro con quello schiavo, Ekow se ben ricordava, che le aveva indicato la posizione della tenuta. Quel vantaggio non le era servito, sia perché la chiave era stata portata via, sia perché Salinas aveva trovato lo stesso il luogo giusto, sfruttando il fattore tempo per essersi infiltrata in anticipo a suo vantaggio.
Fu proprio allora, mentre ripensava a Ekow, che un'idea la folgorò.
Gli schiavi erano ancora lì, ed erano tanti. Se li avesse trovati...
"A cosa pensi, tocapelotas?" le domandò Ariana con la sua tonalità limpida.
Lavy la fissò, gli occhi pregni di riflessività incastonati nei suoi. La determinazione nello sguardo del capitano portò la spagnola a inarcare le sopracciglia. Ma capì al contempo che qualcosa di potenzialmente spericolato e fuori dagli schemi stava prendendo forma dentro di lei. E la sua curiosità crebbe a dismisura.
L'altra si avvicinò di pochi passi.
"Ariana, penso di avere un'idea su come ribaltare le sorti di questa battaglia a nostro favore. Ti va di aiutarmi?"
Danny Flicker roteava la sua katana verso ogni direzione, abbattendo un nemico dopo l'altro con tondi e fendenti sempre più vorticanti, sempre più precisi e rapidi, come un tornado composto da centinaia di lame. Solo che la sua era una sola.
Da quando si erano ritrovati contro la marina francese già organizzata e ben conscia della loro presenza lì a quell'ora, la sua era stata una continua lotta per sopravvivere. I mortai avevano mietuto le prime decine di vittime nella carica iniziale, in molti erano caduti soprattutto per lo sconcerto nel ritrovarsi sotto tiro a sorpresa. Mentre correva, aveva visto gambe e braccia saltare, troncate dall'artiglieria francese, in zampilli di sangue ferrosi, densi e nauseabondi. L'odore gli era penetrato nell'anima.
La seconda ondata di morte era stata scatenata dai fucilieri, che avevano eliminato decine di uomini, nella loro risoluta compostezza. Il loro leader, forse un ammiraglio, li guidava con fierezza e disinvoltura, munito di un poderoso spadone che dalla cintura arrivava quasi a sfiorare il suolo.
Danny era riuscito ad avvertire gli ordini di Lavy sommersi dal frastuono, le parole che gli intimavano di comportarsi allo stesso modo di come avevano pianificato, di combattere. I cannoni ribelli e il loro ampio numero sommato a quello altrettanto generoso dei pirati erano riusciti a coprire la loro corsa, e in breve tempo i due schieramenti erano terminati in una furiosa mischia, intenzionati a dispensare morte, tra ruggiti gutturali e urla stridule. Il suo capitano aveva prima decapitato un soldato che l'aveva approcciata, poi mozzato una mano a un altro avversario piroettando su sé stessa, e infine, dopo aver sparato a un milite addetto ai mortai nelle retrovie per neutralizzare la loro arma pesante, si era inoltrata all'interno della zona con alcuni uomini per raggiungere l'abitazione di Prince.
Fin da quel momento, Flicker aveva continuato a uccidere. E tutt'ora lo stava facendo.
Deviò col dorso della lama un affondo, aiutandosi con le gambe tramite un breve slancio all'indietro così da allontanarsi dalla spada avversaria. Il braccio del francese sconosciuto virò in maniera brusca di lato, e questo diede l'occasione al corsaro dalla chioma lattea di finirlo. Gli squarciò la gola con un tondo inverso, e in seguito gli trapassò il cuore.
Subito dopo, sferrò una tallonata a un altro marine che insieme a un suo compagno aveva accerchiato il capitano Lobos, e lo spedì al suolo tramite un gancio al mento. Lobos gli piantò un proiettile in fronte prima che si rialzasse, mentre Flicker eliminava il ragazzo restante attraverso un montante di spada che percorse il suo viso dal mento alla sommità del cranio. Con eleganza, ritrasse la katana e si voltò, placido, il nemico che cadeva al suolo in un tonfo leggero.
"Grazie, bello mio." sogghignò Santiago Lobos, ansante e sudaticcio ma in un certo senso affascinante tra i lunghi ciuffi scompigliati e la coda di cavallo color sole. "Avrei comunque vinto, però."
"Di sicuro." sorrise a sua volta Danny. Il suo sguardo fu catturato tuttavia dall'immagine erculea di Hector che sfasciava i volti di tre marines insieme tramite una spazzata ampissima di Susannah, la sua ascia bipenne. Rimase sia strabiliato che stordito dallo spettacolo. Sembrava addirittura che si stesse divertendo in quella mischia mortifera.
Analizzando la situazione, a discapito di ciò, al quartiermastro della Susan bastarono poche occhiate per stabilire che fossero in inferiorità numerica, nonostante la loro resistenza feroce. Sempre più uomini stavano cadendo sotto i colpi di spada francesi, tanti tra loro appartenenti alla sua ciurma. Almeno nella mischia gli addetti ai mortai non potevano rischiare di assassinare i loro alleati, ma era un magrissimo vantaggio. I ribelli lottavano, guidati da un inferocito Amon che abbatteva guerrieri uno dietro l'altro con estrema precisione nei suoi attacchi coi coltelli combinati, che trascinava tutti con sé e aumentava il morale solo con il suo impeto travolgente. Ma non era abbastanza. Gli alleati uccisi superavano i nemici, e la disparità cresceva sempre di più.
Flicker pensò che non ci fosse scampo, che dovevano ritirarsi, ma Lavy aveva ordinato di combattere, e così il capo ribelle. In tal caso, bisognava inventarsi qualcosa per ribaltare le sorti dello scontro. Non era nemmeno da escludere che giungessero addirittura altri rinforzi avversari a circondarli, per annichilire definitivamente la loro resistenza.
Proprio un attimo dopo aver abbattuto un altro ragazzo, notò con la coda dell'occhio il leader francese avvicinarsi a Hector per porre fine all'autentica strage che stava eseguendo, lo spadone sguainato. La sua stazza era di poco inferiore a quella del nostromo, e incuteva lo stesso timore. D'istinto, ebbe paura per il compagno e si precipitò ad aiutarlo. Si piazzò davanti al gigante prima che la grande arma avversaria potesse essere calata su di lui. La intercettò con la sua katana, una mano sull'impugnatura e un'altra sul retro della lama, così da resistere al tremendo impatto dall'alto. I muscoli dei suoi tricipiti erano tesi al massimo, mentre provava a spingere via il possente rivale.
Jean-Baptiste Ducasse non desistette, e assunse un'espressione pregna di resiliente tenacia, gli occhi di cobalto intrisi di gelo polare e allo stesso tempo fiammeggianti per la cruda violenza che da essi scaturiva.
Fu Hector a ricambiare il favore a Danny, tramite un colpo d'ascia verso il basso diretto al cranio del vice ammiraglio. Quest'ultimo indietreggiò appena, liberando intanto lo spadaccino dalla morsa di metallo in cui l'aveva intrappolato. Poi, scagliò un tondo verso il gigante, che riuscì a parare col manico dell'arma. Un clangore sonoro invase le orecchie dei tre.
Flicker approfittò subito del momento e sgusciò in avanti fino a giungere a un passo da Ducasse, ed eseguì un affondo in corsa verso il suo petto. L'altro spintonò Hector ed eluse il colpo mortale tramite una rapida schivata laterale, tutto in meno di un secondo. In seguito, tentò di decapitare Danny, ma lui si abbassò e nel movimento provocò un taglio di striscio al suo fianco tramite uno scatto laterale.
L'uomo grugnì ma non fece una piega. Bloccò un altro fragoroso attacco di Hector con lo spadone, e gli fece cadere l'ascia tramite una torsione dei polsi, ma Flicker l'aveva già aggredito ancora e, dopo aver schivato un pugno, sferrò un montante di katana che sfiorò il viso del francese. Subì un taglio superficiale sulla guancia destra, si era salvato solo grazie al suo istinto. Riuscì quindi ad allontanare il corsaro attraverso un calcio nel fianco, dopo un ringhio di stizza.
Quella fu l'occasione per Hector di attaccare: un gancio terrificante deformò la mascella di Jean-Baptiste Ducasse. Ma non riuscì a gettarlo al suolo. Danny notò con orrore la pistola a pietra focaia puntata dritta alla faccia dell'irlandese. Il nemico aveva fatto di tutto per incassare il pugno senza crollare solo per poter avere un angolo di tiro libero per una frazione di secondo. Hector O'Brian sgranò l'occhio sano, la canna a una manciata di centimetri dal suo viso.
Flicker non poté far nulla, se non vedere la testa del suo amico esplodere davanti ai suoi occhi.
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