XLIX. Tortuga: Speranza nuova
Ekow mieteva vittime una dietro l'altra, spinto da un'atavica furia che rendeva naturali i suoi impulsi più violenti, semplici le mutilazioni e gli squartamenti tramite il coltellaccio raccolto nel magazzino degli strumenti da lavoro. Gli veniva tutto facile, non era tanto diverso dal tagliare le canne da zucchero come faceva ogni giorno.
Anzi, era anche meno faticoso.
Se pensava che stava combattendo per la fine di quelle sofferenze, di quelle giornate infinite sotto il sole cocente a lavorare ore e ore senza sosta, finché sentiva la sua pelle screpolarsi e accaldarsi come una brace, e il suo sangue ribollire, i muscoli sciogliersi, allora nulla era in grado di fermarlo, e la linfa vitale degli sconosciuti che stava versando non lo scombussolava più di tanto. Almeno, non nell'impeto del momento.
Insieme ai suoi compagni, le persone sfruttate da anni a morte come lui, e ai pirati che combattevano al loro fianco, l'uomo con le trecce cascanti intorno al corpo dalla poderosa stazza era inarrestabile nella tempesta travolgente e vendicativa che riversava sui nemici. Ogni arto menomato, torace perforato e collo trapassato era solo un anello della catena d'odio che per anni era stata trattenuta, e ora si schiantava tutta contro chiunque fosse sul suo percorso, senza distinzioni. Quella notte di morte era il prezzo per la libertà.
Ekow schiacciò la testa di un marine disteso al suolo col piede più volte, e ne scaraventò al suolo un altro tramite un'impetuosa bracciata, per poi finirlo con un grezzo affondo di coltello mentre era inerme. La sua vista era offuscata dal manto della violenza. Trovò un'ascia bipenne abbandonata accanto a un corpo dal viso martoriato, così pensò di raccoglierla e usarla per aggiungere vittime su vittime alla sua mietitura inarrestabile.
Fu solo in un attimo di lucidità riacquistata che una visione catturò il suo sguardo, alla sua destra, vicino al muro crollato a est della piantagione. Una che gli restituì con crudele realismo la connessione col presente, con l'ambiente intorno a sé. Riconobbe subito i voluminosi ricci di Khady, anche tra la folla infinita che li distanziava.
Il dettaglio che lo inquietò, però, era che attorno a lei orbitavano tre uomini in giubba blu. E nessuno con indosso stracci da schiavo o quelle vesti complicate e leggiadre che aveva visto sulle persone come Lavy Thomson e quell'altra donna, che l'avevano liberato assieme a tutti gli altri poco prima.
La sua compagna era sola, in svantaggio.
Ekow corse all'impazzata nella sua direzione, ascia in pugno. Vide Khady agitare con foga il falcetto che aveva raccolto nel magazzino, allontanando a fatica i suoi assalitori, che si approcciavano sempre più a lei. Dopo un profondo respiro, l'africano raggiunse la zona con un breve balzo, ed eliminò in fretta uno dei nemici da dietro tramite un gran fendente. In pochi secondi, roteò la sua arma, tramortendo i marines più vicini e costringendo altri a muovere dei passi indietro. A torso nudo e con la schiena ampia ricoperta dei solchi provocati dalla frusta, sembrava un diavolo vendicatore nell'oscurità delle tenebre che lo circondavano. Alla sua compagna però ricordava sempre e solo un angelo, forte e buono.
"Grazie!" Riuscì a pronunciare la giovane. L'altro gli sorrise, sbrigativo, con intimo affetto.
Fu proprio in seguito a quello scambio di battute, che lo sparo squarciò il fragore degli scontri, e Khady si accasciò con sguardo inorridito.
Ekow sgranò le palpebre, incredulo di primo acchito. Non riusciva a comprendere, o forse solo ad accettare, cosa significasse la macchia rossa in espansione sulla schiena dell'amica. Era accaduto con la stessa velocità di un lampo, e l'effetto su di lui, a scoppio ritardato, diventò presto travolgente come il tuono che gli sussegue. Si inginocchiò, disperato. Le labbra spalancate, incapaci di catturare abbastanza ossigeno anche solo per respirare. Ma lui avrebbe voluto urlare. Negare così forte la morte di Khady da impedirla. E sapere che non era possibile lo privava ancor più dell'aria che gli serviva per vivere.
Le immagini arrivarono tutte insieme, senza preavviso. Senza intenzione. Khady che lo affiancava in una giornata torrida di lavoro tra i campi, che gli sorrideva di profilo a mezza bocca, complice, illuminata dalle prime ondate d'oro del tramonto. Era sempre stata bellissima ai suoi occhi, ma per qualche ragione in quello scenario nella sua mente lo sembrava ancor di più. E ora se ne stava andando. Aveva già smesso di dimenarsi al suolo, di respirare, nella realtà che con tale crudeltà già sostituiva la bellezza idealizzata del passato. Forse non l'aveva mai fatto, ed era finito tutto in fretta per lei. Sarebbe stato meglio.
Khady aveva sofferto troppo nella vita, per patire anche nel momento della sua morte.
Una presenza dall'alto ridestò in un baleno Ekow, che alzò il capo di scatto. I suoi occhi erano due abissi vacui, puntati sul bersaglio in divisa che aveva commesso l'errore di avvicinarsi. Lo schiavo saltò su di lui senza che potesse evitarlo, con foga animalesca, istinto rabbioso in tutta la sua selvaggia rudezza.
L'ascia penetrò a fondo nel torace, e finì per sollevarlo da terra. La vittima precipitò verso il terreno erboso, ma non riuscì ad arrivarci, schermato ancora da una ginocchiata al volo del carnefice, tanto dura da spezzargli il naso. Cadde all'indietro di schiena, e non si mosse più. Ekow non si fermò, e in un istante svettò su un secondo nemico, la sua ombra proiettata dall'alto su di lui come quella di un monte. Abbandonò per un attimo l'arma, e gli torse il collo a mani nude fino a rompergli l'osso.
Ci pensò un proiettile alla gamba a rallentare lo schiavo. In breve tempo, fu circondato da soldati armati di spade. Stringeva l'ascia in pugno, puntata a turno verso quelli che contò come quattro avversari. Khady giaceva a pancia in giù poco più in là. Presto l'avrebbe raggiunta, lo sapeva. Dopotutto, era un epilogo accettabile. Per qualche minuto aveva combattuto per sé stesso, per lei, per un futuro insieme, liberi. Essere riusciti anche solo a poterlo sognare significava di più rispetto a tutti gli anni passati a obbedire e abbassare il capo in preda al dolore. Andava bene così.
Presto forse sarebbe stato anche lui libero di andarsene come aveva fatto Khady.
Due colpi di pistola sopraggiunsero alle sue spalle. Ma scoprì presto che non appartenevano ai marines e non erano diretti a lui. I militi caddero, e un pirata dalla chioma bionda con una coda di cavallo spettinata apparve con un gran ghigno esaltato.
"Ehi, amigo, tutto a posto?!" gli gridò Santiago Lobos. "È ancora presto per perdere la speranza." Lo affiancò subito, ora in un due contro due con i due francesi dirimpetto a loro. "Ce la fai ancora a combattere?"
"Sì." rispose Ekow, faticando a comprendere le sue parole per l'accento sibilante che possedeva. "Ti ringrazio per l'aiuto."
"Vorrei essere riuscito a evitare la morte di quella povera ragazza." replicò il capitano dagli occhi d'oro. "Ma ora possiamo solo pensare a batterci. Niente rimpianti finché no hemos terminado, ¿Entiendes? Dopo potremo piangere quanto vogliamo tutte le nostre perdite."
L'africano annuì, e si preparò a battersi. Notò in lontananza la ragazza che lo aveva liberato continuare a lottare, correre e abbattere nemici con decine di tondi turbinanti della sua coppia di sciabole, e guardandola capì che anche lui non poteva ancora arrendersi. La forza di quella guerriera fu trasmessa in lui, gli donò un irrefrenabile desiderio di libertà, primitivo nella sua intensità, proprio come la prima volta che l'aveva incontrata, sotto il sole in una giornata immersa nella calma, foriera di una futura tempesta. E ora che quella tempesta era in atto, Ekow capì che gli aveva dato lei il diritto di navigare al suo interno per raggiungere un lido placido, un posto migliore, in cui potersi permettere di sperare. Non voleva sottrarsi a quella visione, a quel futuro possibile. Anche per Khady, avrebbe vissuto. E la sua memoria sarebbe sopravvissuta insieme a lui.
Insieme a Lobos, partì all'attacco, lo scontro che proseguì ancora per minuti e minuti alla piantagione, ma che ormai, come tutti iniziavano a rendersi conto, volgeva già da un po' a vantaggio degli invasori assetati di sangue, i pirati bramosi d'oro e gli schiavi affamati di vita.
Non passò molto, prima che i francesi cominciarono sorprendentemente a ritirarsi verso l'uscita da cui erano arrivati i loro stessi rinforzi. Fino a quando fu lo stesso vice ammiraglio che li guidava a ordinare la fuga a gran voce, in modo ufficiale, conscio che di quel passo avrebbero solo perso più uomini in una battaglia già terminata.
L'assalto alla piantagione ebbe fine nel momento in cui proprio lei, la ragazza dai tratti che richiamavano le profondità del mare, emise a gran voce un verso vittorioso con le spade al cielo, imitata da tutti i suoi seguaci. Ekow non poté fare a meno di essere sopraffatto dalla volontà di vivere che la sua sola immagine sapeva infondergli.
Ben presto, le fiamme che arsero per tutta la struttura, causate dai ribelli in rivolta, diedero alle ceneri ciò che per decenni era stato simbolo di morte e disperazione, e il loro fulgore innalzò verso il firmamento una luce abbagliante, carica di speranza nuova.
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